2018-06-17
La guerra giusta contro le ong
Il governo avvisa altre due imbarcazioni di organizzazioni tedesche: «Non sbarcherete qui». Loro insultano Ma fermando gli arrivi siamo solo a metà dell'opera. L'Europa deve dare soldi ai Paesi d'origine per i rimpatri. Domani Giuseppe Conte dalla Angela Merkel, indebolita dalle spaccature sull'immigrazione. Dopo l'Aquarius, nel mirino del ministro dell'Interno sono finiti altri taxi del mare, e la decisione non ci stupisce affatto. Già, perché Salvini, una volta diventato il numero uno del Viminale, non poteva che aprire il fuoco sulle navi dei nuovi schiavisti, ovvero sulle imbarcazioni che fanno la spola tra le coste africane e quelle italiane allo scopo di riempirci di presunti profughi. La scelta del capo della Lega era inevitabile dopo una campagna elettorale che gli ha consentito di quadruplicare i voti. Peraltro, che c'è da stupirsi se Salvini intima l'alt agli sbarchi delle navi? Se si vuole ridurre il numero di clandestini in Italia, la prima cosa da fare è evitare di importarne altri. E dunque, fermare il traffico che finora ha consentito alle Ong di prosperare sulla pelle dei migranti diventa imperativo. Del resto, nascoste dietro lo scudo della solidarietà e del volontariato, le organizzazioni non governative sono quanto di più oscuro esista. Nessuno conosce chi le finanzi, anche se alcune si sono affrettate ad aggiungere l'Iban accanto alla loro ragione sociale. I bilanci non sono pubblici, e dunque nessuno conosce come siano spesi i soldi raccolti. Le navi noleggiate, poi, battono quasi sempre le bandiere di Paesi stranieri che non figurano ai primi posti nelle classifiche della trasparenza. E infine, guarda caso, si riforniscono di carburante a Malta, l'isola dei traffici più loschi. Insomma, le Ong dicono ufficialmente di lavorare in nome di alti principi, ma spesso si ha la sensazione che siano al servizio di faccende assai più terrene, che hanno a che fare con affari e giochi internazionali. Dunque, bene ha fatto il ministro dell'Interno a chiudere i porti ai traghetti dei migranti. Lo stop era atteso, così come erano da mettere in conto le polemiche di chi per anni ha marciato sulle debolezze politiche dell'Italia. Ciò detto, se Salvini terrà duro ed eviterà di importare altri clandestini, avrà risolto solo metà del problema. Fermare gli sbarchi è giusto, e consente che dopo aver rimpatriato un certo numero di indesiderati il loro posto non venga subito preso da altri. Tuttavia, resta irrisolta la questione degli oltre cinquecentomila clandestini di cui i governi del passato hanno consentito l'arrivo. Mezzo milione o forse più di persone che si fa fatica a integrare e ancor di più a rimandare a casa. Nonostante gli sforzi delle forze dell'ordine, i rimpatri forzosi si riducono a poche migliaia l'anno. Il che non stupisce: i Cie, centri di identificazione ed espulsione (cinque in tutta Italia), sono in grado di ospitare solo poche centinaia di persone destinate al rimpatrio. Di questo passo, per rimandare a casa chi non ha diritto di restare, ci vorranno 500 anni, ma anche ammettendo di poter dare il foglio di via a 10.000 individui l'anno, servirebbero 50 anni. Dunque, che si fa? Se Salvini vuole risolvere la faccenda non può che adottare una linea pragmatica. Una parte di questi clandestini, quella più disponibile a rispettare le regole e a integrarsi, la deve tenere, evitando che scivoli verso forme di illegalità. L'altra, quella che fatica ad accettare il codice, la deve rimandare in tutta fretta fuori dai confini nazionali. Sì, lo sappiamo che molti avanzi di galera rifiutano di essere rimpatriati, ma l'accordo Salvini non lo deve fare con loro, bensì con il Paese d'origine o con Paesi del Nord Africa che siano disposti a riprendersi gli indesiderati. Mi spiego. Ogni extracomunitario costa allo Stato italiano circa 50.000 euro ogni due anni, una cifra mostruosa che molti italiani sognano di guadagnare senza mai riuscirvi. Sta di fatto che ogni 12 mesi la spesa messa a bilancio per mantenere la marea di persone che non ha diritto a restare in Italia oscilla fra i 4 e i 5 miliardi. Ma se una parte di questi soldi, invece di destinarli a oscuri centri di accoglienza e farli finire nelle tasche di privati che dicono di lavorare per i profughi e invece badano solo ad appropriarsi del denaro, li usassimo per finanziare l'esodo? Se invece di spendere 50.000 euro a testa ne investissimo 20.000 per convincere i Paesi del Nord Africa a riprendersi i clandestini? In un anno, finanziare l'esodo di 100.000 persone costerebbe due miliardi. Poco o troppo? Io non lo so. Ma so che il Pil di un Paese come la Tunisia è meno di 40 miliardi e la Nigeria, nazione ricca da cui arrivano gran parte dei clandestini, sta poco sopra i 300 miliardi. Dunque, 2 miliardi non sono noccioline, e alcuni di questi Paesi potrebbero essere invogliati a riprendersi i finti profughi. Come sempre, quando ci sono di mezzo i soldi si tratta di mettersi d'accordo. Del resto, la efficientissima Germania come ha fermato gli sbarchi dalle coste turche? Pagando 3 miliardi a Erdogan. Anzi, no: facendoli pagare all'Europa, e dunque anche a noi. Quindi, se vogliamo ottenere qualche cosa, bisogna convincere Bruxelles a mettere mano al portafoglio. Forza Salvini.