2022-07-24
La sentenza Usa sull’aborto divide i nostri costituzionalisti
Dopo le polemiche politiche, si apre un dibattito sul peso giuridico della Dobbs. Niccolò Zanon (vice della Consulta): nella Corte suprema vince l’originalismo che ridà potere alla politica, in Europa le toghe fanno il contrario.Posatasi la polvere alzatasi con la sentenza Dobbs, quella con cui la Corte suprema ha ribaltato la celebre Roe vs Wade e sancito che l’aborto non è un diritto costituzionale, è lecito chiedersi quale sia l’impatto per l’Italia. Dal punto di vista politico, il dibattito è stato effimero e deludente: molti se la sono cavata spolverando un pigro canovaccio argomentativo fatto di Medioevo, diritti negati e giudici trumpiani; qualcuno, come Matteo Salvini, ha adottato una variazione un po’ paracula sul tema della libertà della donna unita alla sacralità della vita; altri, come Sabino Cassese, hanno dimostrato un solido sprezzo del ridicolo spiegando che i giudici americani hanno scritto «una delle più brutte pagine della storia della giustizia costituzionale e messo in crisi il modello che essa ha rappresentato nel mondo». Lo stesso ex ministro della Funzione pubblica ha quindi spiegato che la Corte costituzionale italiana - di cui ha fatto parte - performa molto meglio, perché meno suscettibile di piegarsi a nomine esclusivamente politiche.Un attuale membro della Consulta, tuttavia, sembra avere posizioni diverse. Alla banale lettura prevalente della Dobbs, infatti, ha fatto da contraltare un vivace e alto - ma non inaccessibile - dibattito sul sito dell’Associazione italiana dei costituzionalisti (liberamente consultabile all’indirizzo bit.ly/3onU859), cui ha appena partecipato anche Niccolò Zanon, attuale numero due della Consulta. Tale dibattito investe appieno la rilevanza filosofico-giuridica del verdetto americano. Ad aprire le danze è stato il contributo del professor Corrado Caruso dell’Università di Bologna (e componente del direttivo della stessa Aic). La tesi esposta è in tutto «cassesiana», se così si può dire: l’originalismo, lungi dall’essere un principio dottrinale adottato in occasione della Dobbs (in sintesi: la Costituzione non parla di aborto, dunque ogni Stato decida in base all’orientamento del corpo elettorale e dunque della rappresentanza democratica), è solo un pretesto con cui imporre per via giudiziaria decisioni politiche. Secondo Caruso, infatti, «l’argomento originalista» non è altro che «uno stratagemma retorico-persuasivo funzionale alla realizzazione di un attualissimo programma politico di stampo conservatore, volto a rivedere alcune tra le più importanti conquiste giurisprudenziali in tema di diritti civili. Nihil sub sole novum, forse: come notava Tocqueville un paio di secoli or sono, il giudice è il depositario del potere, per sua natura conservatore, della tradizione, e somiglia “al sacerdote egiziano: come questi è l’unico interprete di una scienza occulta”. La scelta di superare i propri consolidati precedenti attraverso un risicato voto a maggioranza squarcia però il velo della sacralità giudiziale, adombra il volto neutrale del chierico e muove la giustizia costituzionale verso i lidi del volontarismo decisionista. L’originalismo diviene così strumento di una precisa politica costituzionale, realizzata da giudici che coltivano prospettive di egemonia sulla società».Superficialmente, si potrebbe obiettare che in realtà la Dobbs il «chierico» in toga restituisce il potere al rappresentante politico, tanto che perfino molti giudici e intellettuali liberal - tra cui Ruth Bader Ginsburg - contestavano alla Roe vs Wade di aver blindato per via giudiziaria un processo che andava costruito politicamente. Meno superficiale una prima replica apparsa sul sito dell’Aic a cura di Luca Pietro Vanoni della Statale di Milano. Quest’ultimo replica a Caruso argomentando come l’originalismo «possa essere utile per provare a correggere una sorta di presbiopia costituzionale che, nello sforzo di mettere a fuoco l’universalità dei diritti, ha finito per perdere di vista i confini dei poteri». In sintonia con Vanoni, ma ispessita dal ruolo istituzionale, è l’intervento - appena pubblicato, come detto - di Niccolò Zanon, vicepresidente della nostra Corte costituzionale. In modo sorprendentemente netto visto il peso della carica, Zanon spiega che «non è vero - come invece molti hanno inteso - che la decisione della Corte in Dobbs ha posto l’aborto fuori legge. Essa ha “solo” restituito la decisione ai rappresentanti eletti dei singoli Stati». Poi fa un passo in più, andando si direbbe in direzione ostinata e contraria rispetto alla lettura di Cassese, e mostrando una certa simpatia per il modello Usa: «Quando sia incerto ciò che la Costituzione vuole su una determinata questione, o quando si possa dire che essa nulla dice in materia, le scelte […] - che l’approccio “europeo” tende ad attrarre alla sfera d’intervento del giudice supremo o costituzionale - secondo la dottrina che ora sembra prevalere tra i Justices appartengono invece alla politica democraticamente legittimata […] Si potranno avere opposte opinioni su questa differenza, ma essa è davvero notevole. Aggiungo una piccola, ma significativa, testimonianza (che non credo sveli nulla di riservato). In una discussione in camera di consiglio mi è capitato una volta di richiamare all’attenzione dei colleghi ciò che afferma l’articolo 28 della legge 87 del 1953 («il controllo di legittimità costituzionale su una legge o su un atto avente forza di legge esclude ogni valutazione di natura politica e ogni sindacato sull’uso del potere discrezionale del Parlamento»). La reazione, in sostanza, è stata paragonabile a quella di chi si trova improvvisamente al cospetto di un relitto consumato dalle onde del mare, cui può riservarsi una compunta curiosità».Come si nota dall’aneddoto offerto da Zanon, non siamo più nei confini di un alato dibattito accademico, ma al cuore del dilemma di cosa sia un diritto, e di quale sia il ruolo e il confine tra la politica e i giudici supremi (basti pensare alla sentenza Cappato). Sarebbe interessante che la questione si ampliasse, e investisse i colleghi di Zanon: presenti (il suo presidente, Giuliano Amato, è un ex premier), passati - tra questi si contano il capo dello Stato e il ministro della Giustizia - e, possibilmente, futuri.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)