2022-10-01
La sconfitta fa impazzire la Jebreal. Tirato in ballo pure il papà di Giorgia
Campagna d’odio senza precedenti. Si indigna persino Carlo Calenda: «È una bassezza».C’è una donna che ha disconosciuto il padre, è cresciuta con la madre e la sorella in quello che lei stessa ha, un po’ scherzosamente, definito «un matriarcato», è emersa in un mondo molto maschile e sta per diventare la prima premier donna della storia repubblicana. E ce n’è un’altra che invece vuole inchiodare la prima all’ombra di quel padre, alla sua storia e alle sue malefatte, come un’eterna «figlia di». Ebbene, che ci crediate o no, in questa storia è la seconda donna a considerarsi una nemica del patriarcato. Parliamo ovviamente, di Giorgia Meloni e di Rula Jebreal. Il padre a cui il femminismo 2.0 vorrebbe incatenare a vita la leader di Fdi è Francesco Meloni, oggi deceduto, che aveva abbandonato la figlia quando aveva un anno e nel 1995 fu condannato a nove anni di reclusione per narcotraffico alle Canarie. La Meloni ha rotto i rapporti con l’uomo a 11 anni, eppure, nell’isteria di massa post elezioni, tutto fa brodo per attaccare la premier in pectore. Ecco, quindi che Repubblica non può esimersi dal ripescare la storia del signor Meloni, alzando la palla per permettere al più ingenuotto della sua fazione di schiacciarla, a costo di fare invasione nel campo dell’ignominia. Ci ha pensato lei, Rula, che peraltro era già andata in overperforming da attivismo social antifà. «Durante la sua campagna elettorale», ha twittato, «Giorgia Meloni, il nuovo primo ministro italiano, ha promosso un video di stupro in cui si afferma che i richiedenti asilo sono criminali che vogliono sostituire i cristiani bianchi. Ironia della sorte, il padre di Meloni è un famigerato trafficante di droga/criminale». Che classe. Che nobiltà. Travolta dai fischi, alcuni anche della sua stessa parte («Rula questa è una bassezza. Cancella questo tweet», ha postato Carlo Calenda), la Jebreal ha messo la classica toppa peggio del buco. «La Meloni», ha scritto, «non è colpevole dei crimini commessi da suo padre, ma spesso sfrutta i reati commessi da alcuni stranieri, per criminalizzare tutti gli immigrati, descrivendoli minaccia alla sicurezza. In una democrazia ci sono responsabilità individuali, non colpe/punizioni collettive» (abbiamo lasciato la punteggiatura originale per non rovinarel’enfasi). La replica di Giorgia Meloni non si è fatta attendere: «Il tatto della stampa italiana che racconta dei guai di mio padre, ma omette nei suoi titoli roboanti un elemento fondamentale. Tutti sanno che mio padre andò via quando avevo poco più di un anno. Tutti sanno che ho scelto di non vederlo più all’età di undici anni. Tutti sanno che non ho mai più avuto contatti con lui fino alla sua morte. Ma poco importa, se i “buonisti” possono passare come un rullo compressore sulla vita del “mostro”. Evidentemente tra le tante cose che non valgono per me c’è anche il detto “le colpe dei padri non ricadano sui figli”. Ps. Signora Jebreal, spero che potrà spiegare al giudice quando e dove avrei fatto la dichiarazione che lei mi attribuisce». Un liscio e busso che doveva indurre la nostra eroina del Bene assoluto a piantarla lì. Ma Rula Jebreal non sarebbe Rula Jebreal se schivasse le figuracce. Eccola allora tornare alla carica con un goffo tentativo di vittimismo: «Il nuovo premier italiano Meloni sta minacciando di denunciarmi per il mio tweet sulle sue tesi cospirazioniste, che sono ampiamente coperte dai media internazionali. Tutti gli autocrati usano tali minacce per intimidire e mettere a tacere coloro che li richiamano e li espongono. Signora Meloni: non mi faccio intimidire!». Capirai, il ragazzo davanti al carro di piazza Tienanmen era un dilettante, al confronto. Impietosa, la Meloni le ha tuttavia inferto un’ulteriore lezione di stile: «La propaganda di demonizzazione contro di noi - perdurata nel corso di tutta la campagna elettorale - ha inasprito gli animi e diviso gli italiani», ha scritto sui social. «Noi lavoreremo per unirli, perché questo non è il tempo di polemiche strumentali o di divisioni, ma quello della responsabilità». Chi vuole bene a Rula, le dica di non umiliare ancora.