2019-09-04
La spruzzata verde nel governo dei gretini
L'hanno chiamato Green new deal, nome altisonante e in inglese perché fa più chic. È il libro dei sogni ecologisti. Ha uno scopo: nascondere il nulla del programma con il «radicale cambio di paradigma culturale» o la «protezione della biodiversità e dei mari».Da semaforo rosso a semaforo verde. In fondo è tutta una questione di colore. E ora, per l'appunto, il colore è verde. Molto verde. Me la immagino la soddisfazione nella stanza chiusa, dopo ore di trattative inconcludenti, quando è stata trovata l'idea giusta. Pd e 5 stelle avevano messo giù una lista di punti così generici che in confronto la pace nel mondo e «mettiti la canottiera se no prendi freddo» sarebbero stati un esempio di fattiva concretezza. E a quel punto, probabilmente, sono stati colti dall'angoscia: «Che cosa diamo in pasto ai giornali?». Me li vedo rigirarsi tra le mani le diciture dei 26 punti, tutte di drammatica vaghezza (punto 3: «è essenziale investire sulle nuove generazioni»; punto 7: «occorre potenziare la ricerca»; punto 9: «occorrerà rafforzare la coesione sociale», etc.). Me li immagino sempre più sconsolati. Fino a quando qualcuno, oppresso dall'atmosfera pesante di afrori e sudori, non ha implorato: «Aprite la finestra, c'è bisogno di un po' di aria pulita». Come hai detto? «Aria pulita». Ripetilo: «Aria pulita». Illuminazione. «Siete tutti d'accordo?». Per la prima volta nella stanza si sono accorti che c'era l'intesa. Il punto decisivo del programma è stato scritto in quel momento. Fra cori d'entusiasmo. «Puntiamo sull'aria pulita», hanno esultato. E così è nato il governo dei gretini. L'hanno chiamato all'americana Green new deal. Che ci volete fare? In inglese fa ancora più chic. E poi ci hanno dato dentro, al punto 6 dell'accordo, chiedendo un «radicale cambio di paradigma culturale» (niente di meno), la «protezione della biodiversità e dei mari» (non poteva mancare), il «ricorso alle fonti rinnovabili» e il «contrasto dei cambiamenti climatici», senza dimenticare ovviamente le «prassi socialmente responsabili da parte delle imprese», la «transizione ecologica» e l'obiettivo aureo, quello di «indirizzare l'intero sistema produttivo verso un'economia circolare». Il che significa, ovviamente, che tutto ciò che finisce deve rigenerarsi. Un po' come la cadrega di Giuseppe Conte a Palazzo Chigi, insomma. «Che bella l'economia circolare! Che bello il paradigma culturale». Immaginatevi l'entusiasmo in quella stanza (con l'aria finalmente un po' più respirabile), dopo ore di zuffe su ogni argomento. Tav? Mah. Immigrazione? Beh. Reddito di cittadinanza? Gulp. Riforma fiscale? Resta vago. Banche? Scrivi che va tutelato il risparmio. Con Maria Elena Boschi? Non c'era argomento su cui, in quelle riunioni, non si scornavano come bisonti, fino a quando sono arrivati alla «protezione della biodiversità e dei mari». Ditemi voi: chi può essere contro la protezione della biodiversità? Chi può essere contro la protezione dei mari? «Noi abbiamo sempre difeso i tonni, anche quelli dello scatolette», festeggiavano i 5 stelle. «E noi abbiamo sempre protetto gli squali», sorridevano i piddini. E l'intesa è andata via liscia. Green light. L'entusiasmo è stato tale che i giallorossi, prontamente riconvertitisi al verde, hanno voluto strafare. Hanno anche aggiunto un altro punto (il numero 6) per dire che bisogna «potenziare le politiche sul dissesto idrogeologico», e per chiedere interventi «per la rigenerazione delle città» e «per la mobilità sostenibile» (ci manca solo la salvaguardia del pinguino imperatore e del falco lanario, e poi è fatta). Infine ecco spuntare un altro pensiero (leggi minaccia) per le imprese, con la richiesta della loro «riconversione». Ma come? Le imprese sono già state incentivate a «prassi socialmente responsabili» nonché indirizzate all'«economia circolare» al punto 5, come fanno a essere di nuovo «riconvertite» al punto 6? Forse è l'effetto della «transizione ecologica». O, semplicemente, della transizione illogica. Ma tanto che importa? Il verde nasconde tutto. Il verde fa fine. E non impegna. Attira attenzione. E distrae dal resto. Lo dicevamo già qualche giorno fa a proposito dell'Amazzonia che è diventato caso mondiale durante il vertice di Biarritz per coprire le vergogne di Emmanuel Macron (a proposito, avete visto che appena finito il vertice nessuno ne parla più? L'Amazzonia non è più in pericolo? O semplicemente è stata biecamente usata per altri fini?). Lo dicevamo che non c'è diversivo migliore dell'ambiente. In questo periodo di gretinismo dilagante, poi, funziona a meraviglia: metti un po' di profumo verde e via, anche se hai le mutande sporche non te le vede nessuno. E siccome Pd e M5s le mutande sporche ce l'hanno eccome, non si sono accontentati del green. Macché hanno puntato al Green new deal, nome altisonante, che richiama un documento del Pd di luglio, il quale richiama l'iniziativa di febbraio della democratica americana Alexandria Ocasio-Cortez, la quale richiama niente meno che il New deal di Franklin Delano Roosvelt, rivisto in chiave ultra-ambientalista. Peccato che il progetto della Ocasio-Cortez negli Usa non sia stato preso molto sul serio: prevede infatti, fra le altre cose, di rifare «ogni singolo edificio del Paese» e di eliminare totalmente gli aeroplani, per la modica cifra di 10.000 miliardi di dollari. La metà del Pil americano. E tutti a debito. Anche il piano del nuovo governo italiano si spingerà fino a questo punto? Per il momento non si sa. Del resto non è che a loro importi: basta un po' di «paradigma culturale» e quel tanto di «biodiversità» sufficienti per distrarre dal nulla che c'è dietro. Una riverniciatina sopra la ruggine, insomma, per avere qualcosa da dire nei talk show. Consapevoli di essere, per una volta, finalmente in sintonia con il resto del Paese. Almeno dal punto di vista cromatico. Anche gli italiani, infatti, sono come il programma: verdi. Di rabbia, però.
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