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2022-04-09
La Francia va al voto tra le proteste. Macron rischia, Le Pen è in rimonta
Marine Le Pen e Emmanuel Macron (Ansa)
Dalla scorsa mezzanotte, la Francia è in silenzio pre elettorale. Domani, poco meno di 49 milioni di elettori transalpini si recheranno alle urne per il primo turno delle presidenziali. Secondo gli ultimi sondaggi, le chance di vittoria di Emmanuel Macron non sembrano essere più così scontate come nei mesi scorsi. I sondaggisti non riescono nemmeno a dire chi sarà il primo candidato a superare il primo turno. L’indagine demoscopica di Elabe, di ieri, prevede Macron al 26% e Marine Le Pen al 25%. Per l’aggregatore di sondaggi di Le Figaro, il presidente uscente otterrebbe il 27% delle preferenze, Le Pen si attesterebbe invece attorno al 23%. Al terzo posto ci sarebbe il leader di estrema sinistra de La France Insoumise, Jean-Luc Mélenchon (16%), poi il sovranista Eric Zemmour (9%) e la leader della destra moderata Valérie Pécresse (8%).
Altre informazioni sul possibile esito delle elezioni arrivano dalle curve delle intenzioni di voto, che mostrano la scivolata dell’attuale capo dello Stato, iniziata attorno al 10 marzo scorso. In quella data, secondo l’Ifop, il gradimento del presidente uscente era stimato al 31,5% delle preferenze, Le Pen non superava il 18%, Mélenchon si attestava al 10,5%, Pécresse al 12,5% e Zemmour al 12%. Da questi dati si evince che Macron sia cresciuto nei sondaggi dopo l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, ma solo per una quindicina di giorni, poi ha subito l’effetto soufflé.
Anche nei sondaggi, riferiti al secondo turno del 24 aprile, si inizia a vedere un possibile testa a testa. Sempre per Elabe, Macron arriverebbe al 51% e la leader del Rassemblement national al 49%. L’aggregatore di sondaggi Europe elects ha previsto persino una vittoria di Le Pen per un solo punto su Macron (50,5% a 49,5%). Questo risultato sarebbe realizzabile grazie al riporto dei voti di buona parte della destra di Zemmour e Pécresse e di quasi un terzo degli elettori di Mélenchon.
I sondaggi non danno certezze, ma l’atteggiamento tracotante di Macron , che non ha voluto partecipare ai dibattiti tv del primo turno, non deve essere piaciuto ai suoi concittadini. Nelle ultime settimane, inoltre, si sono accesi focolai di protesta in mezza Francia. E poi, all’inizio di questa settimana, è scoppiato lo scandalo delle consulenze d’oro commissionate a McKinsey dallo Stato francese (anche dall’Eliseo).
La società di consulenza americana è anche sospettata di non aver pagato, per dieci anni, l’imposta societaria al fisco transalpino. Il caro vita e l’aumento del prezzo dei carburanti hanno provocato la collera di autotrasportatori, pescatori, agricoltori e tassisti. Nelle ultime due settimane, non c’è stato giorno senza: blocchi del traffico, operazioni lumaca e altre forme di protesta. Nemmeno lo sconto di 18 centesimi, applicato sui carburanti a partire dal primo aprile, è riuscito a gettare acqua sul fuoco. Probabilmente, Macron non si è nemmeno accorto che molti francesi ritenessero questa misura come un semplice contentino elettorale.
Alle agitazioni contro il carovita, si sono aggiunte le sommosse degli indipendentisti in Corsica dopo il ferimento, seguito dal decesso, di Yvan Colonna, un ergastolano condannato in via definitiva per l’uccisione di un prefetto. Per cercare di spegnere l’incendio sull’isola, il capo dello Stato francese aveva promesso l’autonomia della regione. Ma i corsi non gli hanno creduto e sono stati dati alle fiamme altri uffici pubblici isolani. Le promesse presidenziali hanno risvegliato le mire autonomiste e indipendentiste anche in Bretagna.
Dopo le promesse, il presidente uscente ha puntato sulla paura. Macron ha presentato come inevitabile quella riforma delle pensioni, naufragata in questo mandato, che è accompagnata dall’innalzamento dell’età pensionistica a 65 anni. In seguito, l’inquilino dell’Eliseo ha ricominciato ad agitare lo spettro di una vittoria della destra dura di Le Pen o Zemmour. Il 31 marzo, durante una trasferta di campagna, ha sbraitato contro una giornalista dicendo che «se cinque anni fa avesse vinto l’estrema destra, non avreste avuto i vaccini perché saremmo usciti dall’Europa», inoltre, «avreste forse avuto l’idrossiclorochina». Macron ha anche accusato la stampa di aver favorito la crescita dei suoi avversari sovranisti. Peccato che, nel corso di tutto il suo mandato, il leader transalpino abbia fatto di tutto per evitare i media.
Sebbene il presidente uscente cerchi di imporre visioni alternative della realtà, quest’ultima non fa sconti a nessuno. Anche al di là delle Alpi incombe la minaccia di due crisi, una energetica, l’altra inflazionistica, legate alla guerra in Ucraina. L’immagine di Macron paladino degli interessi dei suoi compatrioti è sbiadita. Molti osservatori non escludono sorprese e strascichi post elettorali, in vista delle legislative di giugno. Una grande incognita è rappresentata dall’astensione, che i sondaggisti non riescono a calcolare. In ogni caso, la voglia di cambiamento sembra essere forte. L’altro ieri, un sondaggio di Csa per CNews rivelava che sette francesi su dieci vorrebbero cambiare presidente.
Piazza una bomba durante la messa
Ieri, a Tolosa, durante una messa celebrata in cattedrale, un ennesimo episodio di violenza, di cristianofobia e di «islamizzazione» coatta della Francia, che, fortunatamente, non ha causato vittime. Nel clima teso delle elezioni presidenziali, che si terranno domani, e in cui molti candidati denunciano i pericoli di una immigrazione incontrollata, solo la freddezza di un sacerdote e di un sacrestano, oltre all’intervento della polizia, hanno evitato il peggio.
Secondo la ricostruzione del parroco, don Simon d’Artigue, intervistato dalla Dépêche, padre Jean-Jacques Rouchy, un sacerdote del presbiterio, aveva iniziato la celebrazione della messa alle ore 8. Tutto era in regola e tranquillo. Ma subito dopo la distribuzione della comunione, «un uomo è entrato nella cattedrale», ha raccontato il sacerdote, e ha «lasciato un pacco ai piedi degli scalini dell’altare». Il sacrestano, Aurélien Dreux, avendo visto la scena, ha cercato di bloccare il sospetto attentatore. Ne è nata così una breve colluttazione, che non ha impedito la fuga al malvivente. Il sacerdote ha, quindi, fatto uscire i fedeli, una quarantina, e ha chiamato militari e pompieri. I quali, giunti sul luogo, hanno disinnescato l’ordigno. Definito poi come «amatoriale» e «artigianale». Il ministro degli Interni Gérald Darmanin ha ringraziato gli agenti per l’operazione che ha evitato morti e feriti.
Ma dire solo questo sarebbe fare cronaca e la cronaca, spesso tendenziosa, la lasciamo al mainstream. Tutti possono gioire del fatto che questo attentato sia stato sventato. E anche che l’attentatore, definito dalla stampa come «malato», sia già stato assicurato alla giustizia.
Le Monde, capofila dei media del sistema, ha descritto il malvivente, come un uomo di «tipo mediterraneo» (locuzione usata per non scrivere «arabo») e, çela va sans dire, come uno che «soffriva di problemi psichiatrici».
Per rassicurare l’uomo medio, si torna alle solite, ovvero alla psichiatrizzazione dei problemi sociali. Dal Bataclan (2015) fino alla decapitazione di tre fedeli nella basilica di Nizza (2020), esiste una lista color rosso sangue di attentati di innegabile matrice islamica. Ma certuni non vogliono vedere, e fanno di tutto, per vili ragioni politiche, per minimizzare.
Perfino Wikipedia, cita uno studio del 2017, secondo cui la Francia è «il Paese più toccato da attentati islamici, commessi in Europa e America del nord». Ed è, guarda caso, il Paese europeo con la presenza islamica più radicata e diffusa. Una sorta di stato nello Stato.
Appare, poi, significativo che tre dei candidati più quotati per le elezioni presidenziali di domani (Marine Le Pen, Eric Zemmour e Valérie Pécresse) abbiano espresso critiche di fondo sia all’immigrazione di massa, sia alla volontà di non assimilarsi da parte degli ambienti arabo-maghrebini. Il fronte del terrorismo non può ridursi, dopo decine di attentati e centinaia di morti, a un fenomeno psichiatrico. Anche perché, ne deriverebbe l’insolubile problema della predisposizione musulmana ai problemi psichiatrici, in rapporto a tutte le altre componenti religiose e ideologiche della società.
In realtà, l’episodio di ieri si iscrive nella lista delle violenze degli ultimi 30 anni a danno di cattolici, poliziotti, intellettuali e spiriti liberi che osano opporsi alla sharia, al burka, ai ghetti e alla coranizzazione delle banlieue, delle scuole e della società francese nel suo insieme.
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Riduci
Domani urne aperte, secondo i sondaggi il presidente uscente sta perdendo terreno nei confronti della leader di Rassemblement national. Da settimane il Paese è scosso da blocchi per il caro vita e il prezzo della benzina.Ancora fenomeni di immigrazione incontrollata, nel mirino la cattedrale di Tolosa. L’attentatore è di origine araba. Si allunga l’elenco delle violenze contro i cattolici.Lo speciale contiene due articoli.Dalla scorsa mezzanotte, la Francia è in silenzio pre elettorale. Domani, poco meno di 49 milioni di elettori transalpini si recheranno alle urne per il primo turno delle presidenziali. Secondo gli ultimi sondaggi, le chance di vittoria di Emmanuel Macron non sembrano essere più così scontate come nei mesi scorsi. I sondaggisti non riescono nemmeno a dire chi sarà il primo candidato a superare il primo turno. L’indagine demoscopica di Elabe, di ieri, prevede Macron al 26% e Marine Le Pen al 25%. Per l’aggregatore di sondaggi di Le Figaro, il presidente uscente otterrebbe il 27% delle preferenze, Le Pen si attesterebbe invece attorno al 23%. Al terzo posto ci sarebbe il leader di estrema sinistra de La France Insoumise, Jean-Luc Mélenchon (16%), poi il sovranista Eric Zemmour (9%) e la leader della destra moderata Valérie Pécresse (8%). Altre informazioni sul possibile esito delle elezioni arrivano dalle curve delle intenzioni di voto, che mostrano la scivolata dell’attuale capo dello Stato, iniziata attorno al 10 marzo scorso. In quella data, secondo l’Ifop, il gradimento del presidente uscente era stimato al 31,5% delle preferenze, Le Pen non superava il 18%, Mélenchon si attestava al 10,5%, Pécresse al 12,5% e Zemmour al 12%. Da questi dati si evince che Macron sia cresciuto nei sondaggi dopo l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, ma solo per una quindicina di giorni, poi ha subito l’effetto soufflé. Anche nei sondaggi, riferiti al secondo turno del 24 aprile, si inizia a vedere un possibile testa a testa. Sempre per Elabe, Macron arriverebbe al 51% e la leader del Rassemblement national al 49%. L’aggregatore di sondaggi Europe elects ha previsto persino una vittoria di Le Pen per un solo punto su Macron (50,5% a 49,5%). Questo risultato sarebbe realizzabile grazie al riporto dei voti di buona parte della destra di Zemmour e Pécresse e di quasi un terzo degli elettori di Mélenchon. I sondaggi non danno certezze, ma l’atteggiamento tracotante di Macron , che non ha voluto partecipare ai dibattiti tv del primo turno, non deve essere piaciuto ai suoi concittadini. Nelle ultime settimane, inoltre, si sono accesi focolai di protesta in mezza Francia. E poi, all’inizio di questa settimana, è scoppiato lo scandalo delle consulenze d’oro commissionate a McKinsey dallo Stato francese (anche dall’Eliseo). La società di consulenza americana è anche sospettata di non aver pagato, per dieci anni, l’imposta societaria al fisco transalpino. Il caro vita e l’aumento del prezzo dei carburanti hanno provocato la collera di autotrasportatori, pescatori, agricoltori e tassisti. Nelle ultime due settimane, non c’è stato giorno senza: blocchi del traffico, operazioni lumaca e altre forme di protesta. Nemmeno lo sconto di 18 centesimi, applicato sui carburanti a partire dal primo aprile, è riuscito a gettare acqua sul fuoco. Probabilmente, Macron non si è nemmeno accorto che molti francesi ritenessero questa misura come un semplice contentino elettorale.Alle agitazioni contro il carovita, si sono aggiunte le sommosse degli indipendentisti in Corsica dopo il ferimento, seguito dal decesso, di Yvan Colonna, un ergastolano condannato in via definitiva per l’uccisione di un prefetto. Per cercare di spegnere l’incendio sull’isola, il capo dello Stato francese aveva promesso l’autonomia della regione. Ma i corsi non gli hanno creduto e sono stati dati alle fiamme altri uffici pubblici isolani. Le promesse presidenziali hanno risvegliato le mire autonomiste e indipendentiste anche in Bretagna. Dopo le promesse, il presidente uscente ha puntato sulla paura. Macron ha presentato come inevitabile quella riforma delle pensioni, naufragata in questo mandato, che è accompagnata dall’innalzamento dell’età pensionistica a 65 anni. In seguito, l’inquilino dell’Eliseo ha ricominciato ad agitare lo spettro di una vittoria della destra dura di Le Pen o Zemmour. Il 31 marzo, durante una trasferta di campagna, ha sbraitato contro una giornalista dicendo che «se cinque anni fa avesse vinto l’estrema destra, non avreste avuto i vaccini perché saremmo usciti dall’Europa», inoltre, «avreste forse avuto l’idrossiclorochina». Macron ha anche accusato la stampa di aver favorito la crescita dei suoi avversari sovranisti. Peccato che, nel corso di tutto il suo mandato, il leader transalpino abbia fatto di tutto per evitare i media.Sebbene il presidente uscente cerchi di imporre visioni alternative della realtà, quest’ultima non fa sconti a nessuno. Anche al di là delle Alpi incombe la minaccia di due crisi, una energetica, l’altra inflazionistica, legate alla guerra in Ucraina. L’immagine di Macron paladino degli interessi dei suoi compatrioti è sbiadita. Molti osservatori non escludono sorprese e strascichi post elettorali, in vista delle legislative di giugno. Una grande incognita è rappresentata dall’astensione, che i sondaggisti non riescono a calcolare. In ogni caso, la voglia di cambiamento sembra essere forte. L’altro ieri, un sondaggio di Csa per CNews rivelava che sette francesi su dieci vorrebbero cambiare presidente.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-francia-va-al-voto-tra-le-proteste-macron-rischia-le-pen-e-in-rimonta-2657126364.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="piazza-una-bomba-durante-la-messa" data-post-id="2657126364" data-published-at="1649486145" data-use-pagination="False"> Piazza una bomba durante la messa Ieri, a Tolosa, durante una messa celebrata in cattedrale, un ennesimo episodio di violenza, di cristianofobia e di «islamizzazione» coatta della Francia, che, fortunatamente, non ha causato vittime. Nel clima teso delle elezioni presidenziali, che si terranno domani, e in cui molti candidati denunciano i pericoli di una immigrazione incontrollata, solo la freddezza di un sacerdote e di un sacrestano, oltre all’intervento della polizia, hanno evitato il peggio. Secondo la ricostruzione del parroco, don Simon d’Artigue, intervistato dalla Dépêche, padre Jean-Jacques Rouchy, un sacerdote del presbiterio, aveva iniziato la celebrazione della messa alle ore 8. Tutto era in regola e tranquillo. Ma subito dopo la distribuzione della comunione, «un uomo è entrato nella cattedrale», ha raccontato il sacerdote, e ha «lasciato un pacco ai piedi degli scalini dell’altare». Il sacrestano, Aurélien Dreux, avendo visto la scena, ha cercato di bloccare il sospetto attentatore. Ne è nata così una breve colluttazione, che non ha impedito la fuga al malvivente. Il sacerdote ha, quindi, fatto uscire i fedeli, una quarantina, e ha chiamato militari e pompieri. I quali, giunti sul luogo, hanno disinnescato l’ordigno. Definito poi come «amatoriale» e «artigianale». Il ministro degli Interni Gérald Darmanin ha ringraziato gli agenti per l’operazione che ha evitato morti e feriti. Ma dire solo questo sarebbe fare cronaca e la cronaca, spesso tendenziosa, la lasciamo al mainstream. Tutti possono gioire del fatto che questo attentato sia stato sventato. E anche che l’attentatore, definito dalla stampa come «malato», sia già stato assicurato alla giustizia. Le Monde, capofila dei media del sistema, ha descritto il malvivente, come un uomo di «tipo mediterraneo» (locuzione usata per non scrivere «arabo») e, çela va sans dire, come uno che «soffriva di problemi psichiatrici». Per rassicurare l’uomo medio, si torna alle solite, ovvero alla psichiatrizzazione dei problemi sociali. Dal Bataclan (2015) fino alla decapitazione di tre fedeli nella basilica di Nizza (2020), esiste una lista color rosso sangue di attentati di innegabile matrice islamica. Ma certuni non vogliono vedere, e fanno di tutto, per vili ragioni politiche, per minimizzare. Perfino Wikipedia, cita uno studio del 2017, secondo cui la Francia è «il Paese più toccato da attentati islamici, commessi in Europa e America del nord». Ed è, guarda caso, il Paese europeo con la presenza islamica più radicata e diffusa. Una sorta di stato nello Stato. Appare, poi, significativo che tre dei candidati più quotati per le elezioni presidenziali di domani (Marine Le Pen, Eric Zemmour e Valérie Pécresse) abbiano espresso critiche di fondo sia all’immigrazione di massa, sia alla volontà di non assimilarsi da parte degli ambienti arabo-maghrebini. Il fronte del terrorismo non può ridursi, dopo decine di attentati e centinaia di morti, a un fenomeno psichiatrico. Anche perché, ne deriverebbe l’insolubile problema della predisposizione musulmana ai problemi psichiatrici, in rapporto a tutte le altre componenti religiose e ideologiche della società. In realtà, l’episodio di ieri si iscrive nella lista delle violenze degli ultimi 30 anni a danno di cattolici, poliziotti, intellettuali e spiriti liberi che osano opporsi alla sharia, al burka, ai ghetti e alla coranizzazione delle banlieue, delle scuole e della società francese nel suo insieme.
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Riduci
Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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