2022-06-19
La Lamorgese è scomparsa. Ma l’Europa stavolta non può restare a guardare
Approdi di migranti su del 28,5% in un anno, eppure dal Viminale tutto tace. L’Ue ha sanzionato la Russia: ora si occupi delle conseguenze.Con tutta probabilità il 2022 farà segnare il record di sbarchi in Italia rispetto agli ultimi quattro anni. Solo da gennaio a giugno i migranti approdati sulle coste italiane sono stati 23.582. Secondo il ministero dell’Interno – quindi dati ufficiali del Viminale – l’aumento registrato rispetto al 2021 è stato del 28,5%. Infatti un anno fa ne arrivarono 18.359 e tutto fa prevedere che l’emergenza vada via via facendosi più intensa, più grave e, comunque sia, già al momento l’hotspot di Lampedusa è letteralmente al collasso. Bisogna ricordare che in queste condizioni l’accoglienza in realtà non è un’accoglienza vera e propria, si trasforma in un ammasso di vite umane in condizioni carenti da ogni punto di vista: logistiche, igieniche, sanitarie. E se queste persone da lì vengono trasferite nei famosi centri di accoglienza sparsi un po’ per l’Italia la situazione purtroppo non migliora perché detti centri vengono dati in gestione dalle prefetture a strutture spesso non all’altezza del compito e che, come è stato spesso ampiamente dimostrato, rubano i soldi pubblici senza offrire i servizi che i contratti richiederebbero. Purtroppo, spesso, da Lampedusa queste persone finiscono in tante piccole lampedusine. Abbandonati a se stessi, ammassati in stanze non adeguate con nessuna vigilanza di alcun tipo e controllo che dir si voglia.Si dice che la questione ora sia legata al grano che sta letteralmente affamando l’Africa a causa delle navi bloccate in Ucraina, come nel porto di Odessa, che creano problemi seri all’Europa, figuriamoci all’Africa. Certamente non sarebbe stato difficile prevedere qualcosa del genere e c’è chi l’aveva previsto, ma è rimasto inascoltato come spesso accade a chi pone un problema ad un interlocutore che non sa come risolverlo. Mettiamo che il problema sia solo derivante dalla questione del grano, ebbene, in questo caso le strade non sono cento, ma ci troviamo davanti ad un bivio con due strade percorribili.La prima. Occorre trovare una soluzione per sbloccare le navi colme di centinaia di tonnellate di grano e ferme a causa della guerra e come ritorsione nei confronti delle sanzioni, soprattutto europee, alla Russia. Francamente, visto il viaggio in Ucraina dei tre leader europei Draghi, Macron e Scholz, purtroppo - e lo ripetiamo, purtroppo - la situazione non lascia ben sperare. Sono tanti anni che l’Europa si disinteressa, o fa finta di non vedere, i problemi ucraini e se ne interessa ora che non ne può fare a meno, ma è evidentemente in un grave ritardo rispetto ad una tabella di marcia ideale. La seconda. Mettiamo che non si riesca a sbloccare la questione del grano, e mettiamo che continuino, e molto probabilmente si incrementino vistosamente, i numeri degli sbarchi. A quel punto che si fa? Chi deve far qualcosa? La risposta è scontata: l’Europa. Perché? Perché la stessa Europa non può imporre le sanzioni - tra l’altro con effetti molto dubbi e discutibili rispetto all’andamento dell’economia russa - e non compensare gli effetti devastanti sull’economia italiana ma soprattutto, in questo caso, non farsi carico dell’effetto aumento immigrazioni direttamente conseguente alle sanzioni comminate al Paese guidato da Vladimir Putin, perché se gli sbarchi sono effetto delle sanzioni europee, ebbene, chi ne è la causa non può non assumersene neanche le conseguenze. Certo, anche in questo caso, con tutta franchezza, non ci aspettiamo un gran che e non per un pessimismo preconcetto nei confronti dell’Europa ma per ciò che ci ha insegnato l’esperienza di questi anni. Ricordate l’accordo di Malta trionfalmente sbandierato nel 2020 dal ministro Lamorgese come approdo ad una certa redistribuzione dei migranti in Europa? Ebbene, nulla seguì, poco più di una pagliacciata.È ovvio e dovrebbe essere scontato che il ministro Lamorgese, sparita dai radar di noi comuni mortali, dovrebbe dire qualcosa, almeno. Richiedere con urgenza una conferenza europea sul tema delle immigrazioni africane e arrivare ad una sana redistribuzione di queste persone fatta in modo dignitoso e con la partecipazione di tutti gli stati europei. Per la verità circa un anno fa il premier Draghi, in una riunione europea, protestò per l’assenza dell’Europa nell’accoglienza degli immigrati che arrivano in Italia. Lo fece giustamente e lo fece in un momento nel quale eravamo ben distanti dalla situazione attuale. Ora non dovrebbe essere più un’opzione europea ma un dovere europeo. Quello di compensare con un’azione decisa gli effetti nefasti delle sanzioni. Non discutiamo in questa sede delle sanzioni stesse. Affermiamo il dovere dell’Europa di farsi carico degli effetti di quelle sanzioni.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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