
No Bce al Danish compromise: ora tocca a Eba. Stamattina assemblea Unicredit: attesi aggiornamenti sulla strategia.Giù il titolo Banco Bpm dopo il no della Bce all’applicazione del cosiddetto Danish compromise. Quando si avvia una acquisizione di un’altra società, una banca è tenuta ad avere capitale aggiuntivo per compensare l’avviamento. Il Danish compromise consente, al contrario, agli istituti che detengono quote in assicurazioni di beneficiare di uno sconto patrimoniale a tempo indeterminato. Non solo. Una chiarificazione normativa arrivata l’anno scorso dall’Eba ha esteso questo beneficio alle acquisizioni effettuate dalle banche attraverso le controllate assicurative. Mentre ieri si è inserita a gamba tesa la divergenza della Bce. È chiaro che finché non arriverà il parere dell’Eba l’Opa dell’istituto di Giuseppe Castagna su Anima resta più che valida e operativa. Ma la notizia ha avuto diversi effetti. Innanzitutto, non era del tutto attesa. Castagna in occasione della conferenza con Morgan Stanley a Londra aveva lasciato intendere un esito opposto. Così a Piazza Affari il titolo ha risentito sia della potenziale maggiore onerosità dell’operazione in termini di consumo di capitale sia dei possibili riflessi sull’Ops di Unicredit. Le quotazioni di Piazza Meda hanno perso il 4,48% a 9,81 euro. La banca ha sottolineato che non si tratta di una decisione imperativa e che la palla è «in mano all’Eba», ma se l’autorità bancaria europea dovesse confermare questa linea l’acquisizione della Sgr avrebbe un impatto più severo sui coefficienti patrimoniali dell’istituto. Banco Bpm ha quindi ribadito che «il piano strategico 2024-27 ha preso in esame» la possibilità di un mancato riconoscimento del Danish compromise, «che è stata riflessa in uno scenario di worst case in cui il Cet1 ratio rimane al di sopra del 13% (a fronte del 14,4% dello scenario base di applicazione del Danish compromise) e la distribuzione complessiva agli azionisti traguarda l’ammontare di 6 miliardi di euro, superiore del 50% rispetto ai target del piano precedente, equivalenti su base annua a un euro per azione, cui si aggiungerebbe un ulteriore miliardo di euro nello scenario base di applicazione del Danish compromise». Tradotto. Se il successo dell’Opa su Anima non appare comunque in discussione (le adesione hanno già superato la soglia minima del 45% e i soci hanno dato via libera alla rinuncia della condizione di efficacia legata al Danish), la presa di posizione della Bce ha tuttavia prodotto una nuova postura sull’Ops di Unicredit. Se infatti fino a martedì il mercato valutava Banco Bpm a livelli che comportavano uno sconto dell’offerta di scambio pari al 6% circa, ora questo sconto si è compresso ai minimi dal lancio dell’offerta ed è pari all’1,9%. I due prezzi si sono praticamente allineati. Tanto più che molti analisti danno il prezzo di Unicredit in salita. Indicando un ulteriore fattore a favore di Andrea Orcel, che oggi in occasione dell’assemblea di Piazza Gae Aulenti dovrà certamente chiarire la sua posizione. Lo stesso ad di Unicredit, del resto, ha più volte lasciato intendere che l’ipotesi di un rilancio era legata, tra le altre cose, al tema del consumo di capitale nell’Opa su Anima, bollando come uno sviluppo «negativo» da questo punto di vita la possibilità di portare a termine l’operazione senza il Danish compromise. Rileggendo però il comunicato di Unicredit datato 17 febbraio si comprende che l’eventuale «niet» di Bce ed Eba potrebbe imporre la revisione dell’Ops. Salvo altre condizioni. E l’allineamento del prezzo è certo tra queste. La situazione resta dunque ancora fluida e riporta la palla sulla scrivania di Orcel. Il quale sembra aver apparecchiato diverse opzioni da giocarsi all’ultimo. Convinto di accendere l’opzione più conveniente per lui e l’istituto. Non va dimenticato che resta aperta l’offerta sulla tedesca Commerzbank e che Unicredit possiede almeno un 5,2% di azioni Generali. Come utilizzerà questo peso in vista e in occasione dell’infuocata assemblea del 24 aprile. Quando i destini del management del Leone si incroceranno con le mosse del gruppo Caltagirone e l’inserimento nella partita della lista Assogestioni. Unicredit come voterà? Farà confluire il suo pacchetto sui nomi approvati dal comitato dei gestori, rafforzando una lista certamente a trazione Intesa? Al momento non ci sono indicazione, ma gli equilibri si giocano su un ghiaccio sottile. Dando per scontato che la lista di Assogestioni che ha incassato il quorum alle 19 di venerdì scorso sia in attesa soltanto delle pratiche legali. Sul tema questo giornale aveva suggerito un occhio di riguardo alla Consob, visto il particolare flusso di comunicazione. Nessun feedback dall’authority che in questi giorni è impegnata a rivedere alcuni componenti. Lo sceriffo della Borsa, guidato da Paolo Savona, ha infatti comunicato agli stakeholder di riferimento la possibilità di includere come componente del collegio revisore dei conti l’attuale prefetto di Napoli, Michele di Bari. Per un ente autonomo dal governo sarebbe una prima volta. Ricordando che i prefetti sono i rappresentanti dello Stato sul territorio.
Chiara Ferragni (Ansa)
L’influencer a processo con rito abbreviato: «Fatto tutto in buona fede, nessun lucro».
I pm Eugenio Fusco e Cristian Barilli hanno chiesto una condanna a un anno e otto mesi per Chiara Ferragni nel processo con rito abbreviato sulla presunta truffa aggravata legata al «Pandoro Pink Christmas» e alle «Uova di Pasqua-Sosteniamo i Bambini delle Fate». Per l’accusa, l’influencer avrebbe tratto un ingiusto profitto complessivo di circa 2,2 milioni di euro, tra il 2021 e il 2022, presentando come benefiche due operazioni commerciali che, secondo gli inquirenti, non prevedevano alcun collegamento tra vendite e donazioni.
Patrizia De Luise (Ansa)
La presidente della Fondazione Patrizia De Luise: «Non solo previdenza integrativa per gli agenti. Stabiliamo le priorità consultando gli interessati».
«Il mio obiettivo è farne qualcosa di più di una cassa di previdenza integrativa, che risponda davvero alle esigenze degli iscritti, che ne tuteli gli interessi. Un ente moderno, al passo con le sfide delle nuove tecnologie, compresa l’intelligenza artificiale, vicino alle nuove generazioni, alle donne poco presenti nella professione. Insomma un ente che diventi la casa di tutti i suoi iscritti». È entrata con passo felpato, Patrizia De Luise, presidente della Fondazione Enasarco (ente nazionale di assistenza per gli agenti e i rappresentanti di commercio) dallo scorso 30 giugno, ma ha già messo a terra una serie di progetti in grado di cambiare il volto dell’ente «tagliato su misura dei suoi iscritti», implementando quanto fatto dalla precedente presidenza, dice con orgoglio.
Il ministro Nordio riferisce in Parlamento sulla famiglia Trevallion. L'attacco di Rossano Sasso (Lega): ignorate le situazioni di vero degrado. Scontro sulla violenza di genere.
Ansa
Il colosso tedesco sta licenziando in Germania ma è pronto a produrre le vetture elettriche a Pechino per risparmiare su operai, batterie e materie prime. Solito Elkann: spinge sull’Ue per cambiare le regole green che ha sostenuto e sul governo per gli incentivi.
È la resa totale, definitiva, ufficiale, certificata con timbro digitale e firma elettronica avanzata. La Volkswagen – la stessa Volkswagen che per decenni ha dettato legge nell’industria dell’automobile europea, quella che faceva tremare i concorrenti solo annunciando un nuovo modello – oggi dichiara candidamente che intende spostare buona parte della produzione di auto elettriche in Cina. Motivo? Elementare: in Cina costa tutto la metà. La manodopera costa la metà. Le batterie costano la metà. Le materie prime costano la metà. Persino le illusioni costano la metà.






