2023-03-28
La rete segreta tra Erdogan e Qatargate
Hakan Camuz e Necmeddin Bilal
Nelle carte di un’indagine bolognese le prove dei rapporti diretti tra il figlio del sultano e il turco Hakan Camuz, l’uomo che faceva pagamenti alla società di Antonio Panzeri e di Francesco Giorgi. Necmeddin Bilal ha vissuto in Italia tra il 2015 e il 2016. L’intreccio di relazioni con politici, giornalisti e industriali.Dall’indagine emiliana i dettagli finanziari e bancari di Bilal: nessuna spesa pazza e qualche debito Ma dai tabulati emergono i rapporti coi big della politica, del giornalismo e dell’industria in madrepatria.Lo speciale contiene due articoliAbbiamo trovato la conferma del rapporto diretto tra la famiglia Erdogan e il consulente legale turco Hakan Camuz coinvolto nel Qatargate. Il collegamento emerge in modo incontrovertibile nelle carte di un’indagine della Procura di Bologna, visionato dalla Verità, in cui è rimasto invischiato, tra il 2015 e il 2016, Necmeddin Bilal, figlio del presidente turco Recep Tayyp Erdogan. Dopo la scoperta abbiamo provato a contattare Camuz, il quale, però, nonostante legga i nostri messaggi su Whatsapp, si ostina a non risponderci. Si è barricato dietro a un silenzio imbarazzato da inizio marzo quando il nostro giornale ha pubblicato le prime notizie che lo riguardavano. In particolare, avevamo raccontato del suo ruolo nell’inchiesta per riciclaggio della Procura di Milano: due società inglesi (Stoke white e The radiant trust) a lui riconducibili, tra il 2019 e il 2020, hanno versato 115.000 mila euro alla Equality consultancy, strettamente collegata al Gatto e alla Volpe dello scandalo belga, l’ex europarlamentare Pier Antonio Panzeri e al suo vecchio assistente Francesco Giorgi. La Equality, citata per la prima volta dalla Verità sul numero del 19 dicembre 2022, aveva anche incassato 200.000 euro da un’altra società, guarda caso turca, tra il 2018 e il 2019. Poi i flussi aveva cambiato direttrice e a Milano i soldi erano stati spediti da Londra.A citare per la prima volta Hakan, classe 1971, era stato Giorgi, il quale ai magistrati belgi aveva raccontato che un uomo che lavorava con il ministero del Lavoro del Qatar, luogo da cui uscivano le mazzette, lo avrebbe messo in contatto in Turchia con una persona «di origine palestinese», il quale avrebbe consigliato all’ex assistente parlamentare di «rivolgersi ad Hakan e alla sua compagnia in Inghilterra».Camuz tra il 22 e il 23 giugno 2022, sei mesi prima dello scoppio del Qatargate, era stato avvistato all’aeroporto di Linate durante una trasferta lampo. La pista turca è considerata molto interessante dagli investigatori italiani, visto che potrebbe aprire nuovi scenari nel Qatargate e inserire nel novero dei Paesi che andavano alla ricerca di un lifting reputazionale anche il «sultanato» di Ankara. Un’ipotesi non troppo peregrina se si considera, come vi abbiamo già raccontato, il rapporto diretto tra Camuz e la famiglia Erdogan.Per esempio, nel 2014 un giornalista del network economico Cnbc, David L. Phillips, aveva scritto un articolo intitolato «Perché la Turchia sostiene i combattenti dello Stato islamico in Iraq», in cui accusava Bilal di aver fornito fondi a un’organizzazione umanitaria accusata di assistere l’Isis.Immediatamente Camuz, in veste di rappresentante legale (non è chiaro se sia un avvocato), aveva dichiarato al Daily sabah che l’articolo aveva un movente politico e che tutto ciò che era stato scritto sul suo cliente era totalmente falso. E aveva annunciato querela.A fine ottobre del 2015 gli inquirenti felsinei, guidati dal procuratore Giuseppe Amato, ricevono un esposto dalla Francia sui presunti traffici illeciti della famiglia Erdogan e sul trasferimento di fondi in Italia.A denunciare il rampollo è Murat Hakan Uzan, un politico d’opposizione e imprenditore turco rifugiatosi a Parigi e di cui le autorità turche avevano chiesto l’arresto.Il suo esposto è stato presentato ufficialmente presso la Questura di Bologna il 23 ottobre 2015.Bilal era sbarcato a Bologna poche settimane prima, a fine settembre, ufficialmente per completare un dottorato di ricerca in relazioni internazionali presso la Johns Hopkins university (dove aveva già studiato a partire dal 2009, per poi prendersi una pausa nel 2012), ma secondo fonti antigovernative di Ankara alla base di quella trasferta italiana con moglie e figli al seguito c’era la volontà di sfuggire a un’indagine di corruzione iniziata nel 2013.In più, nel giugno del 2015, il partito di suo padre aveva perso la maggioranza assoluta in Parlamento e ad agosto il genitore aveva sciolto la Grande assemblea nazionale indicendo nuove elezioni. In sostanza, si trattava di un periodo particolarmente turbolento per il clan Erdogan.Per questo, secondo Uzan, Bilal si sarebbe portato dietro «una grossa somma di denaro» che sarebbe servita a un presunto «progetto di fuga»Nei primi mesi del 2016 i carabinieri del Ros hanno acquisito i tabulati dell’utenza italiana di Bilal.Su quei dati gli investigatori hanno effettuato un lavoro certosino, analizzando nel dettaglio il traffico telefonico del «345». Ebbene una pesca a strascico in cui è rimasto impigliato anche Camuz: tra novembre 2015 e febbraio 2016 (è questo il periodo esaminato) tra i due ci sono stati tre contatti diretti.Il 27 novembre 2015 Bilal e Hakan si sentono alle 11:33 del mattino, mentre il 18 febbraio alle 16:49; due volte chiama il consulente londinese, una volta il figlio del presidente.È utile evidenziare che il Nucleo di polizia economico-tributaria nella sua prima informativa alla Procura, consegnata il 15 dicembre del 2015, lasciava intendere che i primi accertamenti erano stati fatti in modo riservato e utilizzando per lo più fonti aperte. Dunque, se il 27 novembre Bilal e Hakan avessero parlato dell’inchiesta probabilmente lo avrebbero fatto in violazione del segreto istruttorio.Infatti, le prime informazioni di dominio pubblico sul caso risalgono al 3 dicembre 2015, quando giornali e agenzie pubblicano la notizia dell’esposto, una rivelazione che aveva stupito per la tempestività l’avvocato di Uzan, il fiorentino Massimiliano Annetta.La notizia dell’iscrizione sul registro degli indagati di Erdogan junior per riciclaggio è stata, invece, data dall’Ansa il 16 febbraio, ovvero due giorni prima dell’ultimo contatto tra i due, per come emerso dai tabulati.Ma, come detto, non sappiamo se nelle chiamate precedenti al 18 febbraio Erdogan e Camuz abbiano disquisito dell’esposto.Ricordiamo che nella causa il consulente londinese non compare in nessuna veste, dal momento che Erdogan junior è stato difeso dall’avvocato bolognese Giovanni Trombini. Il quale ci spiega: «Ricordo che in un’occasione c’è stata una riunione con il cliente, alcune guardie del corpo e un avvocato inglese». Gli mostriamo la foto di Camuz che il legale, però, non riconosce.Di certo, su 85 milioni di turchi (senza contare quelli che vivono all’estero) non sono in molti a poter contattare sul numero di telefono personale il figlio del presidente. Senza contare che i tabulati di Bilal ci restituiscono un uomo che comunica quasi solamente con utenze turche e che non sembra avere (almeno sino a sei anni fa) una rete relazionale particolarmente estesa o di respiro internazionale. In conclusione, quello degli Erdogan appare come un mondo piuttosto chiuso, una cerchia ristretta a cui Camuz sembra, però, avere libero accesso.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-rete-segreta-tra-erdogan-e-qatargate-2659661749.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="soldi-in-contanti-e-cellulare-bollente-la-vita-invisibile-del-rampollo-turco" data-post-id="2659661749" data-published-at="1679945623" data-use-pagination="False"> Soldi in contanti e cellulare bollente. La vita invisibile del rampollo turco Bilal Erdogan, figlio minore e prediletto del presidente turco Recep Tayyip, era arrivato a Bologna a fine agosto 2015 per completare un dottorato in studi europei all’università americana Johns Hopkins, iniziato nel 2009 e poi sospeso. Una «fuga», scrisse allora la stampa turca alla luce dell’incerta situazione politica del padre (si era a pochi mesi da nuove elezioni) e nel timore di una possibile riapertura dell’inchiesta sulla Tangentopoli del Bosforo che lo ha visto coinvolto. «Solo i codardi scappano», fu la replica all’agenzia di stampa statale Anadolu. Di certo, la permanenza a Bologna di Bilal, trasferito sotto le Torri insieme alla moglie e ai due figli, è stata interrotta a marzo 2016 in tutta fretta: «Questioni di sicurezza». Ma quei mesi furono segnati anche dall’inchiesta della Procura di Bologna aperta a seguito di un esposto dell’imprenditore Murat Hakan Uzan, oppositore di Erdogan. L’accusa di riciclaggio fu poi archiviata. Gli estratti conto agli atti dell’indagine archiviata dalla Procura di Bologna raccontano come, apparentemente, durante la sua permanenza nel capoluogo felsineo, la famiglia Erdogan svolgesse una vita normalissima. Sul conto corrente aperto nel novembre 2009 presso una filiale Unicredit alla data del 3 marzo 2016 erano infatti registrate «entrate per 86.304 euro e uscite per 83.438 euro». Circa 14.000 euro all’anno, quindi. Ma, come annotano gli investigatori, sul conto sono stati effettuati «versamenti di denaro contante, effettuati tra l’altro attraverso gli sportelli automatici Atm, per complessivi 47.673 euro», per importi che variavano «da un minimo di 500 euro ad un massimo di 3.000», e che venivano «quasi sempre disposti a ridosso del pagamento dell’affitto delle abitazioni ove, nel tempo, ha dimorato a Bologna». Nulla di irregolare, visto che «l’obbligo di dichiarazione» per il denaro contante portato in Italia sussisteva solo per importi a partire da 10.000 euro. Ma appare evidente che Erdogan junior potesse contare su una fonte di sostentamento non tracciata che affiancava le entrate provenienti dai bonifici provenienti dal padre, quelli legati alla borsa di studio concessa dalla John Hopkins e da Bilal Erdogan stesso. Ma come detto, le spese documentate sono simili a quelle di una comune famiglia: l’affitto di casa, cene in pizzeria, un poh’ di shopping. I bonifici per l’affitto della casa erano da 1.300 euro. Un normale appartamento, arredati in modo semplice, come raccontano i 479 euro spesi il 3 ottobre del 2015 in un punto vendita della catena Mondo Convenienza. Molte delle uscite sono riferite alla spesa, effettuata principalmente da Esselunga e Ipercoop. Un bonifico di 394 euro a Enel lascia supporre che, come capita spesso agli italiani, il rampollo Erdogan avesse saltato il pagamento di alcune bollette dell’energia elettrica. Le spese per figli sono minime: il 6 giugno del 2010 vengono spesi 79,90 euro nel un punto vendita Diesel kid di un outlet, mentre il 3 dicembre del 2015 vengono comprati giocattoli per 88 euro in un negozio del centro. Anche la via sociale è di basso tenore. Spiccano 50 euro per mangiare sushi da Zuma, 32 euro al ristorante La scalinatella, 116 euro da Wasabi. Stando all’estratto conto, in poco più di sei anni si trova evidenza di una sola gita fuori porta: 116 euro spesi il 5 dicembre all’hotel ristorante La badia di Orvieto. Dai faldoni dell’inchiesta della Procura di Bologna del 2015 non emergono solo le spese del lungo soggiorno italiano dell’allora 35enne figlio del sultano, ma anche la sua agenda. Ovvero le utenze con cui risultava avere avuto contatti secondo l’analisi del traffico telefonico. Numeri italiani di ristoranti, scuole e agenzie immobiliari del capoluogo emiliano. Ma anche numeri turchi che, dalle ricerche fatte da La Verità, sono riconducibili anche a personaggi di spicco del governo del padre, giornalisti, sportivi, vip locali e anche molti manager. Una fitta rete turca di relazioni, che Bilal conosce, frequenta e coltiva. Tra i suoi contatti c’è ad esempio, Abdulkerim Cay che ha iniziato la sua carriera professionale nel 2004 presso l’agenzia di consulenza per la stampa e le pubbliche relazioni del primo ministro della repubblica presidenziale, e ha poi preso parte alla costituzione dell’Agenzia per il sostegno e la promozione degli investimenti (Tydta), dove ha intrapreso varie mansioni dirigenziali. Dall’aprile 2015 aveva poi assunto la posizione di vicedirettore generale delle risorse umane di Turkish Airlines. Molti i contatti nel mondo dei media e delle tv. Soprattutto top manager e tycoon come Ibrahim Eren, presidente della Turkish radio and relevision corporation, o come Hasan Yesildag, che con il sultano aveva condiviso il carcere nel 1998 e che nel 2017 ha comprato l’Es media group che all’epoca controllava le stazioni televisive Kanal 24 e 360 e i quotidiani Star, Akşam e Güneş. E poi ancora Haydar Ali Yildiz, uno dei principali consiglieri del presidente turco. Tra i numeri nell’agenda di Bilal del 2015 spuntano inoltre Turgut Simitcioglu (allora vicedirettore generale della banca Albaraka Turk), ma anche Mehmet Çolakoglu, membro del consiglio di amministrazione di Teb Holding (a capo dell’omonima banca turca comprata nel 2011 dalla francese Bnp Paribas) e l’uomo d’affari Riza Akca, amico del padre e diplomatici come Lütfullah Göktaş, consigliere capo per i media del presidente Erdogan dal 2014 al 2019 e poi diventato ambasciatore di Turchia presso la Santa Sede fino al febbraio scorso.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
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