2021-02-27
Fuori Borrelli: adesso tocca ad Arcuri
Qualcosa (finalmente) si muove dalle parti di Palazzo Chigi: Mario Draghi cambia il capo della Protezione civile Le gaffe collezionate nella prima ondata: dalla misurazione della febbre ai viaggiatori alle mascherine inutili Con un anno di ritardo è stato sostituito il capo della Protezione civile. Agli italiani il suo nome dirà poco o nulla, ma il volto di Angelo Borrelli hanno imparato a conoscerlo a marzo dello scorso anno, durante la prima ondata di coronavirus, quando con un'aria da becchino il responsabile delle emergenze si presentava ogni sera in tv leggendo lugubri bollettini con il numero delle vittime da Covid. Proprio in quei mesi avevamo sollecitato la sua rimozione e non tanto perché nelle conferenze stampa avesse la stessa allegria di un condannato condotto al patibolo: dovendo comunicare decessi, l'atteggiamento da funerale era più che giustificato. No, invitammo il governo a destinarlo ad altri incarichi della pubblica amministrazione per via dei messaggi sbagliati che lo stesso Borrelli diffondeva. Il primo risale a febbraio, una settimana dopo la scoperta in un albergo di Roma di due turisti cinesi contagiati dal virus e una settimana prima che a Codogno scovassero il paziente zero. Intervistato dal Corriere della Sera, il tranquillo Borrelli non sembrava affatto preoccupato dall'emergenza. «In Italia abbiamo monitorato 511.000 persone in tre giorni e abbiamo trovato solo otto persone con la febbre, quindi siamo rassicurati». In che cosa consistesse il monitoraggio, lo abbiamo scoperto dopo: i viaggiatori in arrivo nel nostro Paese erano tenuti a farsi misurare la temperatura con un aggeggio a infrarossi. Una precauzione che, come capisce anche chi non è esperto di epidemie, ha la stessa utilità di quando ci si sfiora la fronte con la mano per accertarsi di non avere l'influenza. Tuttavia, al cronista che lo incalzava chiedendogli se non fosse il caso di istituire controlli nei porti e nelle stazioni, il pacioso Borrelli rispondeva senza esitazioni: «Abbiamo disegnato tutti gli scenari possibili. Al momento, non abbiamo motivo per andare a individuare altri punti da controllare». Che ci fosse invece motivo per farlo e soprattutto che non fossero stati disegnati tutti gli scenari possibili, sarebbe stata una cosa che gli italiani avrebbero presto imparato a loro spese.Certo, l'ex capo della Protezione civile può invocare come attenuante che fino a poco prima si era occupato di terremoti, alluvioni e frane, ma mai di pandemie. Tuttavia, quando l'11 marzo l'Oms dichiarò l'emergenza globale, anche Borrelli avrebbe potuto aprire gli occhi e invece, ahinoi, li chiuse. Il 4 aprile, quando già in Italia si contavano 120.000 contagiati, quasi 15.000 morti e poco meno di 30.000 ricoverati, Borrelli spiegava che la mascherina chirurgica non era necessaria. «Io non la uso perché rispetto le distanze», rispondeva ai giornalisti in cerca di lumi dopo che la Lombardia aveva reso obbligatorio il dispositivo di protezione. Ma poi, a sua giustificazione, il responsabile delle emergenze aggiungeva: «È importante indossarla se non si rispettano le distanze». Peccato che, all'epoca, la Protezione civile indicasse una distanza di sicurezza di un metro, che - anche questo lo abbiamo capito più tardi - non consentiva in alcun modo di evitare il contagio. Borrelli era arcisicuro che fosse sufficiente stare distanziati per non rischiare, tanto sicuro da ribadirlo anche il giorno dopo. «Ho detto che non uso la mascherina, ma rispetto le regole del distanziamento sociale. La mascherina è importante, se non si rispettano le distanze, per evitare l'infezione del virus». Così, migliaia di persone hanno continuato a frequentarsi a distanza, contagiandosi. Ai tempi si dimostrava granitico, al punto da ribadirlo più volte. «L'ordinanza va rispettata, è importantissimo l'uso della mascherina negli ambienti in cui non si riesce a mantenere la distanza in modo rigoroso, nella metropolitana o nei supermercati. Le mascherine evitano la diffusione del contagio, io sto qui dentro tutto il giorno e non la porto perché non mi espongo al rischio con più persone nello stesso ambiente». Quanto avesse ragione, lo abbiamo visto. A un certo punto, quando la situazione era ormai fuori controllo, Giuseppe Conte, come il mago Silvan, decise di farlo sparire, vietandogli di andare in tv. Purtroppo, lo sostituì con Domenico Arcuri, che certo non è meglio di Borrelli, sia per la capacità organizzativa (le forniture di mascherine, banchi e vaccini ne sono la prova), sia per quella comunicativa (l'arroganza durante le conferenze stampa è un tratto distintivo che l'ex capo della Protezione civile per lo meno non aveva). Ciò detto, per fortuna che Borrelli è stato levato di torno, anche se con un anno di ritardo. La lentezza, ovviamente, non si deve a Mario Draghi, che è appena arrivato e per lo meno una decisione - quando il suo predecessore si è sempre rifiutato di assumerla - l'ha presa. Adesso, al nuovo premier spetta però la rimozione più importante, ossia quella dell'amministratore di Invitalia. Di fronte all'emergenza vaccini, Arcuri è il testimonial di un fallimento e ogni giorno che trascorre al suo posto è un giorno perso.
Jose Mourinho (Getty Images)