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2022-04-09
La Francia va al voto tra le proteste. Macron rischia, Le Pen è in rimonta
Marine Le Pen e Emmanuel Macron (Ansa)
Dalla scorsa mezzanotte, la Francia è in silenzio pre elettorale. Domani, poco meno di 49 milioni di elettori transalpini si recheranno alle urne per il primo turno delle presidenziali. Secondo gli ultimi sondaggi, le chance di vittoria di Emmanuel Macron non sembrano essere più così scontate come nei mesi scorsi. I sondaggisti non riescono nemmeno a dire chi sarà il primo candidato a superare il primo turno. L’indagine demoscopica di Elabe, di ieri, prevede Macron al 26% e Marine Le Pen al 25%. Per l’aggregatore di sondaggi di Le Figaro, il presidente uscente otterrebbe il 27% delle preferenze, Le Pen si attesterebbe invece attorno al 23%. Al terzo posto ci sarebbe il leader di estrema sinistra de La France Insoumise, Jean-Luc Mélenchon (16%), poi il sovranista Eric Zemmour (9%) e la leader della destra moderata Valérie Pécresse (8%).
Altre informazioni sul possibile esito delle elezioni arrivano dalle curve delle intenzioni di voto, che mostrano la scivolata dell’attuale capo dello Stato, iniziata attorno al 10 marzo scorso. In quella data, secondo l’Ifop, il gradimento del presidente uscente era stimato al 31,5% delle preferenze, Le Pen non superava il 18%, Mélenchon si attestava al 10,5%, Pécresse al 12,5% e Zemmour al 12%. Da questi dati si evince che Macron sia cresciuto nei sondaggi dopo l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, ma solo per una quindicina di giorni, poi ha subito l’effetto soufflé.
Anche nei sondaggi, riferiti al secondo turno del 24 aprile, si inizia a vedere un possibile testa a testa. Sempre per Elabe, Macron arriverebbe al 51% e la leader del Rassemblement national al 49%. L’aggregatore di sondaggi Europe elects ha previsto persino una vittoria di Le Pen per un solo punto su Macron (50,5% a 49,5%). Questo risultato sarebbe realizzabile grazie al riporto dei voti di buona parte della destra di Zemmour e Pécresse e di quasi un terzo degli elettori di Mélenchon.
I sondaggi non danno certezze, ma l’atteggiamento tracotante di Macron , che non ha voluto partecipare ai dibattiti tv del primo turno, non deve essere piaciuto ai suoi concittadini. Nelle ultime settimane, inoltre, si sono accesi focolai di protesta in mezza Francia. E poi, all’inizio di questa settimana, è scoppiato lo scandalo delle consulenze d’oro commissionate a McKinsey dallo Stato francese (anche dall’Eliseo).
La società di consulenza americana è anche sospettata di non aver pagato, per dieci anni, l’imposta societaria al fisco transalpino. Il caro vita e l’aumento del prezzo dei carburanti hanno provocato la collera di autotrasportatori, pescatori, agricoltori e tassisti. Nelle ultime due settimane, non c’è stato giorno senza: blocchi del traffico, operazioni lumaca e altre forme di protesta. Nemmeno lo sconto di 18 centesimi, applicato sui carburanti a partire dal primo aprile, è riuscito a gettare acqua sul fuoco. Probabilmente, Macron non si è nemmeno accorto che molti francesi ritenessero questa misura come un semplice contentino elettorale.
Alle agitazioni contro il carovita, si sono aggiunte le sommosse degli indipendentisti in Corsica dopo il ferimento, seguito dal decesso, di Yvan Colonna, un ergastolano condannato in via definitiva per l’uccisione di un prefetto. Per cercare di spegnere l’incendio sull’isola, il capo dello Stato francese aveva promesso l’autonomia della regione. Ma i corsi non gli hanno creduto e sono stati dati alle fiamme altri uffici pubblici isolani. Le promesse presidenziali hanno risvegliato le mire autonomiste e indipendentiste anche in Bretagna.
Dopo le promesse, il presidente uscente ha puntato sulla paura. Macron ha presentato come inevitabile quella riforma delle pensioni, naufragata in questo mandato, che è accompagnata dall’innalzamento dell’età pensionistica a 65 anni. In seguito, l’inquilino dell’Eliseo ha ricominciato ad agitare lo spettro di una vittoria della destra dura di Le Pen o Zemmour. Il 31 marzo, durante una trasferta di campagna, ha sbraitato contro una giornalista dicendo che «se cinque anni fa avesse vinto l’estrema destra, non avreste avuto i vaccini perché saremmo usciti dall’Europa», inoltre, «avreste forse avuto l’idrossiclorochina». Macron ha anche accusato la stampa di aver favorito la crescita dei suoi avversari sovranisti. Peccato che, nel corso di tutto il suo mandato, il leader transalpino abbia fatto di tutto per evitare i media.
Sebbene il presidente uscente cerchi di imporre visioni alternative della realtà, quest’ultima non fa sconti a nessuno. Anche al di là delle Alpi incombe la minaccia di due crisi, una energetica, l’altra inflazionistica, legate alla guerra in Ucraina. L’immagine di Macron paladino degli interessi dei suoi compatrioti è sbiadita. Molti osservatori non escludono sorprese e strascichi post elettorali, in vista delle legislative di giugno. Una grande incognita è rappresentata dall’astensione, che i sondaggisti non riescono a calcolare. In ogni caso, la voglia di cambiamento sembra essere forte. L’altro ieri, un sondaggio di Csa per CNews rivelava che sette francesi su dieci vorrebbero cambiare presidente.
Piazza una bomba durante la messa
Ieri, a Tolosa, durante una messa celebrata in cattedrale, un ennesimo episodio di violenza, di cristianofobia e di «islamizzazione» coatta della Francia, che, fortunatamente, non ha causato vittime. Nel clima teso delle elezioni presidenziali, che si terranno domani, e in cui molti candidati denunciano i pericoli di una immigrazione incontrollata, solo la freddezza di un sacerdote e di un sacrestano, oltre all’intervento della polizia, hanno evitato il peggio.
Secondo la ricostruzione del parroco, don Simon d’Artigue, intervistato dalla Dépêche, padre Jean-Jacques Rouchy, un sacerdote del presbiterio, aveva iniziato la celebrazione della messa alle ore 8. Tutto era in regola e tranquillo. Ma subito dopo la distribuzione della comunione, «un uomo è entrato nella cattedrale», ha raccontato il sacerdote, e ha «lasciato un pacco ai piedi degli scalini dell’altare». Il sacrestano, Aurélien Dreux, avendo visto la scena, ha cercato di bloccare il sospetto attentatore. Ne è nata così una breve colluttazione, che non ha impedito la fuga al malvivente. Il sacerdote ha, quindi, fatto uscire i fedeli, una quarantina, e ha chiamato militari e pompieri. I quali, giunti sul luogo, hanno disinnescato l’ordigno. Definito poi come «amatoriale» e «artigianale». Il ministro degli Interni Gérald Darmanin ha ringraziato gli agenti per l’operazione che ha evitato morti e feriti.
Ma dire solo questo sarebbe fare cronaca e la cronaca, spesso tendenziosa, la lasciamo al mainstream. Tutti possono gioire del fatto che questo attentato sia stato sventato. E anche che l’attentatore, definito dalla stampa come «malato», sia già stato assicurato alla giustizia.
Le Monde, capofila dei media del sistema, ha descritto il malvivente, come un uomo di «tipo mediterraneo» (locuzione usata per non scrivere «arabo») e, çela va sans dire, come uno che «soffriva di problemi psichiatrici».
Per rassicurare l’uomo medio, si torna alle solite, ovvero alla psichiatrizzazione dei problemi sociali. Dal Bataclan (2015) fino alla decapitazione di tre fedeli nella basilica di Nizza (2020), esiste una lista color rosso sangue di attentati di innegabile matrice islamica. Ma certuni non vogliono vedere, e fanno di tutto, per vili ragioni politiche, per minimizzare.
Perfino Wikipedia, cita uno studio del 2017, secondo cui la Francia è «il Paese più toccato da attentati islamici, commessi in Europa e America del nord». Ed è, guarda caso, il Paese europeo con la presenza islamica più radicata e diffusa. Una sorta di stato nello Stato.
Appare, poi, significativo che tre dei candidati più quotati per le elezioni presidenziali di domani (Marine Le Pen, Eric Zemmour e Valérie Pécresse) abbiano espresso critiche di fondo sia all’immigrazione di massa, sia alla volontà di non assimilarsi da parte degli ambienti arabo-maghrebini. Il fronte del terrorismo non può ridursi, dopo decine di attentati e centinaia di morti, a un fenomeno psichiatrico. Anche perché, ne deriverebbe l’insolubile problema della predisposizione musulmana ai problemi psichiatrici, in rapporto a tutte le altre componenti religiose e ideologiche della società.
In realtà, l’episodio di ieri si iscrive nella lista delle violenze degli ultimi 30 anni a danno di cattolici, poliziotti, intellettuali e spiriti liberi che osano opporsi alla sharia, al burka, ai ghetti e alla coranizzazione delle banlieue, delle scuole e della società francese nel suo insieme.
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Riduci
Domani urne aperte, secondo i sondaggi il presidente uscente sta perdendo terreno nei confronti della leader di Rassemblement national. Da settimane il Paese è scosso da blocchi per il caro vita e il prezzo della benzina.Ancora fenomeni di immigrazione incontrollata, nel mirino la cattedrale di Tolosa. L’attentatore è di origine araba. Si allunga l’elenco delle violenze contro i cattolici.Lo speciale contiene due articoli.Dalla scorsa mezzanotte, la Francia è in silenzio pre elettorale. Domani, poco meno di 49 milioni di elettori transalpini si recheranno alle urne per il primo turno delle presidenziali. Secondo gli ultimi sondaggi, le chance di vittoria di Emmanuel Macron non sembrano essere più così scontate come nei mesi scorsi. I sondaggisti non riescono nemmeno a dire chi sarà il primo candidato a superare il primo turno. L’indagine demoscopica di Elabe, di ieri, prevede Macron al 26% e Marine Le Pen al 25%. Per l’aggregatore di sondaggi di Le Figaro, il presidente uscente otterrebbe il 27% delle preferenze, Le Pen si attesterebbe invece attorno al 23%. Al terzo posto ci sarebbe il leader di estrema sinistra de La France Insoumise, Jean-Luc Mélenchon (16%), poi il sovranista Eric Zemmour (9%) e la leader della destra moderata Valérie Pécresse (8%). Altre informazioni sul possibile esito delle elezioni arrivano dalle curve delle intenzioni di voto, che mostrano la scivolata dell’attuale capo dello Stato, iniziata attorno al 10 marzo scorso. In quella data, secondo l’Ifop, il gradimento del presidente uscente era stimato al 31,5% delle preferenze, Le Pen non superava il 18%, Mélenchon si attestava al 10,5%, Pécresse al 12,5% e Zemmour al 12%. Da questi dati si evince che Macron sia cresciuto nei sondaggi dopo l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, ma solo per una quindicina di giorni, poi ha subito l’effetto soufflé. Anche nei sondaggi, riferiti al secondo turno del 24 aprile, si inizia a vedere un possibile testa a testa. Sempre per Elabe, Macron arriverebbe al 51% e la leader del Rassemblement national al 49%. L’aggregatore di sondaggi Europe elects ha previsto persino una vittoria di Le Pen per un solo punto su Macron (50,5% a 49,5%). Questo risultato sarebbe realizzabile grazie al riporto dei voti di buona parte della destra di Zemmour e Pécresse e di quasi un terzo degli elettori di Mélenchon. I sondaggi non danno certezze, ma l’atteggiamento tracotante di Macron , che non ha voluto partecipare ai dibattiti tv del primo turno, non deve essere piaciuto ai suoi concittadini. Nelle ultime settimane, inoltre, si sono accesi focolai di protesta in mezza Francia. E poi, all’inizio di questa settimana, è scoppiato lo scandalo delle consulenze d’oro commissionate a McKinsey dallo Stato francese (anche dall’Eliseo). La società di consulenza americana è anche sospettata di non aver pagato, per dieci anni, l’imposta societaria al fisco transalpino. Il caro vita e l’aumento del prezzo dei carburanti hanno provocato la collera di autotrasportatori, pescatori, agricoltori e tassisti. Nelle ultime due settimane, non c’è stato giorno senza: blocchi del traffico, operazioni lumaca e altre forme di protesta. Nemmeno lo sconto di 18 centesimi, applicato sui carburanti a partire dal primo aprile, è riuscito a gettare acqua sul fuoco. Probabilmente, Macron non si è nemmeno accorto che molti francesi ritenessero questa misura come un semplice contentino elettorale.Alle agitazioni contro il carovita, si sono aggiunte le sommosse degli indipendentisti in Corsica dopo il ferimento, seguito dal decesso, di Yvan Colonna, un ergastolano condannato in via definitiva per l’uccisione di un prefetto. Per cercare di spegnere l’incendio sull’isola, il capo dello Stato francese aveva promesso l’autonomia della regione. Ma i corsi non gli hanno creduto e sono stati dati alle fiamme altri uffici pubblici isolani. Le promesse presidenziali hanno risvegliato le mire autonomiste e indipendentiste anche in Bretagna. Dopo le promesse, il presidente uscente ha puntato sulla paura. Macron ha presentato come inevitabile quella riforma delle pensioni, naufragata in questo mandato, che è accompagnata dall’innalzamento dell’età pensionistica a 65 anni. In seguito, l’inquilino dell’Eliseo ha ricominciato ad agitare lo spettro di una vittoria della destra dura di Le Pen o Zemmour. Il 31 marzo, durante una trasferta di campagna, ha sbraitato contro una giornalista dicendo che «se cinque anni fa avesse vinto l’estrema destra, non avreste avuto i vaccini perché saremmo usciti dall’Europa», inoltre, «avreste forse avuto l’idrossiclorochina». Macron ha anche accusato la stampa di aver favorito la crescita dei suoi avversari sovranisti. Peccato che, nel corso di tutto il suo mandato, il leader transalpino abbia fatto di tutto per evitare i media.Sebbene il presidente uscente cerchi di imporre visioni alternative della realtà, quest’ultima non fa sconti a nessuno. Anche al di là delle Alpi incombe la minaccia di due crisi, una energetica, l’altra inflazionistica, legate alla guerra in Ucraina. L’immagine di Macron paladino degli interessi dei suoi compatrioti è sbiadita. Molti osservatori non escludono sorprese e strascichi post elettorali, in vista delle legislative di giugno. Una grande incognita è rappresentata dall’astensione, che i sondaggisti non riescono a calcolare. In ogni caso, la voglia di cambiamento sembra essere forte. 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I quali, giunti sul luogo, hanno disinnescato l’ordigno. Definito poi come «amatoriale» e «artigianale». Il ministro degli Interni Gérald Darmanin ha ringraziato gli agenti per l’operazione che ha evitato morti e feriti. Ma dire solo questo sarebbe fare cronaca e la cronaca, spesso tendenziosa, la lasciamo al mainstream. Tutti possono gioire del fatto che questo attentato sia stato sventato. E anche che l’attentatore, definito dalla stampa come «malato», sia già stato assicurato alla giustizia. Le Monde, capofila dei media del sistema, ha descritto il malvivente, come un uomo di «tipo mediterraneo» (locuzione usata per non scrivere «arabo») e, çela va sans dire, come uno che «soffriva di problemi psichiatrici». Per rassicurare l’uomo medio, si torna alle solite, ovvero alla psichiatrizzazione dei problemi sociali. Dal Bataclan (2015) fino alla decapitazione di tre fedeli nella basilica di Nizza (2020), esiste una lista color rosso sangue di attentati di innegabile matrice islamica. Ma certuni non vogliono vedere, e fanno di tutto, per vili ragioni politiche, per minimizzare. Perfino Wikipedia, cita uno studio del 2017, secondo cui la Francia è «il Paese più toccato da attentati islamici, commessi in Europa e America del nord». Ed è, guarda caso, il Paese europeo con la presenza islamica più radicata e diffusa. Una sorta di stato nello Stato. Appare, poi, significativo che tre dei candidati più quotati per le elezioni presidenziali di domani (Marine Le Pen, Eric Zemmour e Valérie Pécresse) abbiano espresso critiche di fondo sia all’immigrazione di massa, sia alla volontà di non assimilarsi da parte degli ambienti arabo-maghrebini. Il fronte del terrorismo non può ridursi, dopo decine di attentati e centinaia di morti, a un fenomeno psichiatrico. Anche perché, ne deriverebbe l’insolubile problema della predisposizione musulmana ai problemi psichiatrici, in rapporto a tutte le altre componenti religiose e ideologiche della società. In realtà, l’episodio di ieri si iscrive nella lista delle violenze degli ultimi 30 anni a danno di cattolici, poliziotti, intellettuali e spiriti liberi che osano opporsi alla sharia, al burka, ai ghetti e alla coranizzazione delle banlieue, delle scuole e della società francese nel suo insieme.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Riduci
Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Riduci
Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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