2020-07-14
La legge sull’omofobia ridurrebbe al silenzio persino J. K. Rowling
J. K. Rowling (Getty images)
Se il ddl Zan sostenuto dal Pd fosse approvato, la creatrice di Harry Potter sarebbe trattata da omofoba per le sue idee. Al solito prigionieri di un provincialissimo vizio chiamato esterofilia, gli intellettuali di casa nostra da qualche giorno sono in preda a un'eccitazione che non dà segno di affievolirsi. A suscitare tanto erotico furore è stato l'ormai celebre «appello dei 150» Vip stranieri - tra cui Salman Rushdie, Martin Amis, Noam Chomsky, Michael Walzer, Margaret Atwood - contro il «clima di intolleranza» sviluppatosi in concomitanza con le manifestazioni «antirazziste» seguite alla morte di George Floyd. Come noto, la gran parte dei firmatari dell'appello è composta di scrittori, filosofi e giornalisti liberal, cioè progressisti. E anche quelli identificati come «di destra» sono in realtà figli della stessa cultura: liberali atlantici che ben poco hanno in comune con i conservatori europei e hanno ancor meno punti di contatto con i cosiddetti sovranisti. Ieri, su Repubblica, Ezio Mauro ha dedicato un denso editoriale a quella che ha definito «la rivincita del free speech». A suo dire, il fatto che numerosi pensatori di sinistra siano stati capaci di notare le derive intolleranti della sinistra medesima è una strepitosa notizia. «Proprio mentre è accusata di cattiva salute», spiega Mauro, «stupisce la capacità della democrazia - e in particolare di quella americana - di fare continuamente i conti con sé stessa, rimettendosi in discussione, riaprendo ad ogni sollecitazione la sua costituzione interna, rivedendo i suoi canoni». Difficile dare torto all'ex direttore, su questo punto: è senz'altro notevole che i progressisti sappiano guardare nel salotto di casa propria e indicarne gli angoletti sudici. Mauro è quasi commovente quando sancisce che «le opinioni scorrette vanno combattute con altre opinioni, capaci di rivelare le radici e le conseguenze di quella scorrettezza, non con la censura o il silenziatore». A questo punto però sorge un problema non del tutto irrilevante. Mauro (e con lui tanti altri gauchistes italici) si serve dello stesso metro utilizzato dai 150 firmatari stranieri del manifesto «anti intolleranza». Prima si oppone alla censura, ma subito dopo precisa: «È giusto chiedere alla sinistra di rivedere il suo canone di parola corretta: ma intanto, nel silenzio degli intellettuali (non per forza 150, basterebbero anche molti di meno), chi pensa alla destra e alle sue parole come pietre?». Ed ecco che il nodo viene al pettine: essere contro la censura è giusto, ma solo se a esserne vittime sono intellettuali liberal. Quando si tratta della destra, l'opinione diversa diventa «hate speech», «pregiudizio», «discriminazione», quindi la censura è non soltanto giusta, ma pure consigliabile. Dietro l'inno di Mauro alla rinascita del «libero pensiero», insomma, si nasconde la solita vecchia manfrina della superiorità morale con cui da decenni si tenta di confinare nelle fogne ogni forma di dissenso. Infatti, mentre i progressisti nostrani si spellano le mani per applaudire i colleghi inglesi e americani, nel nostro Paese la demonizzazione e la neutralizzazione delle opinioni difformi è la regola. Che si parli di immigrazione o di coronavirus, chi non si attiene alla versione ufficiale approvata dai «buoni» viene immediatamente accusato di fascismo. L'esempio più sconvolgente di questa tendenza è il ddl Zan contro l'omotransfobia. Un progetto liberticida che mira a colpire chi non vuole prostrarsi all'ideologia Lgbt, una legge bavaglio senza eguali in Europa che trasforma il pensiero ribelle in un crimine, e tratta i pensatori non allineati come nemici politici da incarcerare. Lo scorso fine settimana centinaia e centinaia di persone sono scese nelle piazze italiane per manifestare contro questo ddl, e ovviamente sono state descritte come omofobe, medievali, intolleranti. In alcuni casi sono addirittura state aggredite dai militanti arcobaleno. Analoghe aggressioni (verbali) si sono verificate nei confronti delle femministe - anche di ultra sinistra - che hanno osato criticare la proposta di legge così tanto voluta dal Pd. Però non sembra che fra i liberal italiani tutto ciò abbia suscitato grande sdegno: sono tanto sensibili alle faccende globali quanto disinteressati ai drammi locali. Per rendere lampante la contraddizione basta citare il caso di J. K. Rowling. La creatrice di Harry Potter è tra coloro che hanno sottoscritto il manifesto dei 150. Un'adesione nata da una brutta esperienza personale: la scrittrice in varie occasioni ha ripetuto che non bastano la chirurgia e il desiderio per trasformare un maschio in una femmina, e che definire identici una donna e un uomo operato è un grave errore. Per via di queste idee, la Rowling è stata massacrata dai militanti trans e non solo: ancora ieri l'attrice Miriam Margolyes l'accusava di essere troppo «conservatrice».Ovviamente quasi tutti i sinistrorsi illuminati della Penisola hanno solidarizzato a distanza con J.K., e ne hanno appunto celebrato le posizioni contro l'intolleranza. Resta solo un inghippo: se il ddl Zan diventasse legge, in Italia la Rowling sarebbe trattata dallo Stato peggio di come è stata trattata sui social dagli invasati arcobaleno. La potrebbero accusare di transfobia, impedirle di fare conferenze, addirittura imporle il coprifuoco e levarle il passaporto. E allora qualcosa non torna: perché la celebrità liberal può dire ciò che pensa e un autore italiano di destra (o cattolico o marxista) no? Forse perché i nostri progressisti della libertà di espressione se ne fregano, tanto a loro nessuno ha mai provato a toglierla.
Jose Mourinho (Getty Images)