Il presidente alla Knesset: «Mosca vuole la soluzione finale, come i nazisti con gli ebrei». Replica sdegnata: «Paragone da negazionista, gli ucraini contribuirono all’Olocausto». La Turchia: «Vicina un’intesa di pace».
Il presidente alla Knesset: «Mosca vuole la soluzione finale, come i nazisti con gli ebrei». Replica sdegnata: «Paragone da negazionista, gli ucraini contribuirono all’Olocausto». La Turchia: «Vicina un’intesa di pace».La guerra è guerra. E in guerra se ne combinano di ogni. Così ieri, in applicazione della legge marziale, che dal 26 marzo sarà prorogata per altri 30 giorni, Volodymyr Zelensky ha unificato l’informazione di tutti i canali televisivi su un’unica piattaforma di «comunicazione strategica», attiva 24 ore su 24. In guerra, persino i buoni devono ricorrere a censura e controllo.Il presidente ucraino ha anche sospeso l’attività di 11 partiti, accusati di legami con il nemico. Tra questi, figura la Piattaforma di opposizione - Per la vita (Opzzh), il secondo partito della Verchova Rada, il Parlamento nazionale. La guerra è guerra. Perciò, nessuno si scandalizza, a differenza di quando i tg russi manipolano i ragguagli dal fronte. L’Opzzh rappresenta le minoranze russofone e nondimeno, dopo aver cacciato uno dei suoi esponenti, che aveva inneggiato all’attacco, ha condannato l’invasione voluta da Vladimir Putin. Il partito ha chiesto alla Federazione Russa di «fermare l’aggressione», invocando «il ritiro di tutte le truppe dall’Ucraina». Al «Churchill di Kiev» (copyright del Foglio), l’«eroe» che si batte per libertà e democrazia, il gesto non è bastato. Dev’essere solo una coincidenza il fatto che, nel febbraio 2021, in seguito al lancio di una granata in una delle sue sedi, la Piattaforma avesse avviato una procedura d’impeachment proprio nei confronti di Zelensky. L’Opzzh era da anni bersaglio di intimidazioni e aggressioni da parte dei neonazisti ucraini, quei prodi miliziani che si battono «anche per i nostri valori». Al pugno duro, comunque, il leader in tuta mimetica associa la diplomazia. Ieri, Zelensky ha confermato di essere pronto a parlare con Putin. E ha cupamente sottolineato che, se il dialogo fallisse, si arriverebbe a «una terza guerra mondiale». Secondo la Turchia, «lo slancio negoziale sta progredendo» e Russia e Ucraina sarebbero «vicine a un accordo». Il ministro degli Esteri, Mevlut Cavusoglu, ha spiegato che le posizioni dei belligeranti «coincidono su questioni importanti e cruciali. In particolare, vediamo che corrispondono quasi completamente sui primi quattro punti dell’accordo» discusso. Anche per lui, alcune dispute «dovrebbero essere risolte al livello dei due presidenti». Quello ucraino, nel tardo pomeriggio, è inciampato nel primo scivolone della sua trionfale macchina di consenso. Siccome ha in serbo un parallelismo evocativo per ogni Paese al quale si rivolge, parlando, da ebreo, alla Knesset israeliana, ha affermato che Mosca cerca una «soluzione finale» e che «ha l’obiettivo di distruggere il nostro popolo, i nostri bambini, le nostre sovranità, [...] esattamente come è accaduto 80 anni fa con il popolo ebraico e i nazisti. I nostri cittadini sono sparpagliati in tutto il mondo alla ricerca di sicurezza proprio come gli ebrei cercavano di sfuggire ai nazisti». Putin nuovo Hitler. Perciò Zelensky ha rimproverato a Israele di non avergli dato armi e di non aver imposto sanzioni. L’abilità retorica, stavolta, gli si è ritorta contro. Il fatto è che, da quelle parti, non gradiscono raffronti con l’Olocausto: e infatti, i dirigenti del memoriale Yad Vashem, temendo l’intemerata del leader ucraino, gli avevano negato l’auditorium. Una replica clamorosamente sdegnata è giunta dal ministro israeliano delle Comunicazioni, Yoaz Hendel, che ha definito «scandaloso il confronto con gli orrori dell’Olocausto e la soluzione finale». Hendel è stato una furia: «Se il discorso di Zelensky fosse pronunciato in giorni normali», ha twittato, «direbbero che rasenta la negazione dell’Olocausto». E ancora: «È vero che [in Ucraina, ndr] migliaia di persone hanno aiutato a salvare gli ebrei, ma la triste verità storica è che molti hanno aiutato con entusiasmo i nazisti nel progetto di raccogliere e sterminare gli ebrei e saccheggiare le loro proprietà. La verità storica è che il popolo ucraino non può essere orgoglioso della propria condotta di fronte all’Olocausto ebraico». Devastante.È in questo clima che, oggi, riprenderanno i colloqui di pace in streaming. Intanto, sul terreno si spara e si muore. Le autorità ucraine, che dicono di voler evacuare 10.000 persone da Mariupol, avevano accusato i russi di deportare i civili. Ieri, l’ambasciatrice Usa all’Onu, Linda Thomas-Greenfield, ha definito «inaccettabile» il trasporto forzato dei malcapitati «in quelli che possiamo immaginare siano campi di concentramento in Russia», ammettendo, tuttavia, di non poter confermare la notizia. Nella città, sotto il fuoco delle navi nemiche, l’altra notte, sarebbe stata attaccata una scuola in cui avevano trovato rifugio in 400. Kiev, inoltre, ha rinfacciato a Mosca di aver colpito una casa di cura a Luhansk, provocando 56 vittime. Per il ministero della Difesa, lo zar starebbe valutando addirittura di schierare soldati minorenni. Il consigliere di Zelensky, Mykhailo Podolyak, s’è fatto beffe dell’esercito russo: «È impreparato, colpisce l’elevata mortalità degli alti ufficiali. Abbiamo già ucciso sei generali». A Mariupol è morto anche il vicecomandante della flotta russa nel Mar Nero. Gli analisti militari occidentali sottolineano lo stallo nell’avanzata del contingente di Putin. La resistenza è talmente ben equipaggiata, da poter impiegare l’intelligenza artificiale, con l’aiuto aziende tecnologiche americane: Kiev usa il riconoscimento facciale per identificare i morti tra le truppe ostili (e avvisare le loro famiglie), controllare i check point, smascherare le spie. Una transizione digitale da far impallidire Vittorio Colao. Ma financo il Blitzkrieg degli Usa in Iraq durò quasi il doppio dei 25 giorni di assedio all’Ucraina. Auguriamoci non siano prematuri gli sfottò all’«Armata rotta».
Ansa
Altri 13 denunciati per danneggiamento e resistenza, feriti anche tra le forze dell’ordine.
13 ottobre 2025: il summit per la pace di Sharm El-Sheikh (Getty Images)
La quiete in Medio Oriente non placa gli animi dei commentatori nostrani, che ora screditano gli accordi ispirati da Trump per l’assenza di donne ai tavoli negoziali: «Hanno più sensibilità dei maschi». Eppure la von der Leyen dimostra il contrario.
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C’è un filo che attraversa il tempo, invisibile e tenace che unisce le donne di ieri a quelle di oggi. È la trama di storie che non chiedono concessioni, ma riconoscimento. Di gesti che cambiano le cose senza bisogno di clamore. Di intelligenze che innovano, di passioni che costruiscono. Da questo filo è nata Valore Donna, uno spazio dove le donne non sono semplicemente «raccontate», ma anche e soprattutto ascoltate.
In un mondo che ancora fatica a dare piena cittadinanza alla voce femminile, questa rivista è un atto di presenza, che ho fortemente voluto, con l’intenzione di restituire visibilità e valore alle donne che ogni giorno, in silenzio o sotto i riflettori, trasformano il mondo in cui vivono.
Quelle che fondano imprese e reinventano modelli economici, che fanno ricerca, innovano nelle professioni, guidano comunità e progetti sociali. Quelle che mettono la competenza al servizio dell’impegno civile, che difendono i loro diritti, che si fanno portavoce di una nuova idea di leadership: inclusiva, empatica, concreta. Non a caso in questo numero è stato dato largo spazio al premio Donna d’autore, promosso dall’A.i.d.e. (Associazione indipendente donne europee) e in modo particolare alla sua entusiasta presidente Anna Silvia Angelini, perché le premiate rappresentano in maniera evidente i modelli di Valore Donna, dove ogni pagina è una finestra aperta su storie di talento, coraggio e visione. Non ho voluto costruire solo un racconto di unicità, ma anche restituire la normalità della grandezza femminile: donne che riescono, che sbagliano, che ricominciano, che costruiscono futuro. La loro forza non è un’eccezione, ma una presenza quotidiana che Valore Donna vuole portare alla luce, con impegno, rispetto e franchezza. Questo progetto editoriale inoltre ha nel suo dna un’idea di qualità come responsabilità: nella scrittura, nelle immagini, nella scelta dei temi. Ogni contributo è frutto di una ricerca attenta, di un linguaggio curato e di una sensibilità che si sforza di vedere il mondo con occhi diversi. Dando spazio a voci nuove, a imprenditrici, giornaliste, intellettuali, professioniste, donne della politica, giovani, donne che operano nel terzo settore, donne che collaborano, si sostengono e che raccontano la realtà contemporanea senza filtri, con l’autenticità di chi la vive pienamente. Perché solo rinnovando lo sguardo si può cambiare la prospettiva. Valore Donna vuole essere una rivista che lascia un’impronta nel panorama editoriale del Paese, un luogo d’incontro tra generazioni, esperienze e linguaggi. Non un manifesto ideologico, ma un laboratorio vivo, dove la libertà di pensiero e la sensibilità estetica si intrecciano. Nel racconto di queste pagine c’è l’orgoglio delle donne che sognano e nello stesso tempo si impegnano non per rivendicare uno spazio, ma per abitarlo con la pienezza di chi sa di meritarlo. Perché il futuro si scrive soprattutto con le loro voci.
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Ilaria Salis (Ansa)
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