2018-10-22
L’Agenzia delle entrate vessa i piccoli e recupera meno del 3% delle somme
In un libro la testimonianza di un ex dirigente del Fisco: «I controlli andrebbero fatti sui beneficiari di incarichi e appalti della pubblica amministrazione. I sassi del Mose costavano come pepite d'oro».Spiega il tributarista vicentino ed ex dirigente dell'Agenzia delle entrate, Luciano Dissegna: «Per un po' le cose sono andate meglio. Il mio primo direttore, convinto dal sottoscritto a non insistere a danno di un contribuente (che aveva sacrosanta ragione), ma preoccupato di dover adottare una procedura che gli uffici fiscali stentano notoriamente ad applicare (quella di annullare gli accertamenti sbagliati), arrivò a suggerire di ricorrere noi (ufficio) contro il nostro stesso avviso di accertamento. Quando ho scelto di fare questo lavoro ho sempre pensato alla giustizia, a colpire chi abusa della propria posizione a scapito di tutti. Avevo ideali, volevo colpire i grandi evasori, i veri frodatori, i criminali. Insomma: fare indagini, investigare, capire. I veri controlli andrebbero fatti a carico dei beneficiari di incarichi e appalti da parte della pubblica amministrazione. È noto che l'Italia è uno dei paesi più corrotti del mondo. Un chilometro dell'alta velocità qui costa dieci volte di più che in Francia o in Giappone. Il resto sono tangenti, o, per meglio dire, rialzi a iosa, consentiti dal fatto che si possono tranquillamente ricattare i politici e i dipendenti pubblici ai quali sono appena state pagate le tangenti. Le opere pubbliche in Italia finiscono sempre più tardi perché non ci si riesce a mettere d'accordo sull'importo della tangente o, per meglio dire, perché è sempre più difficile pagarle/incassarle (intercettazioni, eccetera). Meglio attendere tempi migliori, tanto le opere pubbliche possono aspettare per decenni (con relativi rialzi). Con l'attuale tassazione (mediamente di due terzi) i rialzi (e le tangenti) se ne andrebbero quasi tutti in imposte. Per evitarlo “bisogna" inserire fatture false tra i costi. Riscontrarle è un gioco da ragazzi. Se lo avessero fatto a Venezia, avrebbero scoperto che i sassi del Mose costavano come le pepite d'oro. Se l'Agenzia non ci ha provato è perché temeva di disturbare i politici (che nominano i suoi vertici). Il controllo degli scontrini invece, per esempio, è una guerra non tanto tra poveri, ma ai poveri. Chi controlla gli utili di un bar è il bar che gli sta accanto (la concorrenza)».La domanda a questo punto è una: perché gli uffici agiscono in questo modo? «I dirigenti», aggiunge Dissegna, «hanno sempre fatto carriera in base al cosiddetto obiettivo monetario: più soldi si incassano, più il dirigente fa carriera e anche introiti. A fine anno i dirigenti più grossi portano a casa anche 70-80.000 euro in più». Quelle di Luciano sono parole forti. Ma si trova in buona compagnia, visto quanto ha affermato qualche tempo fa l'ex ministro dell'Economia, Vincenzo Visco, durante un'intervista rilasciata a Federico Fubini della Repubblica: «Pagare gli ispettori in base ai risultati può portare ad atteggiamenti molto aggressivi, si costringono sotto ricatto gli imprenditori a fare adesioni (patteggiamenti sulle multe) in base a violazioni che in parte non c'erano o non c'erano per niente».Imprenditori sotto ricatto: un'altra considerazione pesantissima che spazza via ogni ipotesi di dubbia interpretazione.Il concetto chiave è quello di «arbitrarietà». Tutto gira attorno a questa singola parola: arbitrarietà nelle valutazioni, arbitrarietà negli accertamenti fiscali, ed è uno dei tasselli più importanti. Anche la Cassazione fotografa lo stesso panorama.Una sua recente decisione (la 35940, 27 luglio 2017) in tema di corruzione tocca lo spinoso profilo dei rapporti affetti da «discrezionalità amministrativa». Dove c'è arbitrarietà c'è inevitabilmente un confine fumoso, grigio, un margine fluttuante sul quale possono giocarsi i destini degli imprenditori accertati su basi non correttamente chiarite e definite. Arbitrarietà nella formulazione delle cifre evase, e quindi della presunta evasione contestata all'imprenditore, ma anche nella riduzione di quelle cifre durante le fasi di mediazione tra Agenzia e contribuente, per arrivare a un'adesione.Tiene a ribadire Dissegna: «Come dicevo, tale discrezionalità nella definizione dei relativi accertamenti non solo permette all'Agenzia delle entrate di raggiungere i famigerati “obiettivi di performance" che generano premi di produzione, ma soprattutto di assegnare premi in termini di carriera per i propri dirigenti. Come se alla magistratura venissero assegnati riconoscimenti in base al numero di anni di carcere inflitti. L'arbitrarietà, si sa, genera corruzione. Ed enorme, considerate le cifre. Senza contare che la possibilità di far risparmiare decine se non centinaia di migliaia di euro a qualcuno equivale alla possibilità di erogare discrezionalmente contributi di pari importo».
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)