2023-03-27
La Germania ci beffa sull’auto green grazie ai politici inetti e agli Agnelli
Se Berlino ha blindato i suoi carburanti a scapito dei nostri, è perché nell’Ue e nell’industria contiamo zero. La colpa è dell’incapacità di chi ci ha rappresentato finora e della Fiat che ha traslocato tra Olanda e Francia. Come al solito, la Germania si è fatta gli affari suoi, a scapito dell’Europa e, soprattutto, dell’Italia. Sullo stop al motore termico, a benzina e diesel, i tedeschi avevano messo il veto, ma solo per poter accordarsi in separata sede e trovare una deroga che consentisse di salvare le vetture che funzionano con il cosiddetto carburante sintetico. In pratica, l’intesa trovata ricorda molto quella adottata per le banche. Ricordate? Prima Berlino ha provveduto a escludere le proprie casse di risparmio dalle regole più stringenti, mettendo in sicurezza anche i giganti con i bilanci marci, poi ha dato il via libera al cosiddetto bail in, condannando le nostre banche al fallimento. Anche nel caso dell’industria automobilistica, Scholz e compagni hanno adottato la stessa strategia. Di fronte all’insistenza della Ue per decretare la fine della vendita di vetture con motore termico, la Germania, che con Volkswagen, Mercedes, Bmw e Porsche è il primo produttore al mondo, ha puntato i piedi, dando l’impressione di voler rinviare la scadenza. In realtà, si è trattato di una finzione, perché se da un lato mostrava i denti, dall’altro sottobanco cercava di ottenere l’eliminazione del divieto di produrre vetture alimentate con il cosiddetto efuel, cioè le sole che le interessasse difendere.Risultato, con il cerino in mano siamo rimasti noi, che entro il 2035 rischiamo di veder sparire una parte importante del Pil. Le industrie della componentistica, che oggi lavorano sulle parti meccaniche dei motori termici, dovranno giocoforza riconvertirsi o, in alternativa, rassegnarsi a sparire. Insomma, i tedeschi ci hanno fregato un’altra volta. Dopo l’euro, le banche e non ricordo più quante altre cose, anche in questo caso hanno dimostrato che l’Europa è unita solo dalla voglia di fare lo sgambetto al vicino. La Francia - nonostante il Trattato del Quirinale - non vede l’ora di azzopparci su migranti e tecnologia, la Germania da par suo lavora contro di noi in rami quali la finanza e l’industria, i Paesi Bassi ci fanno concorrenza con le tasse da paradiso fiscale. Certo, se siamo arrivati a questo punto, noi ci abbiamo messo del nostro. Per decenni, i partiti e i governi italiani hanno ignorato quel che succedeva a Bruxelles, eleggendo al Parlamento Ue i trombati di Camera e Senato, scegliendo una serie di scartine per i posti di commissario europeo. Con la conseguenza che nell’Unione non abbiamo mai contato nulla, anche perché i nostri funzionari, invece che fare i nostri affari, si sono fatti i loro. Il caso Panzeri, con annessi e connessi e assistenti corrotti, lo dimostra. In Belgio lavoravano per guadagnare benefici e intascare mazzette, non certo per migliorare le prospettive per il nostro Paese. Di tutto ciò è responsabile la politica, in particolare chi ha avuto ruoli di responsabilità, che - lo ricordo per chi se ne fosse dimenticato - negli ultimi 12 anni ha visto sfilare a Palazzo Chigi burocrati come Mario Monti, onorevoli sinistri come Enrico Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni, farfalloni (nel senso che hanno svolazzato a destra e sinistra) come Giuseppe Conte e tecnici come Mario Draghi. Che fossero esperti o inesperti il risultato è stato uguale, perché nessuno dei sei presidenti del Consiglio che abbiamo avuto in questi anni è riuscito a invertire la tendenza.Tuttavia, se la politica ha le sue colpe, anche l’industria - o meglio gli azionisti dei grandi gruppi industriali - hanno le loro. È difficile far valere gli interessi nazionali nel settore motori se i soci dell’unico grande gruppo automobilistico si fanno i loro. La famiglia Agnelli ha da tempo levato le tende per trasferire armi, bagagli e investimenti oltre frontiera. Dopo avere per anni predicato la teoria che quello che andava bene alla Fiat andava bene al Paese, oggi hanno adottato un nuovo credo: quello che va bene a loro può anche non andare bene al Paese, ma chi se ne importa. Prima hanno trasferito la holding di gruppo in Olanda, in modo da avere un trattamento fiscale più favorevole. Poi si sono comprati Repubblica, con l’intenzione di gestire meglio la ritirata oltreconfine. E ora hanno venduto tutto ai francesi, riservandosi ricchi dividendi. Certo, un’Italia senza più industria automobilistica fa fatica a difendere le aziende che lavorano nella componentistica del settore. E infatti, nella trattativa dei giorni scorsi ha dimostrato di non contare niente. Se poi aggiungete che Stellantis, il gruppo a cui gli Agnelli hanno venduto la Fiat, ormai gli investimenti li va a fare in Algeria, avrete il quadro completo di un disastro. Che ha tanti padri, ovvero i governi che si sono succeduti, ma una sola madre: la famiglia della real casa torinese.