Ad Alessandra Dal Verme spetterà il compito di fare da anello di congiunzione fra il governo, i sei manager del premier e le partecipate. Per il comitato, si parla di Fabrizio Barca e Riccardo Cristadoro, consulente di Palazzo Chigi.
Ad Alessandra Dal Verme spetterà il compito di fare da anello di congiunzione fra il governo, i sei manager del premier e le partecipate. Per il comitato, si parla di Fabrizio Barca e Riccardo Cristadoro, consulente di Palazzo Chigi. Lo scorso settembre, senza particolare preavviso, veniva sostituito il vertice dell'ispettorato generale del Mef. Alessandra Dal Verme veniva spostata con il ruolo di consulente del gabinetto e sostituita da Nunzia Vecchione, da tempo funzionaria del ministero e moglie di Giampiero Camicioli, anch'egli funzionario del Mef da poco andato in pensione. Il cambio di testimone ha fatto parlare non poco i corridoi romani. Nunzia è la sorella di Gennaro Vecchione, capo del Dis e molto vicino al premier Giuseppe Conte. Motivo per cui gli osservatori si sono concentrati sull'ispettore entrante senza chiedersi che cosa avrebbe fatto l'uscente: l'ottima Dal Verme (chi la conosce la definisce così per le sue capacità tecniche). A distanza di tre mesi l'arcano è sciolto. Sarà lei a coordinare nel dettaglio la creazione e la formazione della task force dedicata all'uso dei fondi del Recovery plan. Stando a quanto risulta alla Verità l'idea sarebbe di assegnarle l'incarico di fare l'anello tra i sei manager e i numerosi consulenti più vicini alle aziende partecipate di Stato e il governo stesso. Il curriculum è perfetto. Negli ultimi anni si è occupata di problemi economici e finanziari concernenti la cooperazione internazionale e pure di rappresentare il governo in sedi estere tra cui Ocse, Unido, Fao e pure il Consiglio Ue. Di Europa ha poi grande contezza dal momento che le capiterà spesso di frequentare Paolo Gentiloni, neo commissario all'Economia. La Dal Verme ha infatti sposato il fratello dell'ex premier piddino. È ancora troppo presto per capire come andrà a finire il braccio di ferro tra Conte, Italia viva e fette di Pd. Ma è certo che a far alzare la barriera dei renziani e degli altri oppositori ha contribuito anche l'idea di affidare la regia dei registi a una figura sì preparata ma considerata troppo vicina a Gentiloni e quindi all'Ue stessa. Quando Renzi critica l'idea stessa di dare in outsourcing il progetto più importante degli ultimi 50 anni non sbaglia. Certo, è facile immaginare che lo faccia perché non vuole farsi escludere. E che la battaglia si riduca a un mero concetto di poltrone. Però è innegabile che di fronte a 209 miliardi di euro (cifra che messa assieme vale quanto dieci leggi finanziarie standard) ci vorrebbe maggiore trasparenza. Al momento attorno ai nomi degli ipotetici sei manager c'è molto fumo. Arrosto zero. I quotidiani hanno ipotizzato possano essere coinvolte figure come l'ex ministro Fabrizio Barca o Riccardo Cristadoro, già Bankitalia, e ora consulente del premier. C'è sempre Elio Catania. Oppure l'ex commissario di Alitalia, Stefano Paleari, oppure Giacomo Mancini, già rettore di Viterbo e oggi consulente del ministero dell'Istruzione. Nei giorni scorsi alcuni giornali hanno avanzato l'ipotesi che potessero essere cooptati direttamente i capi delle partecipate di Stato. Impossibile da un punto di vista tecnico, sebbene corretto da un punto di vista pratico. In realtà sarà facile immaginare che, se mai dovesse prendere vita, questa task force possa assorbire in sé qualche manager di seconda fascia proveniente da aziende come Eni, Leonardo, Enel o le altre big. Immaginare che importi come quelli in via di discussione attorno al Recovery fund non passino dai colossi sarebbe impossibile. Bisogna essere grossi per poter spendere tali somme e aver la possibilità di gestire migliaia di fornitori. Non è un caso infatti che lunedì in una azienda come Ferrovie dello Stato, che da sola avrà il compito di gestire un quarto dell'intero budget, si sia consumato uno squarcio di tale entità. Per la prima volta un presidente ha bocciato le nomine avanzate dall'ad su proposta del Mef.Gli eventuali manager a capo della task force avranno il compito di interfacciarsi con gli ad delle partecipate e alla fine selezionare i progetti che porteranno a casa i soldi. Chi viene escluso resta all'asciutto.È facile immaginare come i partiti siano inferociti contro Conte. Così come è facile immaginare quale sia il potere di chi sarà incaricato di avviare tutta la macchina e dire pure la sua sulla scelta dei giudici cosiddetti «tecnici». Se alla fine dovesse toccare alla Dal Verme dare il calcio di avvio, ci sarà da aspettarsi qualche polemica in più. Certo l'uomo dello «Stai sereno» ha cominciato in anticipo. Da giorni si batte contro la task force e ieri ha provato l'affondo finale. «A chi dei suoi collaboratori continua a chiamare le redazioni dei giornali per dire che noi siamo alla ricerca di qualche poltrona», ha detto in Aula Renzi rivolgendosi al premier, «le comunico che se ha bisogno di qualche poltrona ce ne sono tre: due da ministro e una da sottosegretario a sua disposizione in più. Se invece ha desiderio di ragionare sul serio, concretamente, per il bene del Paese, spieghi ai suoi collaboratori che questo non è un talk show, non è il grande fratello, ma il Parlamento», ha concluso provando l'ultimo strappo. C'è infatti la possibilità che Ungheria e Polonia trovino la quadra con la Germania (ottenendo di più). A quel punto potrebbe partire tutta la macchina, con il controllo ferreo dell'Unione europea.
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