Ai rincari causa guerra si sommano siccità, politiche europee errate e mancanza di manodopera: sugli scaffali arriverà meno merce, che ovviamente costerà di più.
Ai rincari causa guerra si sommano siccità, politiche europee errate e mancanza di manodopera: sugli scaffali arriverà meno merce, che ovviamente costerà di più. Pagheremo caro, ma non tutto: solo quel che c’è. E non sarà molto. Si va verso una vera carestia anche se per ora sembra più allarmare l’apparente emergenza grano ucraino del vero allarme agricolo in Italia e in Europa. Sul grano di Kiev non si dice tutta la verità: gli speculatori non intendono abbassare il prezzo del cereale disponibile che è al 70% in mano a cinesi, francesi, canadesi e americani e si preferisce dire che senza il frumento del Donbass - che è quello che costa meno e che i paesi più poveri potevano permettersi - il mondo è al collasso alimentare. Il problema è invece serissimo da noi con un’inflazione alimentare che galoppa per colpa di scelte sbagliate. L’Ocse certifica prezzi alimentari in su del’11,5%, da noi l’Istat a maggio li ha fotografati al 6,7%, ma sono destinati a salire. Si dice che è tutta colpa del cambiamento climatico. I titoli dei giornali del 2012 erano: tutto secco, danni all’agricoltura. Nel 2017 la stessa cosa. Domanda: siamo stati colti alla sprovvista? No. Manca l’acqua? No. Piove la stessa quantità di sempre, ma in maniera differente. A volte devastante come due giorni fa in Umbria. Mentre tutta Italia ha i campi in polvere, 300 aziende agricole a cavallo tra Toscana e Umbria hanno avuto i raccolti distrutti da pioggia, vento e grandinata eccezionale. Si può stoccare l’acqua? Sì, basterebbe dare il via al piano invasi che c’è e aspetta da 20 anni. Meglio gridare al lupo quando le vacche sono assetate. E sperare nella dichiarazione di calamità naturale che il presidente del Piemonte Alberto Cirio ha chiesto. L’Europa convinta che agricoltura e ambiente siano antitetiche, vara un Farm to Fork che prevede di smettere di coltivare salvo smentirsi oggi: sblocca in Italia 200.000 ettari solo per un anno senza sapere che le semine si fanno a ottobre e che i costi sono proibitivi. Dunque quei campi resteranno deserti. Succede ad occuparsi di agricoltura un tanto al chilo e intanto - al chilo - tutto costa l’iradiddio. La situazione nei campi italiani è drammatica e al tempo stesso grottesca. Ma non c’è solo la siccità a distruggere l’agricoltura. Ci sono i prezzi fuori controllo. Il gasolio agricolo a 1.40 euro rende impossibile coltivare, i fertilizzanti (i maggiori produttori sono Russia e Bielorussia - hanno il 65% del mercato mondiale - e non possono esportarli causa embargo) sono triplicati di prezzo e senza non conviene seminare. Poi se si distrugge come impone l’Europa la zootecnia, non c’è più neppure il letame. In compenso ci sono i cinghiali e gli ungulati che devastano le colture e portano la peste suina. Perfino per il pollo ci sono problemi, e il pesce è ormai una rarità. E mancano almeno 100.000 operai agricoliCarni e formaggi La diminuzione del 10% di produzione di latte rischia di mettere in crisi la produzione dei formaggi. La zootecnia da tempo soffre per la mancanza di mangimi e il caro carburanti. La Coldiretti stima che una stalla su quattro abbia chiuso. All’ingrosso la carne è aumentata del 20%. Gli aumenti di costi alla stalla superano il 30%. Un litro di latte non si produce a meno di 58 centesimi. Si attendono aumenti di prezzo al consumo attorno ai trenta punti.cereali e risoAvremo un quarto di meno di grano duro, e circa il 40% in meno di riso. Metà risaie tra Piemonte e Lombardia rischiano di non raccogliere. Per il frumento tenero le stime parlano di un -15%, per il mais c’è l’incognita: pioverà nelle prossime settimane? A livello di prezzi per il riso si prevede un ritocco di un quarto (l’Italia è il primo produttore europeo, il comparto vale 1,5 miliardi) per la pasta un aumento del 30% fino a 2 euro al chilo, il pane sfiora il 40% con una media di 7 euro al chilo, e così per la farina.frutta e verduraLa Cia stima che al Nord si perderà metà dei raccolti, per Italmercati a livello nazionale mancherà un terzo del prodotto. Qui alla siccità si somma la mancanza di personale. Nel distretto della frutta di Cesena, uno dei più importanti del mondo, mancano sette operai su dieci. Gli aumenti di prezzo medi al consumo sono attorno al 18%.salumiIl grande punto interrogativo è la peste suina. La situazione è comunque già compromessa dai prezzi dei mangimi e dall’inflazione. Nel settore si assiste a un paradosso: aumento dei costi del 120% e diminuzione dei prezzi della carne, causa speculazione per l’annuncio della peste, del 65%. Si rischia di non produrre più salumi. Se crolla questo settore perdiamo 20 miliardi di Pil.pollami e uovaOltre 800 milioni di euro bruciati in un anno, di cui 450 solo nella fase agricola. È l’impatto che la crisi internazionale ha avuto sulla filiera avicola. Secondo Unaitalia, l’associazione degli allevatori, nel primo trimestre 2022 i costi produttivi per la carne sono cresciuti del 21,1% e del 50% per le uova.grassi Per ora l’olio extravergine di oliva è stabile. L’olio di semi è aumentato di quattro volte (a 3,60 euro al litro) il burro del 20%.vino C’è preoccupazione per la siccità. Al Sud si pensa ad una vendemmia anticipata di almeno 20 giorni con un calo di almeno 15% di prodotto. Quanto ai prezzi sono in ascesa del 20% legati all’aumento dei costi di vetro, cartoni, bottiglie ed energia. Anche qui c’è l’incognita della mancanza di vendemmiatori.ittica È praticamente introvabile. I pescatori col prezzo attuale del gasolio non vanno in mare perché lavorerebbero in perdita. La nostra dipendenza dall’estero crescerà all’88%. Il prezzo medio è previsto in raddoppio.È il caso di dirlo, la siccità nei campi ha reso arido il portafoglio degli italiani.
Il tocco è il copricapo che viene indossato insieme alla toga (Imagoeconomica)
La nuova legge sulla violenza sessuale poggia su presupposti inquietanti: anziché dimostrare gli abusi, sarà l’imputato in aula a dover certificare di aver ricevuto il consenso al rapporto. Muove tutto da un pregiudizio grave: ogni uomo è un molestatore.
Una legge non è mai tanto cattiva da non poter essere peggiorata in via interpretativa. Questo sembra essere il destino al quale, stando a taluni, autorevoli commenti comparsi sulla stampa, appare destinata la legge attualmente in discussione alla Camera dei deputati, recante quella che dovrebbe diventare la nuova formulazione del reato di violenza sessuale, previsto dall’articolo 609 bis del codice penale. Come già illustrato nel precedente articolo comparso sulla Verità del 18 novembre scorso, essa si differenzia dalla precedente formulazione essenzialmente per il fatto che viene ad essere definita e punita come violenza sessuale non più soltanto quella di chi, a fini sessuali, adoperi violenza, minaccia, inganno, o abusi della sua autorità o delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa (come stabilito dall’articolo 609 bis nel testo attualmente vigente), ma anche, ed in primo luogo, quella che consista soltanto nel compimento di atti sessuali «senza il consenso libero e attuale» del partner.
Tampone Covid (iStock)
Stefano Merler in commissione confessa di aver ricevuto dati sul Covid a dicembre del 2019: forse, ammette, serrando prima la Bergamasca avremmo evitato il lockdown nazionale. E incalzato da Claudio Borghi sulle previsioni errate dice: «Le mie erano stime, colpa della stampa».
Zero tituli. Forse proprio zero no, visto il «curriculum ragguardevole» evocato (per carità di patria) dall’onorevole Alberto Bagnai della Lega; ma uno dei piccoli-grandi dettagli usciti dall’audizione di Stefano Merler della Fondazione Bruno Kessler in commissione Covid è che questo custode dei big data, colui che in pandemia ha fornito ai governi di Giuseppe Conte e Mario Draghi le cosiddette «pezze d’appoggio» per poter chiudere il Paese e imporre le misure più draconiane di tutto l’emisfero occidentale, non era un clinico né un epidemiologo, né un accademico di ruolo.
La Marina colombiana ha cominciato il recupero del contenuto della stiva del galeone spagnolo «San José», affondato dagli inglesi nel 1708. Il tesoro sul fondo del mare è stimato in svariati miliardi di dollari, che il governo di Bogotà rivendica. Il video delle operazioni subacquee e la storia della nave.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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Manifestazione ex Ilva (Ansa)
Ok del cdm al decreto che autorizza la società siderurgica a usare i fondi del prestito: 108 milioni per la continuità degli impianti. Altri 20 a sostegno dei 1.550 che evitano la Cig. Lavoratori in protesta: blocchi e occupazioni. Il 28 novembre Adolfo Urso vede i sindacati.
Proteste, manifestazioni, occupazioni di fabbriche, blocchi stradali, annunci di scioperi. La questione ex Ilva surriscalda il primo freddo invernale. Da Genova a Taranto i sindacati dei metalmeccanici hanno organizzato sit-in per chiedere che il governo faccia qualcosa per evitare la chiusura della società. E il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al nuovo decreto sull’acciaieria più martoriata d’Italia, che autorizza l’utilizzo dei 108 milioni di euro residui dall’ultimo prestito ponte e stanzia 20 milioni per il 2025 e il 2026.






