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2020-11-23
La guerra degli affitti
iStock
Il M5s consegna un altro regalo agli inquilini che non pagano l'affitto. I proprietari degli immobili dovranno aspettare altri mesi per tornare in possesso del loro bene. Quattro senatori grillini hanno presentato un emendamento al decreto Ristori per prorogare fino al 31 marzo 2021 il blocco degli sfratti in scadenza a fine dicembre. Si prevede inoltre la proroga al 30 giugno dei pignoramenti e si lavora al blocco dei protesti. Chi da anni fa il furbo tira un sospiro di sollievo anche perché, in pratica, sarà molto più lunga: poiché i tribunali sono ingolfati dalle pratiche sospese causa Covid, i primi sfratti potrebbero avvenire addirittura nel 2022.
Nel frattempo, i proprietari dovranno continuare a pagare tasse, bollette e condominio. Il blocco degli sfratti è stato introdotto -si disse - per «proteggere le categorie più deboli», tra cui gli inquilini colpiti dalla crisi. Il provvedimento però tutela anche chi ne approfitta e congela tutte le esecuzioni di sfratto decretate prima del Covid, che nulla quindi hanno a che fare con gli effetti della pandemia. «Non ti pago, fammi causa»: è la frase che i proprietari di immobili si sentono ripetere sempre più spesso. E la loro risposta è «mai più locazioni lunghe. Solo affitti brevi ai turisti». Gli operatori del settore stimano che, quando le case occupate dai morosi torneranno ai proprietari, il mercato dell'edilizia residenziale si orienterà più che in passato verso i contratti sotto i 30 giorni con il raddoppio dell'offerta dei b&b.
Una certa narrazione politica ha coniato l'espressione politicamente corretta di «morosità incolpevole», assolvendo senza ombra di dubbio l'inquilino che non paga perché colpito dalla crisi della pandemia e condannando il proprietario, «colpevole» di voler rientrare in possesso del bene in un momento di generale difficoltà. Ed è partendo da questa visione ideologica delle cose, in cui le vittime sono solo da una parte, che il governo ha deciso di sospendere l'esecuzione degli sfratti, espropriando di fatto i proprietari del diritto di poter disporre del proprio bene. Il blocco degli sfratti ha interrotto il corso di cause che si trascinavano da anni. Non stiamo parlando di grandi immobiliaristi, ma di persone per le quali riscuotere un affitto è una fonte di reddito con cui deve pagare il mutuo; di chi ha ricevuto un appartamento in eredità e spesso se ne serve per mantenere il figlio disoccupato o arrotondare la pensione; di chi è in cassa integrazione e deve pagare tasse e bollette per un immobile da cui non riceve il canone.
Queste categorie, quindi, dovrebbero fungere da ammortizzatore sociale di altre vittime della crisi o, peggio, chiudere un occhio sulle morosità furbesche. Ma soprattutto, nessuna indennità economica né alcun ristoro è stato previsto per risarcire i proprietari dai canoni non percepiti. Questi comunque devono continuare a versare le quote dell'Imu e dell'Irpef oltre a far fronte alle spese del condominio che gli inquilini si rifiutano di pagare.
Sono oltre 100.000 le richieste di esecuzione di sfratto arrivate nel 2019, secondo una rilevazione del ministero dell'Interno. Ma i provvedimenti emessi sono solo 48.543 e gli eseguiti con intervento dell'ufficiale giudiziario 25.930. Quelli che riguardano le morosità sono in netta prevalenza, circa il 90%: 42.326 mentre poco più di 4.000 per finita locazione. Rispetto al 2018 gli sfratti eseguiti sono diminuiti del 14%. Quindi la situazione era già difficile prima del Covid. A questo arretrato si aggiungeranno le richieste di sfratto che esploderanno alla fine del blocco.
Secondo l'Unione inquilini, ad agosto stavano arrivando alla Cancelleria di Roma 100 richieste al giorno di udienze per convalidare sfratti in gran parte per morosità. Prima del Covid, il tribunale di Bergamo destinava alle udienze per liberare gli immobili un giorno a settimana: oggi non ne bastano tre. A Torino, secondo Confedilizia, durante la pandemia il numero dei locatari che non ha pagato l'affitto con regolarità è cresciuto del 25% mentre da marzo 2019 a marzo 2020 l'incremento era circa del 10%. Lo scorso anno nel capoluogo piemontese sono stati convalidati 3.000 sfratti. Ora ben il 40% degli inquilini ritiene che nel 2021 avrà difficoltà a far fronte ai canoni. Quattro volte in più rispetto al 2019. Spesso, quando si taglia il budget familiare, le prime voci che saltano sono proprio l'affitto di casa e le spese condominiali. Ma accanto a chi è in una condizione di necessità ce ne sono altrettanti che pur potendo pagare, si approfittano di un clima che favorisce le morosità.
A complicare le cose ci si è messo poi un parere dell'Ufficio massimario della Corte di Cassazione di luglio: l'inquilino che smette di pagare l'affitto sarebbe in buona fede e il proprietario dovrebbe rinegoziare il canone di locazione; nel caso non ci sia accordo tra le due parti il giudice ha la facoltà di rideterminare lui stesso il canone. A Milano è già successo ed è un precedente che turba il mercato degli affitti. A questo si aggiunge la sentenza del Tribunale di Roma che ha dato ragione a un esercizio commerciale stabilendo uno sconto sui canoni del passato oltre che su quelli futuri.
In Confedilizia arrivano ogni giorno decine di segnalazioni di morosità colpevoli, alcune con foto postate su Facebook che ritraggono gli inquilini, presunti indigenti, in località di vacanza. C'è chi dalla stipula del contratto ha ricevuto un solo canone, come denuncia Giovanni Gennaro, proprietario di un appartamento a Gallarate, costretto da marzo 2019 a pagare le spese condominiali e tutte le utenze perché «la legge mi impedisce di staccarle». La sentenza di sfratto è antecedente il Covid ma è incappata nel blocco. Giuliana Panico di Napoli e la sua famiglia di artigiani da quattro anni non riceve un soldo: gli inquilini non hanno mai risposto alle chiamate. «La legge sta aiutando il comportamento criminale di queste persone», dice accorata. Sempre più frequenti i casi in cui il proprietario è minacciato, se cerca di far valere i propri diritti. Ci sono situazioni come quella segnalata alla Confedilizia da Silvia Codella di Milano, in cui l'inquilino risulta nullatenente «e quindi il pignoramento va a vuoto». Dopo due anni d'inferno, scrive la proprietaria, ha ricevuto l'aiuto della polizia ma il blocco degli sfratti ha fermato tutto: «Se mi andasse bene, l'intervento delle forze dell'ordine potrebbe avvenire ad aprile 2021, ma temo di dover aspettare più a lungo. A Milano si stanno accumulando migliaia e migliaia di procedimenti». Spesso sono gli stessi avvocati che consigliano agli inquilini morosi di non preoccuparsi per l'arrivo dello sfratto, «tanto prima dell'intervento dell'ufficiale giudiziario e dei carabinieri passano almeno due anni», racconta Joanne Rocco, altra proprietaria, che ha scritto alla Confedilizia. «Per noi non c'è nessun ristoro», dice Carlo, pensionato di 74 anni. «Con l'Irpef 2021 dovrò dichiarare un anno di affitto mai percepito. Questa sì, che è una dichiarazione mendace».
«Lo Stato è troppo lento con gli aiuti. Per questo serve la nuova proroga»

Massimo Pasquini (Facebook)
«È necessaria un'ulteriore proroga degli sfratti e nel frattempo realizzare un piano di edilizia residenziale pubblica. La sospensione delle esecuzioni dovrebbe andare di pari passo almeno con lo stop ai licenziamenti, quindi fino a marzo. Non solo mancano le case popolari, ma la legislazione sugli affitti è sbagliata. Servirebbero due soli canali: il libero mercato senza tassazione agevolata e i contratti concordati. Ora i canoni sono troppo alti rispetto al reddito medio di chi vi abita». È l'opinione del segretario nazionale dell'Unione inquilini, Massimo Pasquini.
Che legame c'è tra il blocco degli sfratti e quello dei licenziamenti? Numerosi proprietari potrebbero aver perso il lavoro, essere in condizioni di bisogno e desiderare di rientrare in possesso del proprio bene se l'inquilino non paga.
«Gli inquilini sono la parte debole, è nei numeri. Da aprile a oggi da 600.000 a 800.000 famiglie hanno chiesto contributi all'affitto. In Campania sono 65.000, nel Lazio 85.000. I contributi medi arrivati a oggi sono dai 100 ai 300 euro una tantum. A Roma, a febbraio, hanno chiesto l'aiuto all'affitto 15.000 famiglie e sono quelle che normalmente partecipano al bando, ma dopo due mesi, aprile e maggio, erano 49.000: triplicate. Di queste, a metà ottobre avevano ricevuto il contributo di 245 euro una tantum solo 6.000 famiglie».
Ma questo è un problema di cui non si possono far carico i proprietari di immobili.
«Per questo occorre un'ulteriore proroga del blocco degli sfratti, per dare il tempo al governo di erogare i sussidi agli affitti. Il meccanismo attuale è vecchio e lento. Per fare il bando servono 6 mesi: il governo stanzia le risorse, le ripartisce tra le Regioni e queste avrebbero 30 giorni per darle ai Comuni che devono emanare i bandi per i quali impiegano almeno un altro mese. I fondi arrivano in tempi biblici e nel frattempo si accumulano nei tribunali migliaia di richieste di sfratto per morosità. A questo si aggiungono le richieste di affitti troppo elevati».
Chiedete di abolire il libero mercato degli affitti?
«Il contratto con cedolare secca al 21% andrebbe eliminato. Sarebbe un vantaggio anche per il fisco. Nel Rapporto immobiliare del 2017 c'è scritto che la cedolare secca vale 2,2 miliardi di euro di minori entrate. Perché dare un'agevolazione a chi vuole il massimo dal mercato? Perché dare il 21% di aliquota a chi affitta a libero mercato? Serve un Piano di edilizia residenziale pubblica finanziato con parte del Recovery fund. Vuol dire aumentare l'offerta di alloggi a canone sociale non con la cementificazione delle città ma riutilizzando il patrimonio immobiliare lasciato inutilizzato, pubblico e privato. Vanno mappati gli edifici disabitati che si possono utilizzare. A Milano le tre torri ex Ligresti, oggi Unipol, sono vuote, inutilizzate da 25 anni. Dal 2014 tutti i palazzi sgomberati dalla forza pubblica sono vuoti».
Mentre il governo risolve tali problemi, i proprietari di immobili che fanno? Dovrebbero aspettare un altro anno per liberare la casa da chi non paga?
«Ci sono 650.000 famiglie in attesa di case popolari che devono avere una risposta. Qualche intervento si può fare subito. Nella riforma fiscale toglierei l'Imu per gli enti gestori delle case popolari e abolirei la cedolare secca per il libero mercato. La sospensione degli sfratti ha aiutato a stemperare le punte dei contrasti sociali. Quando finirà il blocco degli sfratti, sarà dura».
«E si prepara un altro giro di vite»

Matteo Bianchi (Facebook)
«Il Parlamento è sordo alle esigenze dei proprietari di immobili vittime del blocco degli sfratti. Mi aspetto che appoggi la richiesta dei 5 stelle di prorogare la sospensione a marzo. L'emendamento sarà appoggiato da Leu e Pd. Le associazioni degli inquilini hanno fatto un pressing serrato sulla sinistra per allungare la scadenza e hanno trovato una sponda». Matteo Bianchi, deputato della Lega, ha da tempo avviato una campagna a favore dei proprietari di immobili. Due ordini del giorno e altrettante interpellanze sono però caduti nel vuoto.
È una scelta ideologica?
«Certo. È un attacco alla proprietà. Ma qui non parliamo di palazzinari».
Di chi parliamo?
«Ho appena ricevuto la mail dal proprietario di un piccolo immobile. L'inquilino non lo paga da un anno e il Covid ha congelato l'esecuzione dello sfratto. Ora lui è in cassa integrazione ma dovrà farsi carico di Imu e tasse. La situazione di questa persona era stata definita prima della pandemia, ma questo particolare al governo non interessa. Ci sono cause di sfratto che si trascinano da anni e ora sono state sospese».
Come spiega l'atteggiamento del Parlamento?
«Domina la solita narrazione di sinistra del proprietario benestante e quindi soggetto forte, e dell'inquilino debole. Ho presentato un ordine del giorno in appendice al decreto Rilancio chiedendo al governo di farsi parte attiva, levando il blocco degli sfratti e disponendo indennizzi per i proprietari delle case che non ricevono i canoni. Non si può scaricare su una categoria di cittadini i problemi di altri, non possono diventare ammortizzatori sociali anche perché molti stanno subendo a loro volta gli effetti economici della pandemia. L'ordine del giorno è stato accolto ma quando ho presentato un'ulteriore interpellanza, ho ottenuto risposte evasive».
A quanto pare il problema non interessa al Parlamento.
«È così, ma io intanto sono inondato di mail e messaggi di persone disperate che non sanno come rientrare in possesso del loro bene. Tante hanno perso il lavoro, non riescono a pagare il mutuo e la banca le ha segnalate alla Centrale rischi. Capita invece che l'inquilino moroso sia in buone condizioni economiche e approfitti della tolleranza giudiziaria di questo momento».
Lei ha anche chiesto di accelerare le procedure di sfratto quando il blocco sarà terminato. Ha avuto risposta?
«Nessuna. In una interpellanza ho chiesto al sottosegretario alla Giustizia Andrea Giorgis (Pd) di attivarsi affinché i tribunali fissino sin da ora le esecuzioni degli sfratti per gennaio. La calendarizzazione andrebbe fatta subito. Se non si anticipano i tempi, i primi sfratti saranno eseguiti dopo l'estate. Una beffa, dopo il danno, per i proprietari».
Che risposta ha avuto dal sottosegretario Giorgis?
«Mi ha detto che il governo sta pensando di inserire nella legge di bilancio gli indennizzi per i proprietari in attesa dello sfratto, ma non ho visto nulla. Invece è stata inserita una norma che penalizza gli affitti brevi togliendo la tassazione agevolata per locazioni superiori a 4 appartamenti. Non si tratta di grandi patrimoni immobiliari. Nella maggior parte dei casi sono monolocali o bilocali affittati a turisti, che danno poco reddito. Ma dal prossimo anno saranno considerate attività imprenditoriali e il proprietario dovrà aprire una partita Iva. È un ulteriore attacco al mercato delle locazioni».
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All'inizio della pandemia Palazzo Chigi ha sospeso gli sfratti, compresi quelli già decisi con sentenza. Ora il M5s ha chiesto di prolungare il blocco. Ma i possessori sono disperati: non incassano le mensilità dovute, sono sempre costretti a pagare tasse, bollette e condominio, mentre per loro non è stato previsto alcun ristoro.Il segretario dell'Unione inquilini Massimo Pasquini è favorevole ad abolire la cedolare secca del 21%Il deputato leghista Matteo Bianchi: «Chi ha dato più di 4 immobili in locazione dovrà avere partita Iva. È un ulteriore attacco ideologico contro chi ha investito i propri risparmi nel mattone».Lo speciale contiene tre articoli.Il M5s consegna un altro regalo agli inquilini che non pagano l'affitto. I proprietari degli immobili dovranno aspettare altri mesi per tornare in possesso del loro bene. Quattro senatori grillini hanno presentato un emendamento al decreto Ristori per prorogare fino al 31 marzo 2021 il blocco degli sfratti in scadenza a fine dicembre. Si prevede inoltre la proroga al 30 giugno dei pignoramenti e si lavora al blocco dei protesti. Chi da anni fa il furbo tira un sospiro di sollievo anche perché, in pratica, sarà molto più lunga: poiché i tribunali sono ingolfati dalle pratiche sospese causa Covid, i primi sfratti potrebbero avvenire addirittura nel 2022. Nel frattempo, i proprietari dovranno continuare a pagare tasse, bollette e condominio. Il blocco degli sfratti è stato introdotto -si disse - per «proteggere le categorie più deboli», tra cui gli inquilini colpiti dalla crisi. Il provvedimento però tutela anche chi ne approfitta e congela tutte le esecuzioni di sfratto decretate prima del Covid, che nulla quindi hanno a che fare con gli effetti della pandemia. «Non ti pago, fammi causa»: è la frase che i proprietari di immobili si sentono ripetere sempre più spesso. E la loro risposta è «mai più locazioni lunghe. Solo affitti brevi ai turisti». Gli operatori del settore stimano che, quando le case occupate dai morosi torneranno ai proprietari, il mercato dell'edilizia residenziale si orienterà più che in passato verso i contratti sotto i 30 giorni con il raddoppio dell'offerta dei b&b.Una certa narrazione politica ha coniato l'espressione politicamente corretta di «morosità incolpevole», assolvendo senza ombra di dubbio l'inquilino che non paga perché colpito dalla crisi della pandemia e condannando il proprietario, «colpevole» di voler rientrare in possesso del bene in un momento di generale difficoltà. Ed è partendo da questa visione ideologica delle cose, in cui le vittime sono solo da una parte, che il governo ha deciso di sospendere l'esecuzione degli sfratti, espropriando di fatto i proprietari del diritto di poter disporre del proprio bene. Il blocco degli sfratti ha interrotto il corso di cause che si trascinavano da anni. Non stiamo parlando di grandi immobiliaristi, ma di persone per le quali riscuotere un affitto è una fonte di reddito con cui deve pagare il mutuo; di chi ha ricevuto un appartamento in eredità e spesso se ne serve per mantenere il figlio disoccupato o arrotondare la pensione; di chi è in cassa integrazione e deve pagare tasse e bollette per un immobile da cui non riceve il canone. Queste categorie, quindi, dovrebbero fungere da ammortizzatore sociale di altre vittime della crisi o, peggio, chiudere un occhio sulle morosità furbesche. Ma soprattutto, nessuna indennità economica né alcun ristoro è stato previsto per risarcire i proprietari dai canoni non percepiti. Questi comunque devono continuare a versare le quote dell'Imu e dell'Irpef oltre a far fronte alle spese del condominio che gli inquilini si rifiutano di pagare.Sono oltre 100.000 le richieste di esecuzione di sfratto arrivate nel 2019, secondo una rilevazione del ministero dell'Interno. Ma i provvedimenti emessi sono solo 48.543 e gli eseguiti con intervento dell'ufficiale giudiziario 25.930. Quelli che riguardano le morosità sono in netta prevalenza, circa il 90%: 42.326 mentre poco più di 4.000 per finita locazione. Rispetto al 2018 gli sfratti eseguiti sono diminuiti del 14%. Quindi la situazione era già difficile prima del Covid. A questo arretrato si aggiungeranno le richieste di sfratto che esploderanno alla fine del blocco.Secondo l'Unione inquilini, ad agosto stavano arrivando alla Cancelleria di Roma 100 richieste al giorno di udienze per convalidare sfratti in gran parte per morosità. Prima del Covid, il tribunale di Bergamo destinava alle udienze per liberare gli immobili un giorno a settimana: oggi non ne bastano tre. A Torino, secondo Confedilizia, durante la pandemia il numero dei locatari che non ha pagato l'affitto con regolarità è cresciuto del 25% mentre da marzo 2019 a marzo 2020 l'incremento era circa del 10%. Lo scorso anno nel capoluogo piemontese sono stati convalidati 3.000 sfratti. Ora ben il 40% degli inquilini ritiene che nel 2021 avrà difficoltà a far fronte ai canoni. Quattro volte in più rispetto al 2019. Spesso, quando si taglia il budget familiare, le prime voci che saltano sono proprio l'affitto di casa e le spese condominiali. Ma accanto a chi è in una condizione di necessità ce ne sono altrettanti che pur potendo pagare, si approfittano di un clima che favorisce le morosità.A complicare le cose ci si è messo poi un parere dell'Ufficio massimario della Corte di Cassazione di luglio: l'inquilino che smette di pagare l'affitto sarebbe in buona fede e il proprietario dovrebbe rinegoziare il canone di locazione; nel caso non ci sia accordo tra le due parti il giudice ha la facoltà di rideterminare lui stesso il canone. A Milano è già successo ed è un precedente che turba il mercato degli affitti. A questo si aggiunge la sentenza del Tribunale di Roma che ha dato ragione a un esercizio commerciale stabilendo uno sconto sui canoni del passato oltre che su quelli futuri.In Confedilizia arrivano ogni giorno decine di segnalazioni di morosità colpevoli, alcune con foto postate su Facebook che ritraggono gli inquilini, presunti indigenti, in località di vacanza. C'è chi dalla stipula del contratto ha ricevuto un solo canone, come denuncia Giovanni Gennaro, proprietario di un appartamento a Gallarate, costretto da marzo 2019 a pagare le spese condominiali e tutte le utenze perché «la legge mi impedisce di staccarle». La sentenza di sfratto è antecedente il Covid ma è incappata nel blocco. Giuliana Panico di Napoli e la sua famiglia di artigiani da quattro anni non riceve un soldo: gli inquilini non hanno mai risposto alle chiamate. «La legge sta aiutando il comportamento criminale di queste persone», dice accorata. Sempre più frequenti i casi in cui il proprietario è minacciato, se cerca di far valere i propri diritti. Ci sono situazioni come quella segnalata alla Confedilizia da Silvia Codella di Milano, in cui l'inquilino risulta nullatenente «e quindi il pignoramento va a vuoto». Dopo due anni d'inferno, scrive la proprietaria, ha ricevuto l'aiuto della polizia ma il blocco degli sfratti ha fermato tutto: «Se mi andasse bene, l'intervento delle forze dell'ordine potrebbe avvenire ad aprile 2021, ma temo di dover aspettare più a lungo. A Milano si stanno accumulando migliaia e migliaia di procedimenti». Spesso sono gli stessi avvocati che consigliano agli inquilini morosi di non preoccuparsi per l'arrivo dello sfratto, «tanto prima dell'intervento dell'ufficiale giudiziario e dei carabinieri passano almeno due anni», racconta Joanne Rocco, altra proprietaria, che ha scritto alla Confedilizia. «Per noi non c'è nessun ristoro», dice Carlo, pensionato di 74 anni. «Con l'Irpef 2021 dovrò dichiarare un anno di affitto mai percepito. Questa sì, che è una dichiarazione mendace». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/la-guerra-degli-affitti-2649009936.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="lo-stato-e-troppo-lento-con-gli-aiuti-per-questo-serve-la-nuova-proroga" data-post-id="2649009936" data-published-at="1606075426" data-use-pagination="False"> «Lo Stato è troppo lento con gli aiuti. 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Da aprile a oggi da 600.000 a 800.000 famiglie hanno chiesto contributi all'affitto. In Campania sono 65.000, nel Lazio 85.000. I contributi medi arrivati a oggi sono dai 100 ai 300 euro una tantum. A Roma, a febbraio, hanno chiesto l'aiuto all'affitto 15.000 famiglie e sono quelle che normalmente partecipano al bando, ma dopo due mesi, aprile e maggio, erano 49.000: triplicate. Di queste, a metà ottobre avevano ricevuto il contributo di 245 euro una tantum solo 6.000 famiglie». Ma questo è un problema di cui non si possono far carico i proprietari di immobili. «Per questo occorre un'ulteriore proroga del blocco degli sfratti, per dare il tempo al governo di erogare i sussidi agli affitti. Il meccanismo attuale è vecchio e lento. Per fare il bando servono 6 mesi: il governo stanzia le risorse, le ripartisce tra le Regioni e queste avrebbero 30 giorni per darle ai Comuni che devono emanare i bandi per i quali impiegano almeno un altro mese. I fondi arrivano in tempi biblici e nel frattempo si accumulano nei tribunali migliaia di richieste di sfratto per morosità. A questo si aggiungono le richieste di affitti troppo elevati». Chiedete di abolire il libero mercato degli affitti? «Il contratto con cedolare secca al 21% andrebbe eliminato. Sarebbe un vantaggio anche per il fisco. Nel Rapporto immobiliare del 2017 c'è scritto che la cedolare secca vale 2,2 miliardi di euro di minori entrate. Perché dare un'agevolazione a chi vuole il massimo dal mercato? Perché dare il 21% di aliquota a chi affitta a libero mercato? Serve un Piano di edilizia residenziale pubblica finanziato con parte del Recovery fund. Vuol dire aumentare l'offerta di alloggi a canone sociale non con la cementificazione delle città ma riutilizzando il patrimonio immobiliare lasciato inutilizzato, pubblico e privato. Vanno mappati gli edifici disabitati che si possono utilizzare. A Milano le tre torri ex Ligresti, oggi Unipol, sono vuote, inutilizzate da 25 anni. Dal 2014 tutti i palazzi sgomberati dalla forza pubblica sono vuoti». Mentre il governo risolve tali problemi, i proprietari di immobili che fanno? Dovrebbero aspettare un altro anno per liberare la casa da chi non paga? «Ci sono 650.000 famiglie in attesa di case popolari che devono avere una risposta. Qualche intervento si può fare subito. Nella riforma fiscale toglierei l'Imu per gli enti gestori delle case popolari e abolirei la cedolare secca per il libero mercato. La sospensione degli sfratti ha aiutato a stemperare le punte dei contrasti sociali. 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Due ordini del giorno e altrettante interpellanze sono però caduti nel vuoto. È una scelta ideologica? «Certo. È un attacco alla proprietà. Ma qui non parliamo di palazzinari». Di chi parliamo? «Ho appena ricevuto la mail dal proprietario di un piccolo immobile. L'inquilino non lo paga da un anno e il Covid ha congelato l'esecuzione dello sfratto. Ora lui è in cassa integrazione ma dovrà farsi carico di Imu e tasse. La situazione di questa persona era stata definita prima della pandemia, ma questo particolare al governo non interessa. Ci sono cause di sfratto che si trascinano da anni e ora sono state sospese». Come spiega l'atteggiamento del Parlamento? «Domina la solita narrazione di sinistra del proprietario benestante e quindi soggetto forte, e dell'inquilino debole. Ho presentato un ordine del giorno in appendice al decreto Rilancio chiedendo al governo di farsi parte attiva, levando il blocco degli sfratti e disponendo indennizzi per i proprietari delle case che non ricevono i canoni. Non si può scaricare su una categoria di cittadini i problemi di altri, non possono diventare ammortizzatori sociali anche perché molti stanno subendo a loro volta gli effetti economici della pandemia. L'ordine del giorno è stato accolto ma quando ho presentato un'ulteriore interpellanza, ho ottenuto risposte evasive». A quanto pare il problema non interessa al Parlamento. «È così, ma io intanto sono inondato di mail e messaggi di persone disperate che non sanno come rientrare in possesso del loro bene. Tante hanno perso il lavoro, non riescono a pagare il mutuo e la banca le ha segnalate alla Centrale rischi. Capita invece che l'inquilino moroso sia in buone condizioni economiche e approfitti della tolleranza giudiziaria di questo momento». Lei ha anche chiesto di accelerare le procedure di sfratto quando il blocco sarà terminato. Ha avuto risposta? «Nessuna. In una interpellanza ho chiesto al sottosegretario alla Giustizia Andrea Giorgis (Pd) di attivarsi affinché i tribunali fissino sin da ora le esecuzioni degli sfratti per gennaio. La calendarizzazione andrebbe fatta subito. Se non si anticipano i tempi, i primi sfratti saranno eseguiti dopo l'estate. Una beffa, dopo il danno, per i proprietari». Che risposta ha avuto dal sottosegretario Giorgis? «Mi ha detto che il governo sta pensando di inserire nella legge di bilancio gli indennizzi per i proprietari in attesa dello sfratto, ma non ho visto nulla. Invece è stata inserita una norma che penalizza gli affitti brevi togliendo la tassazione agevolata per locazioni superiori a 4 appartamenti. Non si tratta di grandi patrimoni immobiliari. Nella maggior parte dei casi sono monolocali o bilocali affittati a turisti, che danno poco reddito. Ma dal prossimo anno saranno considerate attività imprenditoriali e il proprietario dovrà aprire una partita Iva. È un ulteriore attacco al mercato delle locazioni».
Sergio Mattarella (Ansa)
Si torna quindi all’originale, fedeli al manoscritto autografo del paroliere, che morì durante l’assedio di Roma per una ferita alla gamba. Lo certifica il documento oggi conservato al Museo del Risorgimento di Torino.
La svolta riguarderà soprattutto le cerimonie militari ufficiali. Lo Stato Maggiore della Difesa, in un documento datato 2 dicembre, ha infatti inviato l’ordine a tutte le forze armate: durante gli eventi istituzionali e le manifestazioni militari nelle quali verrà eseguito l’inno nella versione cantata - che parte con un «Allegro marziale» -, il grido in questione dovrà essere omesso. E viene raccomandata «la scrupolosa osservanza» a tutti i livelli, fino al più piccolo presidio territoriale, dalla Guardia di Finanza all’Esercito. Ovviamente nessuno farà una piega se allo stadio i tifosi o i calciatori della nazionale azzurra (discorso che vale per tutti gli sport) faranno uno strappo alla regola, anche se la strada ormai è tracciata.
Per confermare la bontà della decisione del Colle basta ricordare le indicazioni che il Maestro Riccardo Muti diede ai 3.000 coristi (professionisti e amatori, dai 4 agli 87 anni) radunati a Ravenna lo scorso giugno per l’evento dal titolo agostiniano «Cantare amantis est» (Cantare è proprio di chi ama). Proprio in quell’occasione, come avevamo raccontato su queste pagine, il grande direttore d’orchestra - che da decenni cerca di spazzare via dall’opera italiana le aggiunte postume, gli abbellimenti non richiesti e gli acuti non scritti dagli autori, ripulendo le partiture dalle «bieche prassi erroneamente chiamate tradizioni» - ordinò a un coro neonato ma allo stesso tempo immenso: «Il “sì” finale non si canta, nel manoscritto non c’è».
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Scott Bessent (Ansa)
Partiamo da Washington, dove il Pil non solo non rallenta, ma accelera. Nel terzo trimestre dell’anno, da luglio a settembre, l’economia americana è cresciuta del 4,3%. Non un decimale in più o in meno: un punto pieno sopra le attese, ferme a un modesto 3,3%. Un dato arrivato in ritardo, complice lo stop federale che ha paralizzato le attività pubbliche, ma che ha avuto l’effetto di una doccia fredda per gli analisti più pessimisti. Altro che frenata da dazi: rispetto al secondo trimestre, l’incremento è stato dell’1,1%. Altro che economia sotto anestesia. Una successo che spinge Scott Bessent, segretario del Tesoro, a fare pressioni sulla Fed perché tagli i tassi e riveda al ribasso dal 2% all’1,5% il tetto all’inflazione. Il motore della crescita? I consumi, tanto per cambiare. Gli americani hanno continuato a spendere come se i dazi fossero un concetto astratto da talk show. Nel terzo trimestre i consumi sono saliti del 3,5%, dopo il più 2,5% dei mesi precedenti. A spingere il Pil hanno contribuito anche le esportazioni e la spesa pubblica, in un mix poco ideologico e molto concreto. La morale è semplice: mentre la politica discute, l’economia va avanti. E spesso prende un’altra direzione.
E l’Europa? Doveva essere la prima vittima collaterale della guerra commerciale. Anche qui, però, i numeri si ostinano a non obbedire alle narrazioni. L’Italia, per esempio, a novembre ha visto rafforzarsi il saldo commerciale con i Paesi extra Ue, arrivato a più 6,9 miliardi di euro, contro i 5,3 miliardi dello stesso mese del 2024. Quanto agli Stati Uniti, l’export italiano registra sì un calo, ma limitato: meno 3%. Una flessione che somiglia più a un raffreddore stagionale che a una polmonite da dazi. Non esattamente lo scenario da catastrofe annunciata.
Anche la Bce, che per statuto non indulge in entusiasmi, ha dovuto prendere atto della resilienza dell’economia europea. Le nuove proiezioni parlano di una crescita dell’eurozona all’1,4% nel 2025, in rialzo rispetto all’1,2% stimato a settembre, e dell’1,2% nel 2026, contro l’1,0 precedente. Non è un boom, certo, ma nemmeno il deserto postbellico evocato dai più allarmisti. Soprattutto, è un segnale: l’Europa cresce nonostante tutto, e nonostante tutti. E poi c’è la Cina, che osserva il dibattito globale con il sorriso di chi incassa. Nei primi undici mesi del 2025 Pechino ha messo a segno un surplus commerciale record di oltre 1.000 miliardi di dollari, con esportazioni superiori ai 3.400 miliardi. Altro che isolamento: la fabbrica del mondo continua a macinare numeri, mentre l’Occidente discute se i dazi siano il male assoluto o solo un peccato veniale.
Alla fine, la lezione è sempre la stessa. I dazi fanno rumore, le previsioni pure. Ma l’economia parla a bassa voce e con i numeri. E spesso, come in questo caso, si diverte a smentire chi aveva già scritto il copione del disastro. Le cassandre restano senza applausi. Le statistiche, ancora una volta, si prendono la scena.
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Paolo Barletta, Ceo Arsenale S.p.a. (Ansa)
Il contributo di Simest è pari a 15 milioni e passa dalla Sezione Infrastrutture del Fondo 394/81, plafond in convenzione con il ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, dedicato alle imprese italiane impegnate in grandi commesse estere che valorizzano la filiera nazionale. In termini di struttura, il capitale sociale congiunto copre la componente di rischio industriale, mentre la componente del fondo saudita sostiene la rampa di avvio del progetto, riducendo il fabbisogno di capitale a carico dei partner italiani e rafforzando la bancabilità dell’iniziativa nel Paese ospitante, presentata come modello pubblico-privato nel segmento ferroviario di lusso.
L’intesa è inserita nella collaborazione Italia-Arabia Saudita, richiamando l’apertura della sede Simest a Riyadh e il Memorandum of Understanding tra Cdp, Simest e Jiacc. «Dream of the Desert» è indicato come progetto apripista di un modello pubblico-privato nel trasporto ferroviario di lusso.
«Dream of the Desert è un progetto simbolo per il nostro gruppo e per l’industria ferroviaria internazionale. Valorizza le Pmi italiane e costituisce un caso apripista di partnership pubblico-privata nel settore ferroviario di lusso. L’accordo siglato con Simest e le istituzioni saudite conferma come la collaborazione tra imprese e istituzioni possa creare valore duraturo e promuovere le eccellenze italiane nel mondo», commenta Paolo Barletta, amministratore delegato di Arsenale.
Regina Corradini D’Arienzo, amministratore delegato di Simest, aggiunge: «L’intesa sottoscritta con un primario attore industriale come Arsenale per la realizzazione di un progetto strategico per il Made in Italy, conferma il rafforzamento del ruolo di Simest a sostegno del tessuto produttivo italiano e delle sue filiere. Attraverso la prima operazione realizzata nell’ambito del Plafond di equity del fondo pubblico di Investimenti infrastrutturali», continua la numero uno del gruppo, «Simest interviene direttamente come socio per accrescere la competitività delle nostre imprese impegnate in progetti infrastrutturali ad alto valore aggiunto, favorendo al contempo l’espansione del Made in Italy in mercati strategici ad elevato potenziale di crescita, come quello saudita. Lo strumento, sviluppato da Simest sotto la regia del ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale e in collaborazione con Cassa depositi e prestiti, si inserisce pienamente nell’azione del Sistema Italia, che, sotto la regia della Farnesina, vede il coinvolgimento di Cdp, Simest, Ice e Sace. Un approccio integrato volto a garantire alle imprese italiane un supporto strutturato e complementare, dall’azione istituzionale a quella finanziaria, per affrontare con efficacia le principali sfide della competitività internazionale».
Sul piano industriale, Arsenale dichiara un treno interamente progettato, prodotto e allestito in Italia: gli hub Cpl (Brindisi) e Standgreen (Bergamo) operano con Cantieri ferroviari italiani (Cfi) come general contractor, coordinando una rete di Pmi (design, meccanica avanzata, ingegneria, lusso e hospitality). Per il committente estero, questa configurazione «turnkey (chiavi in mano, ndr.)» concentra in un unico soggetto il coordinamento di produzione, integrazione e allestimento; per l’ecosistema italiano, sposta volumi e valore aggiunto lungo la catena domestica, fino alla finitura degli interni ad alto contenuto di design.
Il prodotto sarà un treno di ultra lusso con itinerari da uno a due notti: partenza da Riyadh e collegamenti verso destinazioni iconiche del Regno, tra cui Alula (sito Unesco) e Hail, fino al confine con la Giordania. Gli interni sono firmati dall’architetto e interior designer Aline Asmar d’Amman, fondatore dello studio Culture in Architecture. La prima carrozza è stata consegnata a settembre 2025; l’avvio operativo è previsto per fine 2026, con prenotazioni aperte da novembre 2025.
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Matteo Hallissey (Ansa)
Il video è accompagnato da un post: «Abbiamo messo in atto», scrive l’ex perfetto sconosciuto Hallisey, «un flash mob pacifico pro Ucraina all’interno di un convegno filorusso organizzato dall’Anpi all’università Federico II di Napoli. Dopo aver atteso il termine dell’evento con Alessandro Di Battista e il professor D’Orsi e al momento delle domande, decine di studenti e attivisti pro Ucraina di +Europa, Ora!, Radicali, Liberi Oltre, Azione e della comunità ucraina hanno mostrato maglie e bandiere ucraine. È vergognoso che non ci sia stata data la possibilità di fare domande e che l’attivista che stava interloquendo con i relatori sia stato aggredito e spinto da un rappresentante dell’Anpi fino a rompere il microfono. Anch’io sono stato aggredito violentemente», aggiunge il giovane radicale, «mentre provavo a fare una domanda a D’Orsi sulla sua partecipazione alla sfilata di gala di Russia Today a Mosca due mesi fa. Chi rivendica la storia antifascista e partigiana non può non condannare queste azioni di fronte a una manifestazione pacifica».
Rivedendo più volte il video al Var, di aggressioni non ne abbiamo viste, a parte come detto qualche spinta, ma va detto pure che quando Hallissey scrive «mentre provavo a fare una domanda a D’Orsi», omette di precisare che quella domanda è stata posta al professore, ma in maniera tutt’altro che pacata: le urla del buon Matteo sono scolpite nel video da lui stesso, ripetiamo, pubblicato. Per quel che riguarda la rottura del microfono, le immagini, viste e riviste non chiariscono se il fallo c’è o no: si vede un giovane attivista che contende un microfono a D’Orsi, ma i frame non permettono di accertare se alla fine si sia rotto o sia rimasto intero.
Quello che è certo è che ieri sono piovuti nelle redazioni i soliti comunicati di solidarietà, non solo da parte di Azione, degli stessi Radicali e di Benedetto Della Vedova, ma anche del capogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia Galeazzo Bignami, che su X ha vergato un severo post: «Solidarietà a Matteo Hallissey, presidente dei Radicali italiani», ha scritto Bignami, «aggredito a un evento Anpi per aver provato a porre domande in un flash mob pacifico. Da chi ogni giorno impartisce lezioni di democrazia ma reagisce con violenza, non accettiamo lezioni». Non si comprende, come abbiamo detto, dove sia la violenza, perché per una volta bisogna pur mettere da parte il politically correct e l’ipocrisia dilagante e dire le cose come stanno: dal video emerge in maniera cristallina la natura provocatoria del flash mob pro Ucraina, e da quelle urla e da quegli atteggiamenti, per noi che abbiamo purtroppo l’abitudine a pensar male, anche se si fa peccato, fa capolino pure che magari l’obiettivo era proprio quello di scatenare una reazione violenta da parte dei partecipanti al convegno.
Non lo sapremo mai: quello che sappiamo è che i Radicali, sigla che nella politica italiana ha avuto un ruolo di primissimo piano per tante battaglie condotte in primis dal compianto Marco Pannella, sono ormai ridotti a praticare forme di puro macchiettismo politico, pur di ottenere un po’ di visibilità: ricorderete lo show di Riccardo Magi, deputato di +Europa, che vaga nell’aula di Montecitorio vestito da fantasma. A proposito di Magi: il congresso che lo scorso febbraio ha rieletto segretario di +Europa il deputato fantasma è stato caratterizzato da innumerevoli polemiche e altrettante ombre. Poche ore prima della chiusura del tesseramento, il 31 dicembre, dalla provincia di Napoli, in particolare da Giugliano e Afragola, arrivano la bellezza di 1.900 nuovi iscritti, praticamente un terzo dell’intera platea di tesserati, iscritti che poi si traducono in delegati che eleggono i vertici del partito. Una conversione di massa alla causa radicale degli abitanti di questi due popolosi comuni del Napoletano in sostanza stravolge gli equilibri congressuali. Tra accuse e controaccuse, un giovanissimo militante, alla fine dello stesso congresso, sconfigge nella corsa alla presidenza di +Europa uno storico esponente del partito come Benedetto Della Vedova. Si tratta proprio di Matteo Hallissey.
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