Colpisce gli ovini ma anche i bovini, focolai soprattutto in Sardegna e casi in Piemonte, Lombardia e Calabria. Miliardi di danni per il settore zootecnico, già piegato da aviaria e peste suina. Zero pericoli per l’uomo.
Colpisce gli ovini ma anche i bovini, focolai soprattutto in Sardegna e casi in Piemonte, Lombardia e Calabria. Miliardi di danni per il settore zootecnico, già piegato da aviaria e peste suina. Zero pericoli per l’uomo.A sirene spiegate nelle stalle e nei campi. Ma le api che abitavano nelle arnie sulla terrazza del ministero dell’Agricoltura e della sovranità alimentare non c’entrano. Eppure hanno provato a incolpare il ministro Francesco Lollobrigida di questa «moria».Il ministro, semmai, ha maiali e capre da pelare con le nuove emergenze virali, ma le povere api sono state fatte fuori da un terribile predatore: la vespa orientalis che ha banchettato con le ospiti delle tre arnie. Il ministro le ha volute per celebrare, nel 2023, la giornata delle api, che sono le sentinelle ambientali per eccellenza e la base dell’agricoltura. La Fai - Federazione apistica italiana - che ha in gestione le tre arnie ha fatto sapere che il combinato disposto di caldo e vespe ha creato il danno, ma gli alveari che loro hanno in custodia nel cuore di Roma, sono già stati ripristinati con una nuova popolazione di api italiane.Se, però, si fosse prestata agli allevamenti in crisi la stessa attenzione che è stata data in questi giorni alle «operaie» in tuta giallo nera di Lollobrigida, per gli allevatori le prospettive sarebbero meno drammatiche. Anni e anni di animalismo ed ecologismo male interpretati stanno mettendo in serissima crisi gli allevamenti. Il danno potenziale? Siamo sopra i 40 miliardi di euro, con alcune eccellenze agroalimentari che rischiano di andare al tappetto con tre ganci micidiali: peste suina, lingua blu e influenza aviaria. Per fortuna quest’ultima è sotto controllo anche se dall’estero stiamo importando più che una zoonosi una psicosi. Ci sono in Italia, allo stato, solo 23 casi segnalati. L’aviaria in Italia si presenta a ondate periodiche e sin qui non è mai tracimata in vera epidemia, peraltro le aziende che aderiscono a UnaItalia (l’Unione nazionale filiere agroalimentari carni e uova, ndr) - presieduta da Antonio Forlini e guidata da Lara Sanfrancesco - hanno protocolli sanitari rigidissimi che hanno posto la nostra produzione avicola ai vertici mondiali di qualità e salubrità. E tuttavia la psicosi sta facendosi largo. La ragione? Si teme una zoonosi perché negli Usa c’è stato - forse - un primo caso di trasmissione del virus uomo-uomo. Il virologo Matteo Bassetti ha affermato che esiste una possibile trasmissibilità, mentre il suo collega Massimo Ciccozzi sostiene che non c’è questa eventualità ma va detto che, consumando carne di pollo e uova cotte, il virus non si trasmette.Chissà se al proposito qualcuno ricorda la dimostrazione che il mai dimenticato Lamberto Sposini - allora vicedirettore del Tg5 - dette in diretta addentando, nel febbraio del 2006, una coscia di pollo arrosto. Una preoccupazione, semmai, c’è per la possibilità della trasmissione da allevamenti avicoli ad allevamenti bovini. In Italia, però, i virus che sono circolati sono molto diversi da quelli americani. La vigilanza è massima.Preoccupa molto, invece, il secondo virus che si è riaffacciato in questi mesi e che colpisce duramente la zootecnia già provata dalla peste suina. È una nuova ondata di lingua blu. Un morbo che colpisce soprattutto pecore e capre ma che si diffonde anche ai bovini e porta alla morte degli animali. In una nota, Coldiretti lancia l’allarme: sono migliaia gli animali morti tra Sardegna, Piemonte, Lombardia e Calabria, ma anche in altri territori si registrano contagi. Alcune Regioni hanno già emanato ordinanze e provvedimenti per tentare di limitare la trasmissione della malattia, ma è molto complicato perché il morbo della lingua blu è inoculato nei ruminanti da un moscerino (cluicoide). Sono indispensabili campagne di disinfestazione a tappeto. La situazione lingua blu è particolarmente severa in Sardegna dove sono sotto pressione centinaia di allevamenti.Va detto che la lingua blu non si trasmette all’uomo con il consumo di latte e carni, ma il danno per gli allevatori è comunque pesantissimo: cala la produzione, devono isolare greggi e mandrie, devono abbattere gli animali che si ammalano perché non c’è cura. La lingua blu è «entrata» con animali giunti dal Nord Europa - le importazioni di pecore sono a +16% - dove l’epidemia dilaga e dove i controlli sono molto blandi.Continua anche la battaglia contro la peste suina, che da due anni falcidia le stalle. Gli abbattimenti selettivi di cinghiali, i diffusori del morbo, ordinati in tutta Italia stanno limitando i contagi, ma è come chiudere la stalla dopo che i maiali sono morti. I danni sono già miliardari, il contenimento preventivo della fauna selvatica non è stato attuato a causa dei veti «verdi». La peste suina si è manifestata il 6 gennaio del 2022 e l’allora ministro per la Salute, Roberto Speranza, ci mise sei mesi prima di attivare misure stringenti. La prima precauzione fu: evitate di fare jogging negli areali contaminati. Per andare oltre, attese che Roma, dove i cinghiali banchettano tra i rifiuti, fosse dichiarata zona rossa. Oggi il commissario straordinario, Giovanni Filippini - nominato dopo la rinuncia di Vincenzo Caputo - ha avviato un piano di emergenza che ha circoscritto in parte i focolai: sono, al momento, 24 tra Lombardia, dove c’è il grosso del contagio, Piemonte, dove si manifestarono i primi casi, ed Emilia-Romagna. Sono oltre 60.000 i maiali già abbattuti.Anche in questo caso, la peste suina non si trasmette all’uomo consumando carne di maiale, né prosciutto o insaccati, ma gli allevatori lamentano danni ingentissimi soprattutto perché le scrofe continuano a partorire, gli animali vanno nutriti e le stalle sono al collasso con i prezzi già crollati del 50%. Tutto questo perché non si è saputa controllare l’orda dei cinghiali.
Francobollo sovietico commemorativo delle missioni Mars del 1971 (Getty Images)
Nel 1971 la sonda sovietica fu il primo oggetto terrestre a toccare il suolo di Marte. Voleva essere la risposta alla conquista americana della Luna, ma si guastò dopo soli 20 secondi. Riuscì tuttavia ad inviare la prima immagine del suolo marziano, anche se buia e sfocata.
Dopo il 20 luglio 1969 gli americani furono considerati universalmente come i vincitori della corsa allo spazio, quella «space race» che portò l’Uomo sulla Luna e che fu uno dei «fronti» principali della Guerra fredda. I sovietici, consapevoli del vantaggio della Nasa sulle missioni lunari, pianificarono un programma segreto che avrebbe dovuto superare la conquista del satellite terrestre.
Mosca pareva in vantaggio alla fine degli anni Cinquanta, quando lo «Sputnik» portò per la prima volta l’astronauta sovietico Yuri Gagarin in orbita. Nel decennio successivo, tuttavia, le missioni «Apollo» evidenziarono il sorpasso di Washington su Mosca, al quale i sovietici risposero con un programma all’epoca tecnologicamente difficilissimo se non impossibile: la conquista del «pianeta rosso».
Il programma iniziò nel 1960, vale a dire un anno prima del lancio del progetto «Gemini» da parte della Nasa, che sarebbe poi evoluto nelle missioni Apollo. Dalla base di Baikonur in Kazakhistan partiranno tutte le sonde dirette verso Marte, per un totale di 9 lanci dal 1960 al 1973. I primi tentativi furono del tutto fallimentari. Le sonde della prima generazione «Marshnik» non raggiunsero mai l’orbita terrestre, esplodendo poco dopo il lancio. La prima a raggiungere l’orbita fu la Mars 1 lanciata nel 1962, che perse i contatti con la base terrestre in Crimea quando aveva percorso oltre 100 milioni di chilometri, inviando preziosi dati sull’atmosfera interplanetaria. Nel 1963 sorvolò Marte per poi perdersi in un’orbita eliocentrica. Fino al 1969 i lanci successivi furono caratterizzati dall’insuccesso, causato principalmente da lanci errati e esplosioni in volo. Nel 1971 la sonda Mars 2 fu la prima sonda terrestre a raggiungere la superficie del pianeta rosso, anche se si schiantò in fase di atterraggio. Il primo successo (ancorché parziale) fu raggiunto da Mars 3, lanciato il 28 maggio 1971 da Baikonur. La sonda era costituita da un orbiter (che avrebbe compiuto orbitazioni attorno a Marte) e da un Lander, modulo che avrebbe dovuto compiere l’atterraggio sulla superficie del pianeta liberando il Rover Prop-M che avrebbe dovuto esplorare il terreno e l’atmosfera marziani. Il viaggio durò circa sei mesi, durante i quali Mars 3 inviò in Urss preziosi dati. Atterrò su Marte senza danni il 2 dicembre 1971. Il successo tuttavia fu vanificato dalla brusca interruzione delle trasmissioni con la terra dopo soli 20 secondi a causa, secondo le ipotesi più accreditate, dell’effetto di una violenta tempesta marziana che danneggiò l’equipaggiamento di bordo. Solo un’immagine buia e sfocata fu tutto quello che i sovietici ebbero dall’attività di Mars 3. L’orbiter invece proseguì la sua missione continuando l’invio di dati e immagini, dalle quali fu possibile identificare la superficie montagnosa del pianeta e la composizione della sua atmosfera, fino al 22 agosto 1972.
Sui giornali occidentali furono riportate poche notizie, imprecise e incomplete a causa della difficoltà di reperire notizie oltre la Cortina di ferro così la certezza dell’atterraggio di Mars 3 arrivò solamente dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991. Gli americani ripresero le redini del successo anche su Marte, e nel 1976 la sonda Viking atterrò sul pianeta rosso. L’Urss abbandonò invece le missioni Mars nel 1973 a causa degli elevatissimi costi e della scarsa influenza sull’opinione pubblica, avviandosi verso la lunga e sanguinosa guerra in Afghanistan alla fine del decennio.
Continua a leggereRiduci
Il presidente torna dal giro in Francia, Grecia e Spagna con altri missili, caccia, radar, fondi energetici. Festeggiano i produttori di armi e gli Stati: dopo gli Usa, la Francia è la seconda nazione per export globale.
Il recente tour diplomatico di Volodymyr Zelensky tra Atene, Parigi e Madrid ha mostrato, più che mai, come il sostegno all’Ucraina sia divenuto anche una vetrina privilegiata per l’industria bellica europea. Missili antiaerei, caccia di nuova generazione, radar modernizzati, fondi energetici e contratti pluriennali: ciò che appare come normale cooperazione militare è in realtà la struttura portante di un enorme mercato che non conosce pause. La Grecia garantirà oltre mezzo miliardo di euro in forniture e gas, definendosi «hub energetico» della regione. La Francia consegnerà 100 Rafale F4, sistemi Samp-T e nuove armi guidate, con un ulteriore pacchetto entro fine anno. La Spagna aggiungerà circa 500 milioni tra programmi Purl e Safe, includendo missili Iris-T e aiuti emergenziali. Una catena di accordi che rivela l’intreccio sempre più solido tra geopolitica e fatturati industriali. Secondo il SIPRI, le importazioni europee di sistemi militari pesanti sono aumentate del 155% tra il 2015-19 e il 2020-24.
Imagoeconomica
Altoforno 1 sequestrato dopo un rogo frutto però di valutazioni inesatte, non di carenze all’impianto. Intanto 4.550 operai in Cig.
La crisi dell’ex Ilva di Taranto dilaga nelle piazze e fra i palazzi della politica, con i sindacati in mobilitazione. Tutto nasce dalla chiusura dovuta al sequestro probatorio dell’altoforno 1 del sito pugliese dopo un incendio scoppiato il 7 maggio. Mesi e mesi di stop produttivo che hanno costretto Acciaierie d’Italia, d’accordo con il governo, a portare da 3.000 a 4.450 i lavoratori in cassa integrazione, dato che l’altoforno 2 è in manutenzione in vista di una futura produzione di acciaio green, e a produrre è rimasto solamente l’altoforno 4. In oltre sei mesi non sono stati prodotti 1,5 milioni di tonnellate di acciaio. Una botta per l’ex Ilva ma in generale per la siderurgia italiana.
2025-11-20
Mondiali 2026, il cammino dell'Italia: Irlanda del Nord in semifinale e Galles o Bosnia in finale
True
Getty Images
Gli azzurri affronteranno in casa l’Irlanda del Nord nella semifinale playoff del 26 marzo, con eventuale finale in trasferta contro Galles o Bosnia. A Zurigo definiti percorso e accoppiamenti per gli spareggi che assegnano gli ultimi posti al Mondiale 2026.





