2019-02-13
Giorgino: «La stampa è accecata dai pregiudizi ma l’Italia non è in mano ai barbari»
Il volto noto del «Tg1» si racconta e parla del presente: «I giornali mainstream non riescono a nascondere la loro ostilità. Ma Salvini e Di Maio hanno innovato la comunicazione politica e stanno convincendo».«Di Maio buca il video». Lo dici da giornalista o da professore? «Da entrambi i punti di vista. Il M5s ha un trittico di comunicatori: Di Battista per i palati più forti, Conte per i più moderati, Di Maio per tutti».E la Lega? «Ha un solo modello comunicativo ed è vincente: Matteo Salvini. È su tutti i temi, su tutti i media. È cross canale e cross mediale. Arriva ovunque con una narrazione che a qualcuno potrà non piacere, ma che è coerente e convince una quantità enorme di cittadini». Dici e scrivi che questo governo è combattuto da mille pregiudizi. «Ed è innegabile. Attaccato, osteggiato, come se fossero arrivati i barbari». Da adolescente suonava la batteria. È anche istruttore di tennis. Francesco Giorgino è uno dei volti più noti del Tg1. Ha appena pubblicato per la Luiss un libro sul rapporto tra la politica, la comunicazione e il marketing. Si intitola Alto volume. In questa intervista per la prima volta spiega cosa pensa della politica che racconta. Da che famiglia vieni? «Una tipica famiglia del Sud. Mio padre Antonio è un avvocato civilista che è stato ai vertici del mondo forense. Oggi ha 82 anni e non si staccherà per nulla dal suo mondo». E tua madre? «Insegnante elementare finché non le è capitata la sventura di ritrovarsi con un marito e tre figli maschi». (Ride). I tuoi due fratelli, Nicola e Riccardo, sono avvocati come voleva tuo padre... «Sì, Nicola fa anche il politico. È al suo secondo mandato da sindaco di Andria». Era di Forza Italia, adesso è salviniano. «È vicino a Salvini, ma non da oggi». Tu invece volevi fare il giornalista, fin da piccolo. «Vero. È anche merito della professoressa Alicino, che alle medie ci spediva per Andria con il registratore a raccogliere interviste tra la gente». Poi c'è stato un altro fattore decisivo, vero?«Sì, la visita guidata della scuola alla Gazzetta del Mezzogiorno: fu una folgorazione, avrei voluto rimanere tra le rotative a sentire l'odore dell'inchiostro appena stampato».Chi è stato il tuo maestro? «Tutti coloro con i quali ho lavorato e mia nonna Maria».Che c'entra tua nonna? «È stata il mio primo pubblico. Aveva una specchiera molto lunga: mi ci mettevo davanti. Facevo la sintesi dei discorsi politici e mi cronometravo». Eri un malato, confessa. «No, un perfezionista. È un'altra cosa». E tuo padre? Avrà sofferto, immagino. «Una volta realizzai un'intervista ad Ambra Orfei a cavallo. E accompagnai il servizio con il brano Just an illusion degli Immagination». E lui? «Era molto perplesso. Mi guardò e disse: “Ma tu cosa vuoi fare nella vita?"». A ventuno anni sbarchi a Roma, da stagista, nell'ufficio stampa della Dc. Nel pieno dell'era forlaniana. «Sì, il direttore del Popolo era Sandro Fontana. Lavoravo con Enzo Binetti al Dipartimento Stato e istituzioni e con Enzo Carra all'ufficio stampa».La prima pioggia di soldi? «Macché: lo stage era gratuito, e con i pezzi, quando arrivavo a 500.000 lire era un miracolo. Mio padre mi manteneva a Roma». Il tuo ufficio era nella mitica sede di piazza del Gesù.«A Palazzo Cenci Bolognetti. Carra aveva sul tavolo un telefono blu che era una linea diretta con Forlani. Lo poteva toccare solo lui. Ma un giorno Carra non c'era e il telefono squillava all'impazzata». E tu? «Chiesi alla segretaria: “Rispondo io?". Lei mi autorizzò e parlai per la prima volta in vita mia con Forlani. Mi pareva di essere al cospetto del Re Sole». E come fu il tuo primo dialogo con il segretario della Dc? «Poco più di “buongiorno" e “buonasera". Aveva uno stile d'altri tempi, ovviamente gli davo del lei. Un giorno gli portai un'agenzia di stampa: “Guardi che Fini l'attacca"». E lui?«Mi guardò stupito e mi chiese: “Ma Fini chi? Quello dei tortellini?". Erano i primi passi mediatici del futuro leader di An». La storia della Dc stava per finire. «Per me l'immagine che chiude quell'epoca è quella di Carra con le manette nel febbraio del 1993 durante l'inchiesta Mani Pulite».Ti colpì perché gli eri affezionato?«Non solo, anche perché è una persona perbene. Si stavano accanendo contro il potere. Ma soprattutto mi indignò l'uso sconsiderato delle manette e della gogna mediatica». Nel 1991 ti conquisti il primo contratto in Rai, anche se vieni assunto nel 1996 da Marcello Sorgi.«Avevo dato il tormento a Bruno Vespa con decine di telefonate e riuscii ad avere un colloquio con lui». E cosa ti disse? «Mi fece fare un provino davanti alla telecamera: “Si vede che hai tecnica!", mi disse. Ma poi, dopo aver sentito quello che dicevo mi guardò costernato: “Figlio mio! Devi fare subito un corso di dizione"».Avevi l'accento terrone? «Fortissimo. Dicevo “Nicóla" e storpiavo le vocali: aperte quando devono essere chiuse e viceversa. Un dramma». Vieni assunto con il cosiddetto ex articolo due.«E spedito subito a Uno Mattina, che era la nave scuola del Tg1. Prendevo poco più di un milione di lire». Non ti sei più mosso dal Tg1. «È stata una gran bella gavetta. Sono partito dalla redazione società, poi la cronaca. Redattore, caposervizio, vice caporedattore. E poi caporedattore del politico e caporedattore centrale. Sono 28 anni che lavoro al Tg1. È la mia seconda famiglia». Sei stato anche uno dei più giovani uffici stampa del primo governo Berlusconi. «Con la Rai dei professori i precari vennero mandati via e rimasi alcuni anni a spasso». E come andasti al governo? «Stavo collaborando con Il Tempo. Paolo Francia, che era il vicedirettore, mi trovò un posto da capo ufficio stampa con il papà della Bernini - di cui era amico e concittadino - al ministero del Commercio estero». Marco Damilano ha raccontato che Berlusconi disse al direttore del Tg1, Giulio Borrelli: «Ma questo ragazzo così bravo lo vogliamo far lavorare?». «Stimo Damilano, ma onestamente è una fake news! Avevo conosciuto Berlusconi ai tempi del suo primo governo e mi aveva salutato in maniera molto cordiale. Stop. Borrelli, fra l'altro, era notoriamente un giornalista di sinistra». Però ti ha promosso. «Puntava molto su Mauro Mazza e su di me. La politica non era l'unico motivo di carriera, grazie a Dio». Il colpo grosso è stata la promozione in conduzione.«Ci fu una reazione a catena che mi favorì. Sposini conduceva le 20 e tornò al Tg5. Sassoli dalle 13.30 andò alle 20. E io presi il suo posto all'ora di pranzo». Diventi subito popolare e corteggiato dalle donne. «Quasi subito, ma non sono mai stato un grande rimorchione». Insegni in tre università, di belle ragazze ne vedrai tante...«All'università sono asessuato...». Nel 2003 arrivi a condurre il Dopofestival. «A Rai 1 mi avevano notato. Il primo a invitarmi come ospite in trasmissione fu Paolo Limiti, nel suo programma dopo il tg. Iniziavo ad avere un minimo di notorietà». E cosa succede? «Una serie di eventi casuali. Un giorno a Fregene entra in un ristorante Giorgio Panariello». Vi conoscevate? «Mai visto prima in vita mia. Ci presentiamo e mi dice che sarebbe andato ad Andria per lo spettacolo itinerante di Rai 1: “Vorrei che tu fossi con noi sul palco"».E fu importante? «Con Tosca d'Aquino il tormentone era lei che chiamava Panariello così: “Giorgino!!!". Ad Andria finalmente arrivò il Giorgino vero». Capisco: effetto sorpresa. «Improvvisai. In prima fila c'era Agostino Saccà. Dopo lo spettacolo mi convocò: “Devi fare intrattenimento"». E come accadde? «Un giorno ero ospite di Radio2 da Baldini e Fiorello che si mise a fare l'imitazione di Saccà. Finito il programma, squillò il telefono e così sentii di nuovo la voce di Saccà: “Ti vogliamo al Dopofestival!"». Era Fiorello? «No, era proprio Saccà. Mi disse: “Ti sta per chiamare Baudo". Ma Baudo all'inizio era un po' perplesso: “Non vorrei che sembrassi un pesce fuor d'acqua"». Poi ti prese. «Sì. Davanti al teatro di Sanremo, durante le prove mi disse: “Intrattieni la platea"».Però hai abbandonato la carriera nello show. «Finito Sanremo chiamai Albino Longhi, all'epoca direttore del Tg1, e gli dissi: “Torno in conduzione"».Dal 2000 conduci ininterrottamente. Con l'eccezione del litigio con Mimun .«Eh già. Si arrabbiò per alcune cose attribuitemi da Libero e che io smentii immediatamente. Mi tolse dalla conduzione delle 20 e dopo alcuni mesi mi rimise in video». E oggi cosa gli dici? «Gli rispondo come fa Salvini con i suoi critici più severi: un bacione a Mimun! Punto».In Rai ti sei anche fidanzato e sposato. «Sì, molti anni fa con una ragazza di Velletri che faceva l'assistente alla regia del Tg1. Oggi fa la regista della Vita in diretta».Sei di destra? «Non sono un politico, sono un giornalista che ha le sue idee: un liberale, un moderato, un cattolico». A La7 hai detto di essere d'accordo con Salvini sugli sbarchi. «Ne sono convinto. L'immigrazione va affrontata in modo sistemico e non emozionale».Cosa ti stupisce nelle polemiche politiche di questi giorni? «L'ostilità del mainstream per i gialloblù. Sono considerati usurpatori». E tu non ti senti mainstream? «Io sono quello che vedi: uno studioso, un giornalista che si sforza di agire con equilibrio, con curiosità e senza pregiudizi».