2021-12-07
«La tv cambia e si rinnova ma i programmi più visti rimangono i telegiornali»
Lo studioso di ascolti Francesco Siliato: «Le reti generaliste sono resilienti. Tutto è mutato, non l’offerta. Però la battaglia finale con le piattaforme passa dall’informazione»Quando il direttore di Panorama Claudio Rinaldi decise, nella seconda metà degli anni Ottanta, di inaugurare una sezione del settimanale dal titolo «Mass media», era da poco nato l’Auditel. Come capirne di più? Mi fu fatto il nome del siracusano Francesco Siliato, studioso di ascolti tv che aveva appena fondato con Clelia Pallotta, collega nonché consorte, lo Studio Frasi. Più di 30 anni dopo, l’universo tv è mutato completamente. L’offerta di contenuti è esplosa, non arrivando più solo dai cosiddetti broadcaster - Rai e Mediaset, per capirci, la «televisione» - ma da un bouquet sempre più nutrito di fonti (canali digitali, satellite, Internet con le «app» che operano in streaming), che hanno trasformato l’apparecchio, il «televisore», in smart tv.Siliato, come sta la tv?«La televisione sta benissimo, ne va ridefinito il perimetro. Perché oggi abbiamo immagini in movimento su schermi domestici e in mobilità. E quindi: le dirette Instagram, Facebook, Twitch, Youtube sono televisione? E quando Youtube mette in linea programmi televisivi, film, serie, cos’è? Come distinguerla da Raiplay, Infinity o anche Prime video e Netflix? È evidente che il concetto di broadcaster vada rivisitato e esteso, non dimenticando i diversi modelli di business legati alla diffusione di contenuti audiovideo».E le tv generaliste? «Rimangono dominanti, vedono erodere i propri bacini di utenza ma lentamente, considerando che sono ancora seguite da oltre il 60% di chi guarda la tv e che le reti non sono più solo le famose “sette sorelle” (le tre Rai, le tre Mediaset e La7) ma centinaia. Insomma: se la cavano bene, sono resilienti».Nei loro palinsesti quali sono i programmi più visti?«Spesso i telegiornali. Come Studio Frasi abbiamo appena pubblicato una ricerca relativa ad ascolti e share delle edizioni principali dei tg, quelle serali, mettendo a confronto il periodo tra il 26 settembre e il 16 novembre degli ultimi tre anni. Non di rado Tg1 e Tg5 risultano i prodotti più visti di Rai 1 e Canale 5 nell’intera giornata».Ma in termini di telespettatori o in quelli di share, su cui ormai si concentrano giornali, siti, blog?«La misurazione delle audience esiste perché esiste il mercato pubblicitario, altrimenti basterebbe l’antico indice di gradimento. Alla base del mercato pubblicitario c’è il costo per contatto, il rapporto tra investimento e platea numerica. Si “comprano” e si “vendono” le teste, non le percentuali. E lo share è una percentuale, che tra l’altro ha una variabilità legata all’ora di emissione e alla durata. Il che spiega perché certi programmi tirino in lungo oltre ogni limite di umana sopportazione per incrementare lo share. Ma si tratta di mezzucci buoni per le classifiche della stampa e dei social, non certo per il mercato». Per i Tg di che numeri stiamo parlando?«Quest’anno, nell’intervallo citato (26/9-16/11), il Tg1 ha avuto una media di 5.048.000 telespettatori, 23,4% di share, il Tg5 4.177.000, 19,11%. Rispetto allo stesso periodo del 2020 perdono entrambi, come tutti gli altri Tg, perché possiamo supporre che l’anno scorso con la seconda ondata pandemica la gente si sintonizzasse di più sui notiziari per avere aggiornamenti. Il raffronto più omogeneo è tra il 2021 e il 2019. Il Tg1 ha guadagnato mediamente 141.000 telespettatori, il Tg5 ne ha persi 198.000, meno comunque di Tg2 (-209.000) e di Studio aperto delle 18.30 (-212.000), che è quello che registra la performance peggiore».E la migliore?«Quella della Tgr, la testata giornalistica regionale della Rai, che nell’edizione delle 19.30 arriva a una media di 2.800.000 telespettatori, con una crescita sul 2019 di 300.000 teste».La Tgr? Proprio quella per cui sono ai ferri corti l’amministratore delegato Carlo Fuortes e l’Usigrai, il sindacato dei giornalisti interni. Che gli rimprovera la contraddittorietà: da un lato dice di non voler seguire la bussola dello share, dall’altra taglia l’edizione notturna dei Tgr, colpevole di «un crollo di ascolti in termini di share»?«Per principio, non mi sono mai occupato di nomi, nomine, polemiche politico-partitico-sindacali e, nel caso della tv pubblica, della pratica della lottizzazione, comunque poco commendevole. Sono un addetto ai lavori che mette sul vetrino del microscopio gli ascolti, e quelli leggo e interpreto».Come mai i Tg mantengono questa presa sul pubblico?«C’entra anche il fattore demografico. In Italia la vita media continua - comunque e per fortuna - ad allungarsi, collocando il nostro Paese tra i più longevi d’Europa. Così, Studio aperto è il Tg con il target relativamente più “giovane” (età media 53 anni, 54 quella di chi si sintonizza sul Tg5) per arrivare al TgLa7 (62 anni), quindi al Tg1 (64), infine al top dei 65 del Tg3».Da dove nasce la sua passione per le dinamiche tv?«Dopo la laurea in Scienze politiche nel 1971, partecipai alla costituzione di una cooperativa a Milano, Index, che considerava l’informazione come un sistema da approcciare nel suo insieme. Cominciammo pertanto ad occuparci di contenuti e all’economia dei media. Abbiamo scritto dal primo all’ultimo numero le pagine finali della rivista Alfabeta, titolate “Giornale dei giornali” e “Indice della comunicazione” che curavo personalmente. Passare dallo studio dell’audience dei quotidiani a quella della tv è stata un’evoluzione conseguente».Dalla tv in bianco e nero, vista con gli amici al bar - con un solo canale Rai, poi due - a quella a colori, quindi l’avvento delle tv private e delle reti allora Finivest. Con il terzo millennio, l’accelerazione: tra il 2000 e il 2010 lo sbarco in Italia di Sky, tra il 2010 e il 2020 la nascita delle diverse piattaforme in streaming, menu on demand e palinsesti personalizzati. Dalla televisione-televisore, focolare attorno a cui si riuniva la tv, alla televisione sullo smartphone...«Sì, è cambiato tutto, ma non l’offerta, siamo sempre lì a guardare film, serie, documentari. Perché è questo che ci viene propinato. Tutte offerte smorte, propongono il già finito, il registrato, il passato. Le Ott, le Over the top, le imprese che diffondono contenuti via Internet guardando avanti, l’hanno capito da un pezzo. Amazon compra Twitch con videogiochi e dirette di ogni sorta, Netflix a sua volta propone giochi interattivi, Prime video compra diritti per le dirette d’eccellenza, quelle sportive. La battaglia finale passerà da lì, dalle dirette, e quindi anche dall’informazione, con gli aggiornamenti in tempo reale attraverso le breaking news».E i talk show?«Per come sono fatti - stessi conduttori, ospiti, politici, opinionisti, l’identica compagnia di giro - non hanno più molto appeal, e infatti accusano un’evidente stanchezza, dopo di che - costando poco - tutte le reti generaliste, con la sola eccezione di Italia1, ne programmano ciascuna anche più di uno».Oggi ha ancora senso una rubrica di critica tv?«Se coniuga la radiografia di investimenti e ascolti, sì. Ossia quando è in grado di svelare i meccanismi e le scelte di palinsesto, la ricerca dei target e - nel caso del servizio pubblico - il grado di coesione sociale di una rete, un programma. Se invece sono solo una palestra di “mi piace”/“non mi piace”, anche se motivati con belle parole e buone citazioni, dietro cui però si intuiscono simpatie o antipatie “a prescindere”, allora no».L’Auditel è ancora uno strumento valido?«Assolutamente sì. L’Auditel tradizionale funziona sempre con un panel di famiglie e un meter collegato al televisore dal quale rileva l’audio - audiomatching - che collega all’emissione delle reti rilevate. Poi c’è un Auditel digitale, che rileva i movimenti sulle app dei broadcaster che lo richiedono - Rai, Mediaset, Sky, Discovery, La7 - e fornisce dati sul numero di click, sui minuti di connessione e altro. Il prossimo step, forse già in primavera, sarà la rilevazione delle connessioni. Auditel ha saputo progredire con le novità tecnologiche e i mutamenti radicali che sono avvenuti nell’offerta di televisione, funziona bene, e a breve fornirà la mitica total audience con metriche condivise e attendibili più di quelle che circolano oggi. Del resto, il caso Dazn con l’autodeterminazione dei propri ascolti, su cui c’è ancora polemica, ha finito con il certificare che senza Auditel non si va seriamente da nessuna parte».Amazon prime, Netflix, Disney+ etc : i loro ascolti sono rilevati? Squid game è stata definita la serie più vista di sempre su Netflix, è stato calcolato anche il ritorno economico (il che ha spinto a mettere in cantiere la seconda serie), a fronte di meno di 30 milioni di dollari investiti, il traffico avrebbe generato incassi superiori ai 900 milioni...«Possono dire quello che gli fa più comodo. Sono tutte autodichiarazioni, “dati di prima parte” come si dice in gergo. Si potrebbe persino fantasticare che Squid game sia diventato popolare dopo le campagne di stampa su giornali e social, anche ricorrendo a influencer utili alla causa, e che fino a quel momento fosse un flop. Sarebbe interessante conoscere il numero di account che l’hanno seguito prima della grancassa pubblicitaria, e cosa è successo dopo. Senza Auditel, e comunque senza un credibile certificatore terzo, tutto è aleatorio. Detto questo, è significativo che Netflix abbia deciso di diffondere i dati, in ore di visione, della propria offerta. Così a proposito di Squid game scopriamo che nel giro di due settimane (13-19 e 20-26/09) è passato da 63.000.000 a 449.000.000 ore di visione: a global word of mouth, un istantaneo e repentino passaparola mondiale? Mah».
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
Continua a leggereRiduci