Il trend negativo dei conti francesi si riflette sul debito: il differenziale coi nostri titoli è ai minimi. Gli effetti: il neo ministro delle Finanze. Antoine Armand parla di tasse su imprese e famiglie, mentre il governo italiano sa che la partita con l’Ue sui numeri è apertissima.
Il trend negativo dei conti francesi si riflette sul debito: il differenziale coi nostri titoli è ai minimi. Gli effetti: il neo ministro delle Finanze. Antoine Armand parla di tasse su imprese e famiglie, mentre il governo italiano sa che la partita con l’Ue sui numeri è apertissima.Dopo mesi di allarmi sullo spauracchio rappresentato dalle nuove regole del riformato Patto di stabilità e sulla presunta difficoltà del ministro Giancarlo Giorgetti nel tenere fede agli impegni e alle promesse, il Piano strutturale di bilancio di medio termine (Psbmt) presentato venerdì è riuscito nella quadratura del cerchio.I paletti previsti dalle nuove regole sono stati rispettati e, al contempo, sarà possibile finanziare in deficit sia il taglio del cuneo fiscale che diventa permanente, sia l’accorpamento delle aliquote Irpef su tre scaglioni, oltre alle cosiddette «politiche invariate». Ma la manovra in preparazione non si ferma qua, perché altri interventi - di cui non si specifica ancora la natura - saranno finanziati con i proventi del concordato biennale con imprese e lavoratori autonomi che applicano gli Isa e altre entrate dalla lotta all’evasione fiscale.Per arrivare a tale risultato un contributo decisivo è stato fornito dalla revisione del Pil operata dall’Istat qualche giorno fa. Infatti i rapporti deficit/Pil e debito/Pil hanno beneficiato di un istantaneo aumento del denominatore nell’ordine di circa 100 miliardi. Il Pil nel 2023 si è attestato a 2.128 miliardi e nel 2024 dovrebbe sfiorare i 2.200 miliardi. È così accaduto che, a legislazione vigente, il deficit/Pil previsto dal Def di aprile per il 2024, 2025 e 2026 (4,3%, 3,7% e 3%) si è ridimensionato rispettivamente a 3,8%, 2,9% e 2,1%.Nel 2025 si è così aperto uno spazio fiscale per finanziare nuove misure in deficit che teoricamente avrebbe potuto raggiungere il 3,7% previsto dal Def (3,6% nella traiettoria di riferimento negoziata tra giugno e luglio tra il Mef e la Commissione, prima della revisione Istat). Giorgetti ha scelto di attestarsi al 3,3% nel 2025 e al 2,8% nel 2026. Rispetto al 2,9% tendenziale significa poter avere 10 miliardi senza dover cercare coperture in altri tagli di spese o aumenti di entrate e restando con un margine di sicurezza rispetto al 3,6/3,7% che la Commissione avrebbe probabilmente comunque accettato. Questo (modesto) stimolo fiscale porterà il Pil 2025 a crescere del 1,2% (contro +0,9% tendenziale).Se c’è da fare una critica a Giorgetti è quella di non aver sfruttato tutto lo spazio fiscale disponibile in deficit, entro le regole vigenti. Ma siamo ancora ai primi passi e c’è tempo per affinare le stime e recuperare, soprattutto alla luce del piano che sottoporrà Parigi, Ci fermiamo volutamente ai dati del 2025 perché, pur spingendosi il piano fino al 2031, ci permettiamo di avere più di una perplessità su numeri che così lontani nel tempo. L’unico aspetto degno di nota è la tendenza.Da notare che dal Mef - tra le righe del Piano - non sono stati affatto teneri né con la metodologia della Commissione e né con la impostazione complessiva richiesta da Bruxelles. Infatti è stata palesemente contestata l’analisi di sostenibilità del debito, strumento alla base di tutti gli scenari futuri, che prometteva per l’Italia un futuro da «fine pena mai». Al punto che al Mef hanno preferito fare da soli mettendo a punto e utilizzando una propria «articolata previsione macroeconomica e di finanza pubblica per i cinque anni del Piano, che consente di stimare più realisticamente l’impatto dell’aggiustamento di bilancio». Inoltre si evidenzia la basilare contraddizione di queste nuove regole che «impongono un’impostazione di bilancio restrittiva quando incombono sfide tecnologiche e ambientali a cui le altre potenze economiche continuano a rispondere con un ampio utilizzo di risorse pubbliche». Una considerazione di cui la Commissione non può non tenere conto.Se la tendenza dei conti pubblici italiani è sotto controllo e presenta sufficienti margini di manovra non è così Oltralpe, sotto l’aspetto formale e sostanziale. Dati e tendenze che gli investitori sanno leggere molto bene, al punto che da qualche settimana i titoli pubblici francesi sono sotto pressione, con lo spread con Madrid addirittura azzerato, pur avendo un rating inferiore, quello con Roma ai minimi storici (53) e quello con Berlino salito a 79. Mentre da Roma, dopo il dibattito parlamentare, il Spbmt arriverà a Bruxelles entro la scadenza del 15 ottobre, da Parigi non saranno pronti prima di fine ottobre.E questo è il meno. L’aspetto più grave è quello sostanziale e riguarda i numerosi dubbi sui numeri che presenterà Parigi. Il semi sconosciuto neo ministro delle Finanze Antoine Armand, al contrario del suo collega Giorgetti, si ritrova a dover tagliare molto di più perché il trend dei conti francesi è verso il peggioramento, quasi fuori controllo. Basti osservare che nel 2024 il deficit/Pil sarà del 5,6%, ampiamente oltre tutti gli impegni e le previsioni.Da qui l’esplicita dichiarazione di voler istituire imposte supplementari sulla ricchezza delle famiglie e anche sulle imprese. Ribaltando uno dei dogmi della politica economica di Emmanuel Macron. Tagli in vista anche su numerose voci della spesa pubblica. Le perplessità dei mercati circa la capacità del governo francese di raggiungere tali obiettivi è ben riassunta dalle parole di un fund manager al Financial Times, secondo il quale sarà la pressione dei mercati a imporre drastiche decisioni.Ecco perché anche la partita dell’Italia con Bruxelles è ancora apertissima. La Commissione non potrà permettersi di essere arrendevole con Parigi e rigida con Roma e Madrid ed è attesa al varco da tutti.
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        Ansa
    
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