2019-04-16
La Tigre spelacchiata torna e sbrana tutti ma Woods non è il solo Lazzaro tra gli atleti
Il golfista era finito 1.199° nel ranking, però si è ripreso il Master. Michael Jordan e Martina Navratilova in trionfo dopo il ritiro; Muhammad Alì oltre la squalifica.Ha usato un ferro corto, come quello che sua moglie Elin gli aveva stampato sulla fiancata del Suv cacciandolo di casa 11 anni fa nella notte della resa dei conti. Lo ha tolto dalla sacca, lo ha impugnato come si terrebbe in mano un uccellino («non così largo da lasciarlo scappare, non così stretto da fargli male») e ha messo la pallina a 10 centimetri dalla buca. Una volta, poi un'altra ancora. Allora si è sentito un tuono formato dallo stupore di 50.000 persone pietrificate, un ruggito uscire dalla foresta di Augusta (Georgia). La tigre stava tornando dall'inferno. Un po' invecchiato, stempiato e sovrappeso, ma con la maglietta rossa della domenica (pura scaramanzia) e gli occhi inconfondibili del predatore, Tiger Woods ha vinto il Masters, ha conquistato il 15° major di golf a 43 anni e ha indossato la classica giacca verde di due taglie più grande rispetto a quella che s'era portato a casa proprio qui nel 1997, nel torneo che lo aveva rivelato al mondo.Coincidenze per un campione risalito dagli abissi come pochi altri, a dimostrare che il talento senza forza di volontà non è nulla, a confermare quel motto di Albert Einstein: «Il genio è 1% ispirazione e 99% traspirazione». E alla fine, impazzito di gioia, dopo aver stretto la mano alla schiera degli umani battuti (fra i quali il nostro Francesco Molinari, quinto dopo tre giorni in testa, annichilito dalla maledizione di dovergli giocare accanto), ha trovato ad aspettarlo una piccola signora in lacrime, sua mamma Kultida che mai lo ha abbandonato, accompagnata dai nipotini Sam e Charlie che per la prima volta hanno visto dal vivo e non solo su YouTube chi è il loro papà.Tiger Woods il reprobo e il puttaniere, lo stesso che oggi viene celebrato da Donald Trump («È un uomo vero»), da Barack Obama («È entrato nella leggenda»), da tutta l'America in fila per chiedergli un autografo o per fargli firmare un contratto. Quello che nessuno riconosceva per strada, che per 10 anni era stato abbandonato dagli amici e dagli sponsor nella stagione dei tradimenti, del divorzio, delle pornostar, del ricovero nella clinica per dipendenti da sesso, delle scuse pubbliche, dell'arresto per guida in stato di ebbrezza e dell'oblio. «È finito», si passavano la voce gli esperti vedendolo trascinarsi nei circuiti minori con il drive a banana e la schiena a pezzi. «È un rottame», continuava a puntualizzare la critica nel 2013 mentre lui provava a risalire la china aggrappandosi al ricordo di ciò che era stato, a quattro interventi chirurgici ai muscoli dorsali, agli antidepressivi (la foto di lui in macchina imbottito di pillole fece il giro del mondo) e al numero della porta dell'inferno: 1199. Nel ranking mondiale del golf, il numero uno per antonomasia (come Roger Federer per il tennis, LeBron James per il basket, Lewis Hamilton per la F1) solo un anno e mezzo fa era finito laggiù. Non c'è niente da fare, la leggenda del santo bevitore non ha tempo. Chi cade può rinascere, non è la prima volta e nello sport è un classico. Uno dei primi vip a complimentarsi con Tiger Woods è stato Michael Jordan, che di ritorni se ne intende. A 30 anni, stanco di segnare canestri, lasciò il parquet con tre anelli alle dita, tre titoli Nba con i Chicago Bulls, per andare a giocare a baseball. Bravino, niente di più. «Non mi piace masticare chewing gum dalla mattina alla sera», disse tre anni dopo ripresentandosi davanti a Phil Jackson, il coach filosofo. Con lui, la sporca dozzina di Chicago avrebbe vinto altri tre anelli. Ma il ritorno più famoso della storia fu quello di Muhammad Alí, già campione olimpico e campione del mondo dei massimi, dopo la ribellione davanti alla cartolina di leva destinazione Vietnam («Nessun vietcong mi ha mai chiamato negro»), la prigione, la battaglia legale, la riabilitazione. E poi il doppio match con Joe Frazier. E infine la notte leggendaria di Kinshasa contro George Foreman, quando loro erano re e la boxe era regina. Non c'è bisogno di scomodare l'epica per i ritorni di Mats Wilander e Martina Navratilova su un campo da tennis. Quest'ultima, dopo aver interrotto per sei anni l'attività, nei dintorni degli «anta» ha rivisto una racchetta appesa, l'ha impugnata ed è ripartita: grande slam nel doppio misto a 50 anni, una macchina atletica perfetta. Niente a che vedere con Bjorn Borg, uscito dal campo a 26 anni dopo avere vinto tutto e rientrato otto anni dopo (1991) con la sua racchettina Donnay di legno per perdere a Montecarlo da un onesto arrotino come Jordi Arrese. Quel giorno Claudio Colombo sul Corriere della Sera scrisse: «Sul centrale è sceso un signore che dice di essere Bjorn Borg». Sui pattini è tutto più facile, almeno per Katarina Witt che riuscì a vincere due ori olimpici nell'artistico con la Germania Est, si ritirò, posò nuda per Playboy e tornò a Lillehammer (settima) a danzare sotto la bandiera della Germania unita. Poi, stupenda e inavvicinabile anche per un macho di successo come Alberto Tomba che a Calgary le aveva fatto una corte spietata, recitò nel film Ronin accanto a Robert De Niro. Il più potente ritorno italiano è stato quello di Jury Chechi, il signore degli anelli con quel nome in onore di Gagarin, oro olimpico ad Atlanta nel 1996 (frase storica «prima delle finali mangio un vasetto di Nutella»), una leggenda della ginnastica appesa lassù come un Cristo il venerdì santo. Ritiratosi nel 1997 per totale demotivazione, rientra nel 1999 ma passa attraverso il calvario degli infortuni, che gli impediscono di giocarsela ai Giochi d'inizio millennio a Sydney. Torna ad allenarsi duramente per Atene 2004, fa il portabandiera. Poi sale in pedana, spara un esercizio pazzesco e a 35 anni vince il bronzo. Le storie dei campioni senza tempo hanno bisogno di un dramma, di una caduta, perché gli dei non sono interessati ai contabili della vita. «Le storie dei campioni senza tempo fanno felici gli uomini senza storia», diceva Umberto Eco. Così, da domenica sera negli States c'è un essere umano più felice di Tiger Woods. È la sconosciuta che ha scommesso 85.000 dollari sul trionfale ritorno di un ex alcolista fedifrago di 43 anni con le mani che tremavano, e oggi ha sul conto 1 milione e 19.000 dollari in più. Forse non ha mai usato un ferro corto, di sicuro non accenderà mai più un ferro da stiro.