2021-06-26
La giustifica sospetta firmata dal vicecapo di gabinetto di Zinga
Andrea Cocco spuntò pure nell'inchiesta sulle mascherine fantasma Fratelli d'Italia all'attacco: alterata la regolare attività dell'aulaL'uomo che l'8 agosto 2019 ha firmato la presunta falsa giustificazione dell'assenza del governatore del Lazio Nicola Zingaretti sarebbe il vicecapo di gabinetto Andrea Cocco.L'anno scorso il suo nome era comparso in un'altra inchiesta giudiziaria in veste di trait d'union (indiretto e non indagato) tra la Regione e la società Ecotech, che avrebbe dovuto fornire 9,5 milioni di mascherine, ma che in realtà, dopo aver incassato circa 15 milioni di euro di anticipo, non consegnò i dispositivi. Cocco, 49 anni, laureato (7 anni fa) in legge alla Link campus university, nel 2013 è diventato responsabile della segreteria politica di Zingaretti, mentre nel 2016 è stato nominato vicecapo di gabinetto con uno stipendio lordo annuo di 130.000 euro.Adesso la Procura di Roma indaga sulle giustificazioni da lui firmate in qualità di vicecapo di gabinetto con delega al Consiglio. È Cocco, infatti, che controlla l'agenda del presidente e comunica al parlamentino l'eventuale assenza per impegni istituzionali dell'ex segretario del Pd.Sulla firma dell'8 agosto di due anni fa e su altre giustificazioni si concentra l'inchiesta capitolina.I pm nelle scorse settimane hanno chiesto alla Regione di fornire tutta la documentazione relativa alle assenze giustificate per motivi istituzionali del presidente.L'esponente di Fratelli d'Italia Antonello Aurigemma nel 2016 si era già rivolto alla Corte dei conti per evidenziare il problema delle numerose assenze di Zingaretti. Il sostituto procuratore generale Francesco Maffei aveva chiesto l'archiviazione perché per «“le missioni o gli incarichi politico istituzionali" non è prevista alcuna riduzione del trattamento economico» e quindi non ci sarebbe alcun danno erariale.La Procura di Roma, però, adesso indaga per falso in atto pubblico: gli impegni istituzionali con cui i collaboratori di Zingaretti hanno motivato decine di volte il governatore erano sempre reali? Il capo di gabinetto Albino Ruberti, nel 2019, aveva già risposto ad Aurigemma e alla consigliera Chiara Colosimo, evidenziando che tra «le missioni o gli incarichi politico istituzionali» di Zingaretti «rientrano una “pluralità di impegni non elencabili in via tassativa"». E aveva aggiunto che in base a una deliberazione di giunta del 2014 deve considerarsi missione «qualunque attività svolta dal presidente della Regione, connessa all'esercizio del mandato e delle funzioni istituzionali ricoperte, ivi compresa la partecipazione a congressi e riunioni in genere». Ieri dalla Regione hanno ribadito che anche un meeting dello staff rientrerebbe in questo perimetro e non solo congressi o conferenze stampa. Ma qui il problema riguarda soprattutto la seduta dell'8 agosto 2019, quando la presenza solo sulla carta del presidente consentì il raggiungimento del numero legale per la discussione del piano paesistico regionale, una delle priorità di Zingaretti. Senza inserire nel computo il governatore la questione sarebbe slittata a settembre e per questo le opposizioni protestarono vivacemente costringendo la maggioranza a passare la notte in aula per approvare il piano.Aurigemma non vuole sentire scuse: «Il Consiglio è l'organo legislativo rappresentativo di ogni Regione. Per questo motivo la sua convocazione è estesa a tutti i rappresentati eletti e nominati, dai consiglieri agli assessori al Presidente, che hanno sempre partecipato fino all'arrivo dell'amministrazione Zingaretti che ha collezionato il primato negativo di assenze per motivi istituzionali. Più volte, nelle lunghe sedute di approvazione di leggi importanti, abbiamo richiesto la verifica del numero legale che è stato garantito dai motivi istituzionali del presidente Zingaretti anche quando, come è successo l'8 agosto, stava intervenendo in diretta Facebook alla festa dell'unità di Reggio Emilia».Come abbiamo raccontato ieri quel giorno il governatore era impegnato in Emilia a dibattere su questioni legate al congresso del Pd, alla crisi di governo e al cosiddetto caso Bibbiano.Appuntamenti e temi che apparentemente con la Regione non c'entravano nulla. Anche se ieri l'ufficio stampa di Zingaretti ci ha ricordato che la vicenda degli affidamenti illeciti nella Val d'Enza era entrata nell'agenda del Consiglio il 31 luglio 2019 quando gli esponenti della Lega avevano srotolato in aula uno striscione con scritto «Parlateci di Bibbiano», con la «p» e la «d», iniziali del Partito democratico, in rilievo.Forse anche in questo caso la giustificazione è un po' debole, ma i collaboratori del presidente non fanno un plissé e commentano: «In generale era difficile scindere: spesso e volentieri Zingaretti un momento parlava come segretario di partito e subito dopo come governatore. Ci sono tematiche nazionali che incidono anche sul nostro territorio». Poi, però, non negano l'esistenza del problema: «Spetterà alla magistratura fare luce. Adesso si faranno tutte le verifiche del caso e si forniranno tutte le indicazioni in merito alle vicende contestate».Duro il capogruppo di Fratelli d'Italia Fabrizio Ghera, il quale è stato sentito in Procura come testimone: «È grave che in diverse occasioni la maggioranza di sinistra della Regione Lazio sia ricorsa ad artifici che hanno alterato la regolare attività del Consiglio. È giusto che la magistratura adesso verifichi se Zingaretti e i suoi abbiano rispettato le regole nella contesa democratica».
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)