2022-05-21
L’America ha perso il tocco magico. Il mondo ora è pronto a smarcarsi
(Debrocke/ClassicStock/Getty Images)
Il sogno a stelle e strisce è stato l’arma non convenzionale con cui Washington ha conquistato e mantenuto il potere. Però la macchina della propaganda è in crisi: per alimentarla è necessario trovare nuovi nemici.Nel linguaggio della sociologia politica si chiama soft power: è la faccia suadente del potere, il potere come seduzione, come modello contagioso che si impone con la forza non muscolare di una «visione della vita». Per comprendere la vicenda nelle sue grandi linee è necessario uno sguardo all’indietro: il trionfo del soft power segna infatti il passaggio epocale dall’era coloniale all’era post coloniale o meglio neo coloniale, che coincide non a caso col passaggio del testimone dall’impero britannico al post impero americano, dopo il 1945. Mentre l’impero britannico esprime, lungo quattro secoli, la quintessenza del colonialismo europeo, come aspirazione al dominio mondiale fondata però sull’uso della forza e sul controllo geloso, aristocratico, dei propri «valori» autoctoni (è un’idea di colonialismo «signorile», o «padronale», dove l’élite dominatrice non globalizza affatto il proprio stile di vita), il neo impero o post impero americano «democratizza» il vecchio colonialismo, mascherando il dominio sotto una panoplia di «valori» che si ritengono universali, e proponendo uno stile di vita (l’«american way of life») che si vorrebbe appetibile per l’intera ecumene. Il vecchio schema padronale «salta», a favore di una occidentalizzazione pervasiva del pianeta, dove l’esportazione massiccia di beni di consumo tipicamente occidentali (e perlopiù consacrati dalla forma di vita americana) «americanizza» vaste regioni del globo, a cominciare da quelle storicamente più vicine - i vassalli euro-continentali - per poi estendersi all’estremo Oriente, all’America Latina, alla stessa India e alla regione indiana. Il vecchio colonialismo rimane sotto mentite spoglie, rinuncia (in apparenza) all’occupazione militare invasiva per nascondersi dietro lo specchietto ideologico di una superiore, perché più appetibile, civiltà del consumo e della merce. Componente essenziale del soft power, o dell’ideologia neo coloniale, è il primato dell’immaginario. Perché l’appetibilità dei beni consumo materiali fa leva anzitutto sui bisogni elementari, ma il ruolo dei «valori immaginari» assume, nel nuovo ordine, un peso incalcolabile. È su questo terreno – della seduzione pura -che l’impero ha inventato e raffinato nei decenni un formidabile sistema di riti incantatori: fatto di cinema hollywoodiano e di musica rock (o anche jazz), e di una sterminata collezione di «icone» planetarie, di marchi pubblicitari vincenti. Sul tentativo di traghettare l’ideologia americana nel nuovo millennio gravano però ombre pesanti. Funzionerà, il tentativo? Molti indizi suggeriscono che la grande macchina incantatoria è in difficoltà: continua a incantare per inerzia e inebetimento ereditario degli incantati, non consapevoli che la melodia del piffero magico sta svanendo. E il suo svanire è percepibile. Il mito dei miti, la frontiera, che è un meta mito perché cambia di continuo fisionomia (dalla conquista del west alla conquista dello spazio, dalla liberazione dell’Europa al cloud al cyborg), si rinnova sì, ma in uno scenario dove i nuovi antagonisti sono mostruosi (la Cina lo è), e non bastano più i riti hollywoodiani a esorcizzarli. L’ideologia americana è in affanno: la creazione necessaria dei nemici funzionali, assunti di volta in volta come figure del male, non si ferma, ma dà segni di sbandamento: ieri il terrorismo islamico, che ha «funzionato» per quasi un ventennio, poi, in rapidissima sequenza, il virus di Wuhan e l’orso russo. Ma è proprio la rapidità della sequenza a tradire l’affanno. Finita la fase romantica del sogno americano, si torna così alla fase muscolare pura. L’alleato di sempre, l’«antica madre» britannica, non tradirà mai, e con tempismo perfetto ha scelto di ricongiungersi, vecchia Inghilterra, alla nuova Inghilterra a sua volta grata e accogliente. E poi ci sono gli altri «occhi», fedelissimi «gioielli della Regina»: il grande Nord canadese (un po’ snob ma alleato incrollabile), e quella miscela perfetta di snobismo anglosassone e di grandi spazi americani che sono l’Australia e la Nuova Zelanda, a presidiare il Pacifico. Tutto il resto si fa ostile, o comunque meno cordiale verso l’egemonia Usa: a cominciare dagli indispensabili sauditi, anche loro in fase di sganciamento. L’enigma degli enigmi è Israele: cinquantunesimo Stato dell’Unione, si sa, ma fino a quando? Il vero dramma è che il soft power, il sogno americano, si è davvero esteso a gran parte del pianeta, ma emancipandosi dalla sua matrice a stelle e strisce, di cui sembra non avere più un impellente bisogno. È un dramma, perché sarà difficile fermarne le «metastasi»: in ogni caso, il cervello wasp non sembra più in grado di controllarle. Mantenere il controllo del pianeta non sarà una passeggiata e tanto meno diventerà un’epopea, come ai tempi di Fort Alamo o del Giorno più lungo: sarà una disperata lotta per sopravvivere, per non cedere lo «scettro» agli astri nascenti ma senza il classico lieto fine. Un nuovo Gibbon, forse cinese, provvederà a raccontare il Decline and Fall of American Empire.