2020-10-31
Lady Becciu è stata scarcerata. Sospetti su un conto svizzero
Cecilia Marogna e Angelo Becciu (Ansa)
La difesa ottiene la libertà di Cecilia Marogna con l'obbligo di firma. E attacca le indagini.La Corte d'Appello di Milano ha rimesso in libertà Cecilia Marogna, meglio conosciuta come Lady Becciu. I giudici hanno accolto le tesi della difesa guidata dall'avvocato Massimo Dinoia. La donna da ieri, dopo aver lasciato il carcere milanese di San Vittore, ha solo l'obbligo di firma tre giorni alla settimana presso una stazione dei carabinieri. Ha anche il divieto di espatrio e per questo ha consegnato alle autorità il passaporto. La Corte non ha accolto il parere favorevole alla conferma della misura cautelare della Procura generale e del ministero della Giustizia, perché ha condiviso la «complessa tematica» introdotta dalla difesa «in ordine alla possibilità di concedere l'estradizione» della Marogna sulla base delle attuali accuse. Dinoia, però, non ritiene di dover festeggiare: «Una cittadina italiana, con una figlia minorenne, è stata rinchiusa per ben 17 giorni in prigione senza avere ancora nemmeno letto - come chi l'accusava in Italia - il mandato di cattura straniero per cui è stata arrestata». Il primo giornale a parlare dell'inchiesta ai danni della Marogna era stata La Verità, il 5 ottobre scorso. Adesso, grazie alla memoria difensiva, scopriamo che la donna due giorni dopo mandò una mail al segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin. E questa sarebbe la prova dell'assenza di pericolo di fuga. Infatti perché, a sei giorni dal proprio arresto, la Marogna chiederebbe lei stessa di recarsi in Vaticano (lo Stato che emetterà il mandato di cattura) se aveva intenzione di darsi alla fuga? Nel messaggio del 7 ottobre si legge: «Le confermo la mia disponibilità a incontrarla […]. Può contattarmi per telefono per concordare data e orario incontro». In quella mail l'aspirante 007 annunciava di aver «raggiunto la definizione della risoluzione pacifica delle tre persone», una suora colombiana e due cittadini italiani, padre Pier Luigi Maccalli e Nicola Chiacchio. La donna sosteneva di aver ricevuto l'incarico dalla nostra intelligence ad agosto e che aveva «informato della fase ultima» gli attuali vertici, da cui però «non aveva più ricevuto notizie». Forse perché l'8 ottobre, il giorno successivo, i nostri servizi insieme con i colleghi maliani avrebbero liberato i due ostaggi italiani.Il 12 ottobre, poche ore prima del fermo, Parolin ha risposto così: «La ringrazio per la sua mail del 7 ottobre della quale ho preso nota con ogni attenzione. Circa la sua richiesta di incontro, tuttavia, non sono in grado per il momento di venirle incontro». Peccato che per il Vaticano la donna fosse irreperibile. La difesa evidenzia come l'ultima informativa sul suo conto fosse pervenuta ai promotori di giustizia venerdì 9 ottobre, alla vigilia del weekend. Nei successivi quattro giorni, dopo aver letto la nota investigativa, gli inquirenti avrebbero ordinato le ricerche («Per quale motivo se non era ancora stato spiccato alcun mandato?» chiede ironicamente Dinoia), la Gendarmeria le avrebbe effettuate, i promotori avrebbero preso atto della loro infruttuosità e avrebbero disposto il mandato. Ad aggravare la posizione della Marogna sarebbe stato anche il suo allontanamento dalla residenza di Cagliari. Ma la difesa, anche in questo caso, sottolinea come la propria assistita conviva da tempo a Milano con un compagno e che a quell'indirizzo abbia fatto inviare a giugno dei mobili acquistati all'Ikea e l'8 ottobre abbia indicato quel domicilio alla motorizzazione per l'invio della patente. Nell'elenco di stranezze, Dinoia, evidenzia come le indagini siano partite da una segnalazione della polizia di Lubiana, in Slovenia (dove la Marogna aveva il conto) alla Santa Sede: «Che c'azzecca il Vaticano?», si chiede l'avvocato. E qui riporta una notizia, spiegando che i 500.000 euro inviati dalla Segreteria di Stato e utilizzati in parte dalla Marogna per acquistare beni di lusso erano partiti da un contro elvetico del Credit Suisse. Scrive il legale: «Ben difficile che il conto svizzero fosse un conto ufficiale registrato nel bilancio dello Stato. Difficile - se non faceva parte del bilancio dello Stato - poterlo considerare pecunia publica».
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