2023-12-17
L’amico di Curcio che scappò a Parigi
Una vita da antagonista (in cattedra) con la velleità da pensatore rivoluzionario. Il salto in politica coi Radicali di Pannella e la solidarietà al perseguitato Berlusconi.La gelida eccitazione della chiave inglese, l’odore acre lasciato nell’aria dalla P38, il calore operaio del passamontagna calato. Colore unico sullo sfondo, il rosso. A modo suo Toni Negri era un armocromista inconsapevole, e se fosse nato 30 anni dopo avrebbe fatto fortuna come ospite fisso in un talk show de La7. Invece gli è toccato vivere fino a 90 anni (è morto ieri a Parigi) nella penombra della scena, considerato di volta in volta cattivo maestro, mandante di terroristi, transfugo per paura del carcere, filosofo antiglobalista. Sempre un passo indietro, lontano dai riflettori, tranne quando scappò fra le braccia della dottrina Mitterrand sullo yacht di una ragazza molto ricca e molto innamorata. In definitiva è stato un maître à penser del Grande Nulla rivoluzionario con cui aveva riempito la testa di una generazione di studenti fuori corso lobotomizzati (Giorgio Gaber li chiamava «polli d’allevamento»), alcuni dei quali diventati assassini, altri cadaveri, altri - più fortunati o scaltri - parlamentari, direttori di giornale o vittime permanenti del sistema, in quegli anni di piombo sui quali si tende a stendere un velo di peloso perdonismo. Della maionese impazzita degli anni 70, Toni Negri era uno dei cuochi.Nato a Padova nel 1933 da papà comunista, Toni si laurea, poi insegna filosofia nella storica università della sua città e durante il Sessantotto comincia a organizzare i gruppi studenteschi attorno ai miti della rivoluzione partigiana permanente. È alla base della nascita di Potere Operaio, Lotta Continua, Autonomia Operaia, galassie che si formano, si dividono, si parcellizzano sui metodi per attuare la lotta del proletariato. E nei giorni dispari danno sistematica caccia a chi non la pensa come loro per provare a rieducarli a botte. Negri diventa un guru e quelle piazze saranno il brodo di coltura per i futuri terroristi delle Brigate Rosse e Prima Linea.Cattolico socialista, poi teorico del marxismo operaista a sinistra del Pci, non ha mai visto un operaio in vita sua. Ricorda Giorgio Pietrostefani nel libro di Aldo Cazzullo I ragazzi che volevano fare la rivoluzione: «Le riunioni si tenevano a Firenze, dove venivano i tre santoni Mario Tronti, Alberto Asor Rosa e Toni Negri. Non si faceva altro che parlare di classe operaia, avevamo la religione della classe operaia, l’operaio era Dio fatto uomo. Ma non ne vedevamo uno. Solo qualche ex, diventato funzionario del partito o del sindacato. Brave persone ma burocrati».Negli anni 70 a Torino e a Milano, Negri diventa amico di Renato Curcio, uno dei capi della lotta armata. Fonda la rivista Controinformazione, pubblica proclami delle Br, dei Nap (Nuclei armati proletari) e dei terroristi tedeschi della Raf. Secondo il brigatista Alberto Franceschini «se qualcuno voleva arrivare a noi, bastava che facesse girare la notizia in Controinformazione». Negri non si sporca mai le mani, teorizza già deliri pseudo-filosofici e pubblica libri nei quali ritiene necessaria la «violenza proletaria». Potere del contrappasso, oggi la sua più grande condanna è quella di essere dipinto dai media mainstream come un titano del pensiero occidentale, a metà strada fra Hegel e Fedez.Arrestato per formazione di banda armata, insurrezione contro lo Stato, promozione di associazione sovversiva, nel 1984 viene condannato a 30 anni di carcere, poi ridotti a 12 in appello. Tutto in contumacia, nel frattempo era già scappato a Parigi. A creare i presupposti per la fuga è la candidatura alla Camera nel Partito Radicale di Marco Pannella. Lui diventa deputato e se la dà a gambe. Quando Giancarlo Pajetta incontra Pannella in Parlamento gli sputa in faccia.Comincia la latitanza dorata, e con essa la beatificazione intellettuale. Lui rilascia interviste, fa il juke-box. Rivela che Bettino Craxi l’aveva messo in guardia da un blitz dei servizi segreti per catturarlo, diventa consulente del dittatore venezuelano Hugo Chavez. Per avere sponde trova il modo di destabilizzare gli adepti con l’eskimo in naftalina solidarizzando con Silvio Berlusconi: «Le operazioni giudiziarie condotte contro di me, con la complicità della sinistra, sono state una premessa alle cospirazioni giudiziarie contro i socialisti ieri e contro i berlusconiani oggi». Da buon italiano finisce per parlare di pallone e se la prende con il povero Marco Materazzi, «simbolo del calcio fascistoide moderno del vincit, regnat, imperat».Nel 2000 ha successo il saggio Impero, diventato un manifesto no global. Nel libro, Negri teorizza la fine degli Stati nazionali e demonizza (con una certa preveggenza) l’imperialismo globale. Alla fine del viaggio, per lui e per i perdonisti di professione vale la sentenza morale pronunciata da Leonardo Marino, il pentito che scoperchiò la botola sulla cricca dell’omicidio di Luigi Calabresi. «Hanno offerto cattedre a Curcio e Toni Negri, mai a un parente delle vittime del terrorismo. Crediamo davvero che chi ha visto il proprio caro esalare l’ultimo respiro in una pozza di sangue, colpito vigliaccamente alla schiena, non abbia nulla da raccontare agli studenti?».
L'ex procuratore di Pavia Mario Venditti (Ansa)
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