2021-05-15
La «Rerum novarum» in difesa del lavoro contro il socialismo
L'enciclica di Leone XIII colse le storture del sistema capitalistico. Ma ad esso oppose la dignità della famiglia, non la rivolta di classe Il 15 maggio del 1891, 130 anni fa, papa Leone XIII pubblicava la Rerum novarum, l'enciclica papale più citata della storia, ma la meno letta e la meno capita.Il lungo regno di Pio IX (1846-1878), l'ultimo Papa re, è stato il pontificato dell'intransigenza e dello scontro tra laica modernità e Chiesa cattolica. Tra illuminismo e Tradizione, tra chi mette la fede più in alto della stessa ragione e chi, in nome della scienza, ritiene superato e futile il cristianesimo.L'elezione di Leone XIII, avvenuta il 3 marzo 1878, e il fatto che il novello pontefice non avesse ripreso il nome del predecessore, fu letto dai progressisti, ma anche da certi conservatori, come una svolta radicale e un cambiamento di rotta nella cristianità.Ma così non fu. Leone XIII, papa umanista e di profonda cultura classica, aveva un modo meno spiccio di Pio IX di affrontare la realtà politica e sociale. Ma lo zelo era il medesimo ed anche la visione teologica di fondo. Che era questa: il mondo otto-novecentesco andava criticato, combattuto e corretto non perché scientifico, tecnologico e moderno. Ma perché tendenzialmente ateo, materialistico, edonista e incline al liberalismo più estremo, ai limiti dell'anarchismo etico e politico.La Rerum novarum si inserisce pienamente in questo schema interpretativo e sembra dire ai cattolici di allora e di oggi: né col socialismo, né col liberal-capitalismo; né con la lotta di classe marxista, né con la dittatura dei poteri forti; né collettivismo né individualismo. Prospetticamente, né con la Russia bolscevica e atea, né con l'America laicista e relativista. L'enciclica è comunemente considerata come il primo documento della dottrina sociale della Chiesa. Dottrina sociale che oggi è vista, a giusto titolo, come parte non secondaria della teologia e del magistero. In realtà, sia il Vangelo che i primi autori cristiani parlano ampiamente di temi sociali, economici, etico-politici, terreni. Si pensi al modo di concepire la famiglia, alla difesa della vita umana innocente o al dogma cattolico e paolino secondo cui «ogni autorità viene da Dio».È vero però che la Rerum novarum è il primo testo che affronta in modo sistematico le questioni economiche e sociali di un preciso periodo storico al fine di proporre delle soluzioni concrete ed evangelicamente fondate. L'enciclica vuol difendere i lavoratori dalle angherie e dai soprusi che subivano a seguito dell'industrializzazione e della fine delle corporazioni medievali, distrutte dalla rivoluzione francese del 1789. Ma questa tutela, legittima e doverosa, non porta Leone XIII alla negazione del diritto di proprietà. «La proprietà privata è diritto di natura» - non un furto - e senza proprietà non esiste libertà.La Rerum novarum condanna l'usura, la speculazione, il monopolio, la «cupidigia dei padroni», la sfrenata concorrenza, la lotta di classe, l'impossibile uguaglianza economica di tutti, e il fatto che «un piccolissimo numero di straricchi ha imposto all'infinita moltitudine dei proletari un giogo poco meno che servile». Essa comanda: la concordia sociale, la giustizia, la beneficenza, il risparmio e il rispetto della «dignità della persona umana». Il documento offre la sintesi ragionata del pensiero sociale cattolico che si incarnerà, tra Otto e Novecento, in maestri del calibro di Toniolo, Le Play, Ketteler, Mermillod, Manning, Ozanam e tanti altri. Ma questa ricca e articolata scuola sociale cattolica è agli antipodi del progressismo e del rifiuto della tradizione e del Medioevo. Essa vuole difendere la società cristiana e lo Stato confessionale sulla base della famiglia (monogamica e indissolubile), assunta quale cellula naturale e irremovibile per qualunque civiltà.Del resto, i cattolici fedeli a Roma, in lotta contro gli errori biasimati dall'enciclica, furono definiti, a giusto titolo, cattolici sociali o intransigenti. Erano i cosiddetti cattolici liberali ad essere inclini al compromesso con la «modernità», con la speculazione finanziaria e le infami condizioni di lavoro che essa favorì nelle fabbriche. Infatti le «cose nuove» di cui parla l'enciclica nel titolo (Rerum novarum) non sono tutte positive e mostrano il lato oscuro dell'epoca contemporanea. Leone XIII le elenca così: «L'ardente brama di novità che da gran tempo ha cominciato ad agitare i popoli […], i portentosi progressi delle arti e i nuovi metodi dell'industria; le mutate relazioni tra padroni ed operai; l'essersi accumulata la ricchezza in poche mani e largamente estesa la povertà […]; questo insieme di cose, con l'aggiunta dei peggiorati costumi, hanno fatto scoppiare il conflitto».La tutela delle classi umili, della povera gente, dei bambini contro lo sfruttamento del lavoro schiavistico minorile, furono una prerogativa di quei cattolici che volevano realizzare davvero la Rerum novarum. E non sbandierarla sui giornali per poi cedere alla prima occasione, deviando verso sinistra o verso destra.Nota l'Enciclopedia cattolica che l'enciclica «mosse i popoli stessi a promuovere con più sincerità e più impegno la politica sociale e indusse i migliori tra i cattolici a prestare in questo il loro utile concorso ai poteri dello Stato». La terza via cattolica indicata da Leone, rispetto a liberalismo e socialismo, sarà ripresa e sviluppata da tutti i pontefici successivi. In particolare Pio XI con la Quadragesimo anno (1931), Giovanni XXIII con la Mater et magistra (1961) e dalle varie encicliche sociali di Giovanni Paolo II. Il pontefice polacco recuperò ed attualizzò i punti fermi della Rerum novarum. Come la concordia tra padroni e operai, il rifiuto del classismo, il giusto salario dei lavoratori, l'intervento dello Stato nell'economia, il primato della politica sulla sfera economica, e della morale sulla politica. E ne sintetizzò l'insegnamento con un motto-emblema, di sapore nettamente intransigente: «Non c'è vera soluzione della questione sociale fuori del Vangelo» (Centesimus annus, 5). Ora che la bioetica e il diritto di famiglia sono al cuore della «nuova questione sociale» urge compattare i ranghi, come ai tempi di Leone XIII. Si scelga: o con la Chiesa o con il dio Progresso. O plasmiamo il mondo, la società e la storia alla luce della lezione liberante del Vangelo. O corrompiamo la religione per edificare un mondo nuovo senza Dio.
Giorgia Meloni (Ansa)
Alla vigilia del Consiglio europeo di Bruxelles, Giorgia Meloni ha riferito alle Camere tracciando le priorità del governo italiano su difesa, Medio Oriente, clima ed economia. Un intervento che ha confermato la linea di continuità dell’esecutivo e la volontà di mantenere un ruolo attivo nei principali dossier internazionali.
Sull’Ucraina, la presidente del Consiglio ha ribadito che «la nostra posizione non cambia e non può cambiare davanti alle vittime civili e ai bombardamenti russi». L’Italia, ha spiegato, «rimane determinata nel sostenere il popolo ucraino nell’unico intento di arrivare alla pace», ma «non prevede l’invio di soldati nel territorio ucraino». Un chiarimento che giunge a pochi giorni dal vertice dei «volenterosi», mentre Meloni accusa Mosca di «porre condizioni impossibili per una seria iniziativa di pace».
Ampio spazio è stato dedicato alla crisi in Medio Oriente. La premier ha definito «un successo» il piano in venti punti promosso dal presidente americano Donald Trump, ringraziando Egitto, Qatar e Turchia per l’impegno diplomatico. «La violazione del cessate il fuoco da parte di Hamas dimostra chi sia il vero nemico dei palestinesi, ma non condividiamo la rappresaglia israeliana», ha affermato. L’Italia, ha proseguito, «è pronta a partecipare a una eventuale forza internazionale di stabilizzazione e a sostenere l’Autorità nazionale palestinese nell’addestramento delle forze di polizia». Quanto al riconoscimento dello Stato di Palestina, Meloni ha chiarito che «Hamas deve accettare di non avere alcun ruolo nella governance transitoria e deve essere disarmato. Il governo è pronto ad agire di conseguenza quando queste condizioni si saranno materializzate». In quest’ottica, ha aggiunto, sarà «opportuno un passaggio parlamentare» per definire i dettagli del contributo italiano alla pace.
Sul piano economico e della difesa, la premier ha ribadito la richiesta di «rendere permanente la flessibilità del Patto di stabilità e crescita» per gli investimenti militari, sottolineando che «il rafforzamento della difesa europea richiede soluzioni finanziarie più ambiziose». Ha poi rivendicato i recenti riconoscimenti del Fondo monetario internazionale e delle agenzie di rating, affermando che «l’Italia torna in Serie A» e «si presenta in Europa forte di una stabilità politica rara nella storia repubblicana».
Nel passaggio ambientale, Meloni ha annunciato che l’Italia «non potrà sostenere la proposta di revisione della legge sul clima europeo» se non accompagnata da «un vero cambio di approccio». Ha definito «ideologico e irragionevole» un metodo che «pone obiettivi insostenibili e rischia di compromettere la credibilità dell’Unione».
Fra i temi che l’Italia porterà in Consiglio, la premier ha citato anche la semplificazione normativa - al centro di una lettera firmata con altri 15 leader europei e indirizzata a Ursula von der Leyen - e le politiche abitative, «a fronte del problema crescente dei costi immobiliari, soprattutto per i giovani». In questo ambito, ha ricordato, «il governo sta lavorando con il vicepresidente Salvini a un piano casa a prezzi calmierati per le giovani coppie».
Nel giorno del terzo anniversario del suo insediamento, Meloni ha infine rivendicato sui social i risultati del governo e ha concluso in Aula con un messaggio politico: «Finché la maggioranza degli italiani sarà dalla nostra parte, andremo avanti con la testa alta e lo sguardo fiero».
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