2023-01-18
La vera storia del Metropol
Gianluca Savoini, Francesco Vannucci e Gianluca Meranda
I rubli non ci sono, il petrolio nemmeno: figuriamoci le tangenti. Ma qualche giornale (e qualche toga) tenta di trasformare un flop in una condanna di Matteo Salvini, mai indagato. Andrea Crippa: «Inchieste a orologeria». Ecco come andarono le cose quel giorno a Mosca. Le mazzette sono a sinistra: Antonio Panzeri confessa, incastra Marc Tarabella e finisce in cella per un anno. Non ci vogliono proprio stare: lo scoop di ieri della Verità, che ha anticipato che la Procura di Milano ha chiesto l’archiviazione dell’inchiesta sui fondi russi alla Lega, mettendo la parola fine a quello che si è dimostrato essere un gigantesco bluff, ha mandato di traverso la colazione ai cronisti dei giornali più ostili al Carroccio e al suo leader Matteo Salvini. Per tentare di arginare l’acidità di stomaco, alcuni colleghi hanno passato la giornata di ieri a inondare i siti web di spezzoni di frasi, ricostruzioni fantasiose, titoli a effetto, lasciando intendere ai lettori che Salvini in qualche modo sia comunque coinvolto in una vicenda che invece, secondo gli stessi pubblici ministeri che hanno condotto un’inchiesta durata ben quattro anni, lo vede completamente estraneo ai fatti. Il comunicato stampa con il quale ieri la Procura di Milano ricostruisce in ben sei pagine la storia di questa inchiesta e la sua conclusione, con la richiesta di archiviazione firmata dal procuratore aggiunto Fabio de Pasquale per i tre italiani indagati, ovvero il presidente dell’associazione Lombardia-Russia, Gianluca Savoini, l’avvocato d’affari Gianluca Meranda e l’ex banchiere Francesco Vannucci, contiene un passaggio dedicato a Salvini che non lascia spazio, o almeno non dovrebbe lasciare spazio, ad alcuna interpretazione, per quanto è limpido: «A prescindere da ogni valutazione», si legge nella nota diffusa dalla Procura meneghina e firmata dal procuratore Marcello Viola, «circa il fatto che il segretario della Lega Matteo Salvini fosse eventualmente a conoscenza delle trattative portate avanti da Savoini, Meranda e Vannucci, volte ad assicurare importanti flussi finanziari al partito, mette conto di evidenziare che non sono emersi elementi concreti circa il fatto che il medesimo abbia personalmente partecipato alla trattativa o comunque abbia fornito un contributo causale alla stessa. Così come», si legge ancora nella nota, «non è stato acquisito alcun elemento indicativo del fatto che egli fosse stato eventualmente messo al corrente del proposito di destinare una quota parte della somma ricavata dalla transazione ai mediatori russi perché remunerassero pubblici ufficiali russi. Proprio per tali ragioni non si è proceduto ad iscrizione a suo carico di notizia di reato e nessuna attività d’indagine è stata svolta nei suoi confronti». Secondo la stessa Procura, dunque, Salvini non sapeva nulla delle mosse di Savoini, Meranda e Vannucci. Eppure, ieri, su Repubblica.it si leggeva un titolo di questo tenore: «I pm: Salvini mai indagato, ma verosimile sapesse». Verosimile cosa, se la Procura nel comunicato ufficiale dice l’esatto opposto? Sul Corriere.it, altro titolone a effetto: «Soldi russi alla Lega, l’operazione fu fatta saltare da chi la stava organizzando. I pm: Salvini sapeva del petrolio, non della tangente». Non solo: l’autore dell’articolo scrive testualmente di «una (quasi) corruzione internazionale», coniando così il concetto giuridico di «quasi reato», che a questo punto potrà essere declinato in ogni modo: già immaginiamo la scena di quando un automobilista che va a 45 all’ora su una strada dove il limite è di 50 verrà fermato dai vigili urbani che tenteranno di comminargli una «quasi multa» per aver «quasi superato il limite di velocità». È probabile che i cronisti che continuano a insistere nel voler riaprire una partita chiusa siano in possesso della richiesta di archiviazione e stiano disseminando un po’ qua un po’ là frasi, stralci di chat e di conversazioni stiracchiandole a dovere per poter continuare a tenere sulla graticola Salvini, ma si tratta di un’impresa assai ardua, poiché il triplice fischio di questa partita durata quattro anni arriva dagli stessi pubblici ministeri, attraverso un comunicato firmato dal procuratore della Repubblica di Milano. L’amarezza di alcuni colleghi è però comprensibile: quando cinque anni fa scoppiò il caso e venne aperta l’inchiesta, alcuni giornali misero in campo una potenza di fuoco, dal punto di vista di titoli e copertine, di tutto rispetto. Salvini invece, a quanto si è appurato, poteva anche essere a conoscenza del fatto che i tre protagonisti italiani dell’inchiesta fossero in contatto con faccendieri russi, Ilya Yakunin, Andrey Kharchenko e un terzo non identificato, ma la sua estraneità a ogni genere di trattativa è nero su bianco nel comunicato ufficiale della Procura sulla archiviazione dell’inchiesta. Inchiesta, si badi bene, partita proprio da alcuni articoli di giornale: «Il procedimento è stato aperto», si legge nel comunicato della Procura di Milano, «dapprima a carico di ignoti, a seguito di notizie di stampa, in particolare gli articoli pubblicati dal settimanale L’Espresso in data 24 febbraio 2019 («Quei 3 milioni russi per Matteo Salvini: ecco l’inchiesta che fa tremare la Lega») e il 3 marzo 2019 («La lunga trattativa di mister Lega») a firma dei giornalisti Giovanni Tizian e Stefano Vergine. Gli stessi fatti erano riportati nel libro, anch’esso a firma Tizian-Vergine, intitolato Il libro nero della Lega, dello stesso periodo. I giornalisti, sentiti come persone informate dei fatti», spiega la Procura di Milano, «confermavano di aver avuto conoscenza diretta della vicenda avendo osservato l’incontro tenutosi all’Hotel Metropol di Mosca il 18 ottobre 2018 mentre si svolgeva (erano seduti ad un altro tavolo) e di essere in possesso di una registrazione audio dell’incontro, non da loro effettuata». Già più volte La Verità ha avuto modo di sottolineare come sia praticamente impossibile che Tizian e Vergine abbiano assistito all’incontro dell’Hotel Metropol tra i tre italiani e gli intermediari russi: mai una foto di quella tavola è venuta fuori. La registrazione di cui si parla, si legge ancora nel comunicato, «veniva consegnata a questo ufficio e dall’analisi tecnica risultava priva di manipolazioni. All’esito delle indagini l’Ufficio ritiene possa dirsi stabilito con un grado di elevata probabilità che ad effettuare la registrazione sia stato l’indagato Gianluca Meranda». È bene ricordare che Meranda, Savoini e Vannucci, sono stati dipinti dalla Verità e da Panorama, in diversi articoli di Giacomo Amadori, come un trio di personaggi improbabili, probabilmente a caccia di qualche buon affare, ma il cui modus operandi sembra più quello di Totò e Peppino che cercano di vendere la Fontana di Trevi a un turista americano che quello di una organizzazione dedita alla corruzione internazionale. L’ipotesi di reato alla base dell’inchiesta, infatti, sarebbe stata quella che attraverso una compravendita di petrolio dalla Russia all’Italia si sarebbe ricavata una provvista milionaria da girare alla Lega. Un tentato finanziamento illecito che pure la Procura esclude categoricamente: «Rimane da osservare», si legge nel comunicato della Procura, «e, in ordine alla residua possibilità di contestare al partito della Lega l’ipotesi di tentato finanziamento illecito che le condotte emerse non hanno raggiunto connotati di concretezza ed effettività idonei a raggiungere, almeno potenzialmente, lo scopo. Inizialmente, e per tutta la trattativa, i partecipanti all’operazione hanno dato come pacificamente acquisita la disponibilità della società ETS del gruppo ENI a sostenere il peso finanziario della transazione, peraltro assolutamente antieconomica visto che ETS avrebbe dovuto acquistare da intermediari (Euro IB), a prezzo pieno, prodotti petroliferi venduti dal fornitore russo con un forte sconto (4% o 6.5%). Non essendosi perfezionata l’operazione di compravendita, neppure a livello di scambio di documenti contrattuali», prosegue la nota, «non appare possibile affermare, con adeguata certezza, se proprio ETS, o altra diversa entità, avrebbe in concreto sopportato l’esborso necessario a consentire la formazione di un margine destinato al finanziamento illegale del partito della Lega. In assenza di elementi concludenti in ordine all’identità dei destinatari delle somme, rinvenienti dalla transazione petrolifera, e al ruolo pubblico dei beneficiari, la contestazione in parola non pare in concreto configurabile». Dunque, niente di niente, anche su questo fronte, ma il Corriere.it non si arrende e parla, anzi scrive, di «(quasi) illecito finanziamento alla Lega». Se non ci fosse (quasi) da piangere, verrebbe da ridere.