2023-01-30
La sinistra ora attacca Soumahoro e il Tribunale boccia la sua famiglia
Aboubakar Soumahoro (Ansa)
Francesco Caruso, ex capo no global, a Report accusa: «Sulle raccolte fondi non tornano i conti per 101.000 euro». Lui non mostra le fatture. Un’attivista: «Metodi mafiosi». Respinti i ricorsi di suocera e cognati sui beni sequestrati.Le nuove stoccate al deputato con gli stivali di gomma Aboubakar Soumahoro arrivano da sinistra. L'ex deputato di Rifondazione comunista Francesco Caruso, già tra i leader del movimento No global, qualche anno fa ha cominciato a frequentare i ghetti foggiani insieme a Soumahoro. I due gestirono anche la ormai famosa raccolta fondi Cibo e diritti, che aveva la finalità di aiutare i braccianti durante la pandemia e che fruttò circa 225.000 euro. Poi le loro strade si sono divise e, adesso, anche Caruso accusa l’ex compagno di lotta di scarsa trasparenza nell’utilizzo dei fondi. Oggi nella trasmissione Rai Report, condotta da Sigfrido Ranucci e di certo non etichettabile come un format di destra, Caruso fornirà la terza e inedita versione dei fatti su quella raccolta fondi. E all’appello, questa volta, mancherebbero 101.000 euro. Il resoconto fornito a Report da Caruso per le otto missioni del 2020 sembra particolarmente dettagliato. Si parla di 53.640 euro per acquisto merci (Caruso sostiene di aver comprato il cibo a Benevento e di aver gestito le spese dei trasporti), mentre dai bilanci della Lega Braccianti di Soumahoro la spesa risulta di ben 120.998. Così anche per il trasporto: il conto di Caruso sarebbe da 4.200 euro, ma dai bilanci di Soumahoro il costo sarebbe stato di 38.376. In pratica, nel 2020, Soumahoro dichiara di aver utilizzato 159.000 euro. Per Caruso, invece, ne sarebbero usciti solo 58.000. Infine 56.000 dei 225.000 totali della raccolta fondi sarebbero stati spostati nel bilancio del 2021. Ed è così che tra la versione di Caruso e il bilancio di Soumahoro ballerebbero 101.000 euro. La seconda versione sulla raccolta fondi è di Soumahoro, che l'ha messa nero su bianco nel rendiconto gestionale (che sono ancora online sul sito della Lega braccianti) e che ovviamente sostiene che sia tutto regolare. Ma quando l’inviato di Report gli chiede di mostrare le fatture che smentiscono la versione di Caruso lui tergiversa. E non tira fuori le prove. C’è, infine, una terza versione su quei conti e l’hanno fornita a fine novembre gli ex collaboratori di Soumahoro, Sambare Soumaila e Alfa Bary, già attivisti della Lega braccianti poi passati all’Usb. I due postarono sui social una lettera aperta rivolta al loro ex amico: «Non ti fare più vedere qui, vieni solo a scattare selfie auto promozionali, che è rimasta l’unica attività che vieni a fare tra le nostre baracche. Con quei selfie hai raccolto centinaia di migliaia di euro attraverso le donazioni di ignari benpensanti e altruisti, ma ne abbiamo spesi meno della metà della metà della metà per portare a ognuno di noi un pacco di pasta, un chilo di sale e 700 grammi di passata di pomodoro». I due gli contestano di aver fatto sparire circa 200.000 dei 250.000 euro raccolti, sostenendo che la spesa complessiva, tra mascherine e spesa alimentare, era stata di 55.000 euro. A cui andavano sommati 4.500 euro di spese di trasporto.La questione delle fatture contestate introduce un tema di strettissima attualità, sul quale si stanno interrogando anche i magistrati di Eurojust. Lorenzo Salazar, con 35 anni di esperienza nel settore del contrasto alla corruzione in sede Ocse, in un’intervista al Sole 24 Ore ha puntato dritto sulle operazioni in nero: «Nella redazione dei bilanci delle imprese ci sono regole contabili stringenti che, quando vengono eluse», ha spiegato la toga, «lasciano tracce ben decifrabili. Le Ong e il mondo delle associazioni non riconosciute sono ambiti dove le regole, questo tipo di regole, non ci sono». Soumahoro, però, potrebbe ancora tirare fuori le fatture e dimostrare che la sua versione sulla raccolta fondi è corretta e le accuse gratuite. Purtroppo per lui, sono sempre di più le contestazioni che arrivano da chi lo ha incrociato sul campo. Per esempio Teresa Casalino, sessantaquattrenne torinese un tempo tra le attiviste più impegnate del Comitato rifugiati e migranti ex Moi (un’area della città di Torino occupata da chi non aveva una casa e di recente sgomberata e riqualificata), colpisce duro. Lei Soumahoro l’ha conosciuto ai tempi in cui il leader della Lega braccianti viveva a Torino con la ex moglie poetessa partenopea. E ora scrive sul suo profilo Facebook: «Alla fine la vera faccia di Abou è venuta fuori. Che amarezza. Se penso a tutti quei ragazzi di cui si è approfittato [...]. Come dimenticare i camion pieni di cibo che arrivavano all’ex Moi prima delle manifestazioni? Come dimenticare il continuo remare contro a chi davvero viveva con i migranti? Che schifo». A Torino, infatti, si racconta di un Soumahoro Giano Bifronte che, in vista di azioni di protesta da mettere in campo, alle assemblee collegiali si mostrava d’accordo e pronto a dare una mano, per poi chiamare uno a uno gli occupanti dell’ex Moi chiedendogli di non partecipare. Quando era lui invece a indire manifestazioni si presentava con i camion di cibo da consegnare a chi scendeva in piazza. «Fotti e chiagni», scrive poi Casalino postando il famoso video di Soumahoro in lacrime. E condisce il post con un «non c’è niente di peggio di un africano che lucra sulle spalle degli africani». Mentre in un altro commento, nel giorno in cui Aboubakar ha lasciato Europa verde e Sinistra italiana per approdare al gruppo misto, indirettamente si rivolge ad Angelo Bonelli e a Nicola Fratoianni: «Per piacere ditemi che non la passerà liscia». Di spiegazioni sulla candidatura del «nero col cuore bianco», come lo chiama Casalino, però non ne sono mai arrivate. Ultimo colpo della signora, che si è spinta a sostenere di non dimenticare «i suoi modi mafiosi al Moi»: «Ora cominciano a dire che lui non c'entra niente con quello che hanno fatto la moglie e la suocera. Penso. E so». Nulla aggiunge su quanto dice di conoscere. Intanto prosegue il procedimento per dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture false che vede indagate sei persone, tra cui la compagna Liliane Murekatete, la suocera Marie Therese Mukamitsindo e i cognati Michel Rukundo e Richard Mutangana. Il Tribunale a dicembre ha ordinato il sequestro di 653.000 euro presso gli indagati e le società riconducibili alla famiglia, le cooperativa Karibu e Jambo Africa e il consorzio Aid. Mukamitsindo e Rukundo hanno fatto ricorso sia contro i sequestri (anche se la Guardia di finanza ha trovato i conti praticamente vuoti) che contro le misure interdittive. Venerdì il Tribunale di Latina ha rigettato la prima richiesta. Una decisione che ha fatto registrare un punto per l’accusa.