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2022-04-09
La Francia va al voto tra le proteste. Macron rischia, Le Pen è in rimonta
Marine Le Pen e Emmanuel Macron (Ansa)
Dalla scorsa mezzanotte, la Francia è in silenzio pre elettorale. Domani, poco meno di 49 milioni di elettori transalpini si recheranno alle urne per il primo turno delle presidenziali. Secondo gli ultimi sondaggi, le chance di vittoria di Emmanuel Macron non sembrano essere più così scontate come nei mesi scorsi. I sondaggisti non riescono nemmeno a dire chi sarà il primo candidato a superare il primo turno. L’indagine demoscopica di Elabe, di ieri, prevede Macron al 26% e Marine Le Pen al 25%. Per l’aggregatore di sondaggi di Le Figaro, il presidente uscente otterrebbe il 27% delle preferenze, Le Pen si attesterebbe invece attorno al 23%. Al terzo posto ci sarebbe il leader di estrema sinistra de La France Insoumise, Jean-Luc Mélenchon (16%), poi il sovranista Eric Zemmour (9%) e la leader della destra moderata Valérie Pécresse (8%).
Altre informazioni sul possibile esito delle elezioni arrivano dalle curve delle intenzioni di voto, che mostrano la scivolata dell’attuale capo dello Stato, iniziata attorno al 10 marzo scorso. In quella data, secondo l’Ifop, il gradimento del presidente uscente era stimato al 31,5% delle preferenze, Le Pen non superava il 18%, Mélenchon si attestava al 10,5%, Pécresse al 12,5% e Zemmour al 12%. Da questi dati si evince che Macron sia cresciuto nei sondaggi dopo l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, ma solo per una quindicina di giorni, poi ha subito l’effetto soufflé.
Anche nei sondaggi, riferiti al secondo turno del 24 aprile, si inizia a vedere un possibile testa a testa. Sempre per Elabe, Macron arriverebbe al 51% e la leader del Rassemblement national al 49%. L’aggregatore di sondaggi Europe elects ha previsto persino una vittoria di Le Pen per un solo punto su Macron (50,5% a 49,5%). Questo risultato sarebbe realizzabile grazie al riporto dei voti di buona parte della destra di Zemmour e Pécresse e di quasi un terzo degli elettori di Mélenchon.
I sondaggi non danno certezze, ma l’atteggiamento tracotante di Macron , che non ha voluto partecipare ai dibattiti tv del primo turno, non deve essere piaciuto ai suoi concittadini. Nelle ultime settimane, inoltre, si sono accesi focolai di protesta in mezza Francia. E poi, all’inizio di questa settimana, è scoppiato lo scandalo delle consulenze d’oro commissionate a McKinsey dallo Stato francese (anche dall’Eliseo).
La società di consulenza americana è anche sospettata di non aver pagato, per dieci anni, l’imposta societaria al fisco transalpino. Il caro vita e l’aumento del prezzo dei carburanti hanno provocato la collera di autotrasportatori, pescatori, agricoltori e tassisti. Nelle ultime due settimane, non c’è stato giorno senza: blocchi del traffico, operazioni lumaca e altre forme di protesta. Nemmeno lo sconto di 18 centesimi, applicato sui carburanti a partire dal primo aprile, è riuscito a gettare acqua sul fuoco. Probabilmente, Macron non si è nemmeno accorto che molti francesi ritenessero questa misura come un semplice contentino elettorale.
Alle agitazioni contro il carovita, si sono aggiunte le sommosse degli indipendentisti in Corsica dopo il ferimento, seguito dal decesso, di Yvan Colonna, un ergastolano condannato in via definitiva per l’uccisione di un prefetto. Per cercare di spegnere l’incendio sull’isola, il capo dello Stato francese aveva promesso l’autonomia della regione. Ma i corsi non gli hanno creduto e sono stati dati alle fiamme altri uffici pubblici isolani. Le promesse presidenziali hanno risvegliato le mire autonomiste e indipendentiste anche in Bretagna.
Dopo le promesse, il presidente uscente ha puntato sulla paura. Macron ha presentato come inevitabile quella riforma delle pensioni, naufragata in questo mandato, che è accompagnata dall’innalzamento dell’età pensionistica a 65 anni. In seguito, l’inquilino dell’Eliseo ha ricominciato ad agitare lo spettro di una vittoria della destra dura di Le Pen o Zemmour. Il 31 marzo, durante una trasferta di campagna, ha sbraitato contro una giornalista dicendo che «se cinque anni fa avesse vinto l’estrema destra, non avreste avuto i vaccini perché saremmo usciti dall’Europa», inoltre, «avreste forse avuto l’idrossiclorochina». Macron ha anche accusato la stampa di aver favorito la crescita dei suoi avversari sovranisti. Peccato che, nel corso di tutto il suo mandato, il leader transalpino abbia fatto di tutto per evitare i media.
Sebbene il presidente uscente cerchi di imporre visioni alternative della realtà, quest’ultima non fa sconti a nessuno. Anche al di là delle Alpi incombe la minaccia di due crisi, una energetica, l’altra inflazionistica, legate alla guerra in Ucraina. L’immagine di Macron paladino degli interessi dei suoi compatrioti è sbiadita. Molti osservatori non escludono sorprese e strascichi post elettorali, in vista delle legislative di giugno. Una grande incognita è rappresentata dall’astensione, che i sondaggisti non riescono a calcolare. In ogni caso, la voglia di cambiamento sembra essere forte. L’altro ieri, un sondaggio di Csa per CNews rivelava che sette francesi su dieci vorrebbero cambiare presidente.
Piazza una bomba durante la messa
Ieri, a Tolosa, durante una messa celebrata in cattedrale, un ennesimo episodio di violenza, di cristianofobia e di «islamizzazione» coatta della Francia, che, fortunatamente, non ha causato vittime. Nel clima teso delle elezioni presidenziali, che si terranno domani, e in cui molti candidati denunciano i pericoli di una immigrazione incontrollata, solo la freddezza di un sacerdote e di un sacrestano, oltre all’intervento della polizia, hanno evitato il peggio.
Secondo la ricostruzione del parroco, don Simon d’Artigue, intervistato dalla Dépêche, padre Jean-Jacques Rouchy, un sacerdote del presbiterio, aveva iniziato la celebrazione della messa alle ore 8. Tutto era in regola e tranquillo. Ma subito dopo la distribuzione della comunione, «un uomo è entrato nella cattedrale», ha raccontato il sacerdote, e ha «lasciato un pacco ai piedi degli scalini dell’altare». Il sacrestano, Aurélien Dreux, avendo visto la scena, ha cercato di bloccare il sospetto attentatore. Ne è nata così una breve colluttazione, che non ha impedito la fuga al malvivente. Il sacerdote ha, quindi, fatto uscire i fedeli, una quarantina, e ha chiamato militari e pompieri. I quali, giunti sul luogo, hanno disinnescato l’ordigno. Definito poi come «amatoriale» e «artigianale». Il ministro degli Interni Gérald Darmanin ha ringraziato gli agenti per l’operazione che ha evitato morti e feriti.
Ma dire solo questo sarebbe fare cronaca e la cronaca, spesso tendenziosa, la lasciamo al mainstream. Tutti possono gioire del fatto che questo attentato sia stato sventato. E anche che l’attentatore, definito dalla stampa come «malato», sia già stato assicurato alla giustizia.
Le Monde, capofila dei media del sistema, ha descritto il malvivente, come un uomo di «tipo mediterraneo» (locuzione usata per non scrivere «arabo») e, çela va sans dire, come uno che «soffriva di problemi psichiatrici».
Per rassicurare l’uomo medio, si torna alle solite, ovvero alla psichiatrizzazione dei problemi sociali. Dal Bataclan (2015) fino alla decapitazione di tre fedeli nella basilica di Nizza (2020), esiste una lista color rosso sangue di attentati di innegabile matrice islamica. Ma certuni non vogliono vedere, e fanno di tutto, per vili ragioni politiche, per minimizzare.
Perfino Wikipedia, cita uno studio del 2017, secondo cui la Francia è «il Paese più toccato da attentati islamici, commessi in Europa e America del nord». Ed è, guarda caso, il Paese europeo con la presenza islamica più radicata e diffusa. Una sorta di stato nello Stato.
Appare, poi, significativo che tre dei candidati più quotati per le elezioni presidenziali di domani (Marine Le Pen, Eric Zemmour e Valérie Pécresse) abbiano espresso critiche di fondo sia all’immigrazione di massa, sia alla volontà di non assimilarsi da parte degli ambienti arabo-maghrebini. Il fronte del terrorismo non può ridursi, dopo decine di attentati e centinaia di morti, a un fenomeno psichiatrico. Anche perché, ne deriverebbe l’insolubile problema della predisposizione musulmana ai problemi psichiatrici, in rapporto a tutte le altre componenti religiose e ideologiche della società.
In realtà, l’episodio di ieri si iscrive nella lista delle violenze degli ultimi 30 anni a danno di cattolici, poliziotti, intellettuali e spiriti liberi che osano opporsi alla sharia, al burka, ai ghetti e alla coranizzazione delle banlieue, delle scuole e della società francese nel suo insieme.
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Domani urne aperte, secondo i sondaggi il presidente uscente sta perdendo terreno nei confronti della leader di Rassemblement national. Da settimane il Paese è scosso da blocchi per il caro vita e il prezzo della benzina.Ancora fenomeni di immigrazione incontrollata, nel mirino la cattedrale di Tolosa. L’attentatore è di origine araba. Si allunga l’elenco delle violenze contro i cattolici.Lo speciale contiene due articoli.Dalla scorsa mezzanotte, la Francia è in silenzio pre elettorale. Domani, poco meno di 49 milioni di elettori transalpini si recheranno alle urne per il primo turno delle presidenziali. Secondo gli ultimi sondaggi, le chance di vittoria di Emmanuel Macron non sembrano essere più così scontate come nei mesi scorsi. I sondaggisti non riescono nemmeno a dire chi sarà il primo candidato a superare il primo turno. L’indagine demoscopica di Elabe, di ieri, prevede Macron al 26% e Marine Le Pen al 25%. Per l’aggregatore di sondaggi di Le Figaro, il presidente uscente otterrebbe il 27% delle preferenze, Le Pen si attesterebbe invece attorno al 23%. Al terzo posto ci sarebbe il leader di estrema sinistra de La France Insoumise, Jean-Luc Mélenchon (16%), poi il sovranista Eric Zemmour (9%) e la leader della destra moderata Valérie Pécresse (8%). Altre informazioni sul possibile esito delle elezioni arrivano dalle curve delle intenzioni di voto, che mostrano la scivolata dell’attuale capo dello Stato, iniziata attorno al 10 marzo scorso. In quella data, secondo l’Ifop, il gradimento del presidente uscente era stimato al 31,5% delle preferenze, Le Pen non superava il 18%, Mélenchon si attestava al 10,5%, Pécresse al 12,5% e Zemmour al 12%. Da questi dati si evince che Macron sia cresciuto nei sondaggi dopo l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, ma solo per una quindicina di giorni, poi ha subito l’effetto soufflé. Anche nei sondaggi, riferiti al secondo turno del 24 aprile, si inizia a vedere un possibile testa a testa. Sempre per Elabe, Macron arriverebbe al 51% e la leader del Rassemblement national al 49%. L’aggregatore di sondaggi Europe elects ha previsto persino una vittoria di Le Pen per un solo punto su Macron (50,5% a 49,5%). Questo risultato sarebbe realizzabile grazie al riporto dei voti di buona parte della destra di Zemmour e Pécresse e di quasi un terzo degli elettori di Mélenchon. I sondaggi non danno certezze, ma l’atteggiamento tracotante di Macron , che non ha voluto partecipare ai dibattiti tv del primo turno, non deve essere piaciuto ai suoi concittadini. Nelle ultime settimane, inoltre, si sono accesi focolai di protesta in mezza Francia. E poi, all’inizio di questa settimana, è scoppiato lo scandalo delle consulenze d’oro commissionate a McKinsey dallo Stato francese (anche dall’Eliseo). La società di consulenza americana è anche sospettata di non aver pagato, per dieci anni, l’imposta societaria al fisco transalpino. Il caro vita e l’aumento del prezzo dei carburanti hanno provocato la collera di autotrasportatori, pescatori, agricoltori e tassisti. Nelle ultime due settimane, non c’è stato giorno senza: blocchi del traffico, operazioni lumaca e altre forme di protesta. Nemmeno lo sconto di 18 centesimi, applicato sui carburanti a partire dal primo aprile, è riuscito a gettare acqua sul fuoco. Probabilmente, Macron non si è nemmeno accorto che molti francesi ritenessero questa misura come un semplice contentino elettorale.Alle agitazioni contro il carovita, si sono aggiunte le sommosse degli indipendentisti in Corsica dopo il ferimento, seguito dal decesso, di Yvan Colonna, un ergastolano condannato in via definitiva per l’uccisione di un prefetto. Per cercare di spegnere l’incendio sull’isola, il capo dello Stato francese aveva promesso l’autonomia della regione. Ma i corsi non gli hanno creduto e sono stati dati alle fiamme altri uffici pubblici isolani. Le promesse presidenziali hanno risvegliato le mire autonomiste e indipendentiste anche in Bretagna. Dopo le promesse, il presidente uscente ha puntato sulla paura. Macron ha presentato come inevitabile quella riforma delle pensioni, naufragata in questo mandato, che è accompagnata dall’innalzamento dell’età pensionistica a 65 anni. In seguito, l’inquilino dell’Eliseo ha ricominciato ad agitare lo spettro di una vittoria della destra dura di Le Pen o Zemmour. Il 31 marzo, durante una trasferta di campagna, ha sbraitato contro una giornalista dicendo che «se cinque anni fa avesse vinto l’estrema destra, non avreste avuto i vaccini perché saremmo usciti dall’Europa», inoltre, «avreste forse avuto l’idrossiclorochina». Macron ha anche accusato la stampa di aver favorito la crescita dei suoi avversari sovranisti. Peccato che, nel corso di tutto il suo mandato, il leader transalpino abbia fatto di tutto per evitare i media.Sebbene il presidente uscente cerchi di imporre visioni alternative della realtà, quest’ultima non fa sconti a nessuno. Anche al di là delle Alpi incombe la minaccia di due crisi, una energetica, l’altra inflazionistica, legate alla guerra in Ucraina. L’immagine di Macron paladino degli interessi dei suoi compatrioti è sbiadita. Molti osservatori non escludono sorprese e strascichi post elettorali, in vista delle legislative di giugno. Una grande incognita è rappresentata dall’astensione, che i sondaggisti non riescono a calcolare. In ogni caso, la voglia di cambiamento sembra essere forte. L’altro ieri, un sondaggio di Csa per CNews rivelava che sette francesi su dieci vorrebbero cambiare presidente.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-francia-va-al-voto-tra-le-proteste-macron-rischia-le-pen-e-in-rimonta-2657126364.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="piazza-una-bomba-durante-la-messa" data-post-id="2657126364" data-published-at="1649486145" data-use-pagination="False"> Piazza una bomba durante la messa Ieri, a Tolosa, durante una messa celebrata in cattedrale, un ennesimo episodio di violenza, di cristianofobia e di «islamizzazione» coatta della Francia, che, fortunatamente, non ha causato vittime. Nel clima teso delle elezioni presidenziali, che si terranno domani, e in cui molti candidati denunciano i pericoli di una immigrazione incontrollata, solo la freddezza di un sacerdote e di un sacrestano, oltre all’intervento della polizia, hanno evitato il peggio. Secondo la ricostruzione del parroco, don Simon d’Artigue, intervistato dalla Dépêche, padre Jean-Jacques Rouchy, un sacerdote del presbiterio, aveva iniziato la celebrazione della messa alle ore 8. Tutto era in regola e tranquillo. Ma subito dopo la distribuzione della comunione, «un uomo è entrato nella cattedrale», ha raccontato il sacerdote, e ha «lasciato un pacco ai piedi degli scalini dell’altare». Il sacrestano, Aurélien Dreux, avendo visto la scena, ha cercato di bloccare il sospetto attentatore. Ne è nata così una breve colluttazione, che non ha impedito la fuga al malvivente. Il sacerdote ha, quindi, fatto uscire i fedeli, una quarantina, e ha chiamato militari e pompieri. I quali, giunti sul luogo, hanno disinnescato l’ordigno. Definito poi come «amatoriale» e «artigianale». Il ministro degli Interni Gérald Darmanin ha ringraziato gli agenti per l’operazione che ha evitato morti e feriti. Ma dire solo questo sarebbe fare cronaca e la cronaca, spesso tendenziosa, la lasciamo al mainstream. Tutti possono gioire del fatto che questo attentato sia stato sventato. E anche che l’attentatore, definito dalla stampa come «malato», sia già stato assicurato alla giustizia. Le Monde, capofila dei media del sistema, ha descritto il malvivente, come un uomo di «tipo mediterraneo» (locuzione usata per non scrivere «arabo») e, çela va sans dire, come uno che «soffriva di problemi psichiatrici». Per rassicurare l’uomo medio, si torna alle solite, ovvero alla psichiatrizzazione dei problemi sociali. Dal Bataclan (2015) fino alla decapitazione di tre fedeli nella basilica di Nizza (2020), esiste una lista color rosso sangue di attentati di innegabile matrice islamica. Ma certuni non vogliono vedere, e fanno di tutto, per vili ragioni politiche, per minimizzare. Perfino Wikipedia, cita uno studio del 2017, secondo cui la Francia è «il Paese più toccato da attentati islamici, commessi in Europa e America del nord». Ed è, guarda caso, il Paese europeo con la presenza islamica più radicata e diffusa. Una sorta di stato nello Stato. Appare, poi, significativo che tre dei candidati più quotati per le elezioni presidenziali di domani (Marine Le Pen, Eric Zemmour e Valérie Pécresse) abbiano espresso critiche di fondo sia all’immigrazione di massa, sia alla volontà di non assimilarsi da parte degli ambienti arabo-maghrebini. Il fronte del terrorismo non può ridursi, dopo decine di attentati e centinaia di morti, a un fenomeno psichiatrico. Anche perché, ne deriverebbe l’insolubile problema della predisposizione musulmana ai problemi psichiatrici, in rapporto a tutte le altre componenti religiose e ideologiche della società. In realtà, l’episodio di ieri si iscrive nella lista delle violenze degli ultimi 30 anni a danno di cattolici, poliziotti, intellettuali e spiriti liberi che osano opporsi alla sharia, al burka, ai ghetti e alla coranizzazione delle banlieue, delle scuole e della società francese nel suo insieme.
(IStock)
Tecnologia e innovazione, poi, vanno in scena nel centro di intrattenimento multidisciplinare Area15, che ha di recente ampliato la sua offerta con nuove installazioni di realtà virtuale e aumentata, rendendo ogni visita un’esperienza immersiva e coinvolgente. Qui si può vivere il brivido di un viaggio nello spazio, partecipare a giochi interattivi o assistere a performance artistiche che uniscono arte, musica e tecnologia.
Per chi cerca un’esperienza più avventurosa, sono state inaugurate nuove attrazioni come il Flyover Las Vegas, un’attività di volo simulato che permette di sorvolare paesaggi spettacolari di tutto il mondo, e la Zero Gravity Experience, un volo parabolico che permette di provare la sensazione di assenza di gravità. L’High Roller presso il Linq Hotel è uno straordinario esempio di architettura e ingegneria moderna. Con un’altezza di 167 metri, questa meraviglia di vetro e acciaio è la ruota panoramica più alta degli Stati Uniti e la seconda più alta del mondo. Insomma, ce n’è davvero per tutti i gusti. Las Vegas, la città che non dorme mai, rappresenta da decenni uno dei poli turistici più iconici al mondo. Famosa per i suoi casinò sfavillanti, i suoi spettacoli di livello mondiale e la vita notturna sfrenata, questa città del Nevada ha saputo reinventarsi nel tempo, offrendo ai visitatori esperienze sempre nuove e coinvolgenti.
Uno degli aspetti più evidenti delle novità della città riguarda il settore alberghiero. Accanto ai famosissimi e spettacolari Caesars Palace; Circus Circus, Bellagio, Paris, The Venetian, la destinazione ha visto l’apertura di hotel di lusso e resort innovativi, capaci di attirare un pubblico sempre più eterogeneo. Tra i progetti più importanti va segnalato il Resorts World Las Vegas, un complesso di oltre 6.000 camere che combina tecnologia all’avanguardia, design sostenibile e un’offerta di intrattenimento di livello superiore. Questo resort si distingue per le sue strutture eco-compatibili, tra cui sistemi di risparmio energetico e gestione sostenibile delle risorse idriche.
D’altronde Las Vegas è nata negli anni Cinquanta dal nulla in mezzo al deserto al termine dalla «Valle della Morte» e, grazie alla monumentale diga di Hoover, è completamente autonoma dal punto di vista di acqua ed energia per tutte le luci, i neon, le insegne e la potente aria condizionata che consente di resistere anche a temperature esterne che raggiungono i cinquanta gradi.
L’attrazione più popolare della città è il Las Vegas Boulevard, comunemente noto come The Strip. Tutti i nuovi e lussuosi casinò sono costruiti su questa strada.
Nel centro della città «vecchia» degli anni Cinquanta ci sono, invece, alcuni hotel e casinò più retrò. Qui una delle attrazioni più distintive dell’area urbana è Fremont Street. Questa strada ha un enorme schermo sul soffitto dove vengono proiettate immagini di ogni tipo, e offre anche una divertente zipline, che permette di restare sospesi in aria da un’estremità all’altra della strada.
La parte di ristorazione è davvero molto variegata e va dai ristoranti gourmet a quelli etnici. Molti i piatti interessanti, nessuno a buon mercato. Ovviamente, come in tutti gli Stati Uniti, si trovano fast food a ogni angolo per chi non vole spendere troppo. Tra questi, l’ottimo e moderno Washin Patato at Fontainebleau o al Stubborn Seed at Resorts World.
Per raggiungere Las Vegas una delle combinazioni più interessanti è quella con la compagnia aerea Condor (www.condor.com/it) via Francoforte con ottimi orari di volo, coincidenze e comodità a bordo. Per maggiori informazioni sulla destinazione: www.lvcva.com.
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Bill Clinton e Jeffrey Epstein (Ansa)
Neanche a dirlo, è scoppiato uno scontro tra il Dipartimento di Giustizia e alcuni parlamentari. «La legge approvata dal Congresso e firmata dal presidente Trump era chiarissima: l’amministrazione Trump aveva 30 giorni di tempo per pubblicare tutti i file di Epstein, non solo alcuni. Non farlo equivale a violare la legge. Questo dimostra che il Dipartimento di Giustizia, Donald Trump e Pam Bondi sono determinati a nascondere la verità», ha tuonato il capogruppo dell’Asinello al Senato, Chuck Schumer, mentre il deputato dem Ro Khanna ha ventilato l’ipotesi di un impeachment contro la Bondi. Strali all’amministrazione Trump sono arrivati anche dai deputati Thomas Massie e Marjorie Taylor Greene: due dei principali critici repubblicani dell’attuale presidente americano.
«Il Dipartimento di Giustizia sta pubblicando una massiccia tranche di nuovi documenti che le amministrazioni Biden e Obama si sono rifiutate di divulgare. Il punto è questo: l’amministrazione Trump sta garantendo livelli di trasparenza che le amministrazioni precedenti non avevano mai nemmeno preso in considerazione», ha replicato il dicastero guidato dalla Bondi, per poi aggiungere: «La scadenza iniziale è stata rispettata mentre lavoriamo con diligenza per proteggere le vittime». Insomma, se per i critici di Trump la deadline di venerdì era assoluta e perentoria, il Dipartimento di Giustizia l’ha interpretata come una «scadenza iniziale». Ma non è finita qui. Ulteriori polemiche sono infatti sorte a causa del fatto che numerosi documenti pubblicati venerdì fossero pesantemente segretati: un’accusa a cui il Dipartimento di Giustizia ha replicato, sostenendo di aver voluto tutelare le vittime di Epstein.
Ma che cosa c’è di interessante nei file divulgati venerdì? Innanzitutto, tra i documenti pubblicati l’altro ieri, compare la denuncia presentata all’Fbi nel 1996 contro Epstein da una sua vittima, Maria Farmer. In secondo luogo, sono rispuntate le figure di Trump e Bill Clinton, anche se in misura differente. «Trump è appena visibile nei documenti, con le poche foto che lo ritraggono che sembrano essere di pubblico dominio da decenni. Tra queste, due in cui Trump ed Epstein posano con l’attuale first lady Melania Trump nel febbraio 2000 durante un evento nel suo resort di Mar-a-Lago», ha riferito The Hill. Svariate foto riguardano invece Bill Clinton. In particolare, una ritrae l’ex presidente dem in una piscina insieme alla socia di Epstein, Ghislaine Maxwell, e a un’altra donna dal volto oscurato. In un’altra, Clinton è in una vasca idromassaggio sempre in compagnia di una donna dall’identità celata: una donna che, secondo quanto affermato su X dal portavoce del Dipartimento di Giustizia Gates McGavick, risulterebbe una «vittima». In un’altra foto ancora, l’ex presidente dem è sul sedile di un aereo, con una ragazza che gli cinge il collo con un braccio. Clinton compare infine in foto anche con i cantanti Mick Jagger e Michael Jackson.
«La Casa Bianca non ha nascosto questi file per mesi, per poi pubblicarli a tarda notte di venerdì per proteggere Bill Clinton», ha dichiarato il portavoce di Clinton, Angel Ureña, che ha aggiunto: «Si tratta di proteggersi da ciò che verrà dopo, o da ciò che cercheranno di nascondere per sempre. Così possono pubblicare tutte le foto sgranate di oltre 20 anni che vogliono, ma non si tratta di Bill Clinton». «Persino Susie Wiles ha detto che Donald Trump si sbagliava su Bill Clinton», ha concluso. «Questa è la sua resa dei conti», ha invece dichiarato al New York Post un ex assistente di Clinton, riferendosi proprio all’ex presidente dem. «Voglio dire, se accendete la Cnn, è di questo che stanno parlando. Ho ricevuto un milione di messaggi a riguardo», ha proseguito. «La gente pensa: non posso credere che fosse in una vasca idromassaggio. Chi è quella donna lì dentro?», ha continuato, per poi aggiungere: «Voglio dire, è incredibile. È semplicemente scioccante», ha continuato. Vale la pena di sottolineare che né Trump né Clinton sono accusati di reati in riferimento al caso Epstein. Caso su cui i coniugi Clinton si sono tuttavia recentemente rifiutati di testimoniare alla Camera. Per questo, il presidente della commissione Sorveglianza della Camera stessa, il repubblicano James Comer, ha offerto loro di deporre a gennaio: in caso contrario, ha minacciato di avviare un procedimento per oltraggio al Congresso contro la coppia.
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Il Tribunale dei minori de l'Aquila. Nel riquadro, la famiglia Trevallion Birmingham (Ansa)
Un bambino è un teste fragile estremamente suggestionabile, perché è abituato al fatto che non deve contraddire un adulto, e, soprattutto se il bambino è spaventato, tende a compiacere l’adulto e a dire quello che l’adulto vuole. Ricordiamo che esiste la Carta di Noto, un protocollo di linee guida per l’ascolto del minore in caso di presunti abusi sessuali o maltrattamenti, elaborato da esperti di diverse discipline (magistrati, avvocati, psicologi, ecc.), che sono state sistematicamente disattese per esempio a Bibbiano. Un bambino deportato dalla sua famiglia è per definizione terrorizzato. Il termine corretto per i bambini tolti dalle famiglie dalle assistenti sociali è deportazione. La deportazione avviene all’improvviso, da un istante all’altro, con l’interruzione totale di tutti gli affetti, genitori, nonni, amici, eventuali animali domestici. Il deportato è privato dei suoi oggetti e del suo ambiente e con la proibizione di contatti con la sua vita precedente. Il deportato non ha nessuna padronanza della sua vita. Questo è lo schema della deportazione. Assistenti sociali possono mentire e psicologi possono avvallare queste menzogne con interrogatori suggestivi che portano i bambini a mentire. I motivi sono tre: compiacenza verso superiori o colleghi (è già successo), interesse economico (è già successo), fanatismo nell’applicare le proprie teorie: l’abuso sessuale dei padri sui bambini è diffusissimo, una famiglia non ha il diritto di vivere in un bosco, una madre povera non ha diritto ad allevare suo figlio, i bambini appartengono allo Stato, a meno che non siano rom allora appartengono al clan, un non vaccinato è un nemico del popolo oltre che della scienza e va deportato e vaccinato (è già successo).
Un’assistente sociale può mentire. E dato che la menzogna è teoricamente possibile deve essere necessario, per legge, che a qualsiasi interazione tra lo psicologo e l’assistente sociale e il bambino sia presente un avvocato di parte o un perito di parte, psicologo o altra figura scelta dalla famiglia. È necessario quindi che venga fatta immediatamente una legge che chiarisca che sia vietato una qualsiasi interazione tra il bambino e un adulto, assistente sociale, psicologo, ovviamente magistrato, dove non sia presente un perito di parte o un avvocato. Facciamo un esempio a caso. Supponiamo (siamo nell’ambito delle supposizioni, il posto fantastico dei congiuntivi e dei condizionali) che l’assistente sociale che ha dichiarato che i bambini della famiglia del Bosco sono analfabeti, oltre ad aver compiuto il crimine deontologico gravissimo della violazione di segreto professionale, abbia mentito. Certo è estremamente probabile che i figli di una famiglia con un livello culturale alto, poliglotta, la cui madre lavora in smart working siano analfabeti. È la cosa più logica che ci sia, però supponiamo per ipotesi fantastica che l’assistente sociale abbia mentito. In questo caso è evidente che i bambini non possono tornare a casa per Natale. Se i bambini tornassero a casa in tempi brevi, non sarebbe difficile fare un video dove si dimostra che scrivono benissimo, che leggono benissimo, molto meglio dei coetanei in scuole dove il 90% degli utenti sono stranieri che non sanno nemmeno l’italiano e meno che mai l’inglese, si potrebbe dimostrare che sono perfettamente in grado di farsi una doccia da soli e anche di cucinare un minestrone.
La deportazione di un bambino, coi rapporti troncati da un colpo di ascia, produce danni incalcolabili. I bambini sono stati sottratti ai loro affetti per darli in mano a una tizia talmente interessata al loro interesse che sputtana loro e la loro famiglia davanti a tutta l’Italia e per sempre (il Web non dimentica) con affermazioni (vere?) sul loro analfabetismo e sulla loro incapacità a fare una doccia. Questi bambini rischiano di essere aggrediti e sfottuti dai coetanei per questo, si è spianata la strada a renderli vittime di bullismo per decenni. Con impressionante sprezzo di qualsiasi straccio di deontologia gli operatori, tutti felici di squittire a cani e porci informazioni che dovrebbero essere assolutamente riservate (anche questi il segreto professionale e la deontologia non sanno che cosa siano), ci informano che i bambini annusano con perplessità i vestiti che profumano di pulito. I vestiti non profumano di pulito. Hanno l’odore dei pessimi detersivi industriali reclamizzati alla televisione che deve essere la fonte principale se non l’unica da cui nasce la cultura degli operatori. I loro componenti sono pessimi, non solo inquinanti, ma anche pericolosi per la salute umana a lungo termine: stesso discorso per lo sciampo e il bagno schiuma, soprattutto negli orfanatrofi di Stato, le cosiddette case famiglie, dove si comprano i prodotti meno cari, quindi quelli con i componenti peggiori.
Nessuno dei libricini su cui hanno studiato gli operatori ha spiegato che ci sono ben altri sistemi per garantire una pulizia impeccabile. In tutte le foto che li ritraggono con i genitori, ai tempi distrutti per sempre in cui erano felici, i bambini sono pulitissimi. Tra l’altro tutte queste incredibili esperte di comportamento infantile, non hanno mai sentito parlare di comportamento oppositivo? Un bambino normale, una volta deportato con arbitrio dalla sua vita e dalla sua famiglia, può spezzarsi ed essere malleabile o può resistere ed essere oppositivo. Fai la doccia. Non la voglio fare. Scrivi. Non sono capace. Il bambino oppositivo deve essere frantumato. Non ti mando a casa nemmeno per Natale.
Sia fatta una legge immediatamente. Subito. I bambini del bosco devono avere di fianco un avvocato. Noi popolo italiano, che con le nostre tasse paghiamo i servizi sociali e la deportazione dei bambini, abbiamo il diritto a pretendere che non siano soli. I bambini nel bosco passeranno un Natale da deportati. Qualcuno si sentirà in dovere di informarci che in vita loro non avevano mai mangiato un qualche dolce industriale a base di zucchero, grassi idrogenati e coloranti e che grazie alla deportazione questa lacuna è stata colmata.
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La famiglia Trevallion-Birmingham (Ansa)
È infatti una prepotenza senza significato confrontare una bomba affettiva e esistenziale come tre fratellini che giocano e si vogliono evidentemente bene, accompagnata da genitori altrettanto uniti, e naturalmente affettivi con norme e abitudini di un Paese dove il nucleo abitativo più frequente nelle città più prestigiose consiste in un cittadino singolo. Pretendere che i pochi figli superstiti in qualche «terra di nessuno», con i suoi boschi e le affettuosità (che ancora esistono fuori dalle famiglie-tipo), si uniformino ai secchi diritti e cupe abitudini del sociologico e disperato «gruppo dei pari» è un’operazione di una freddezza stalinista, per fortuna destinata allo scacco. È coltivata da burocrazie che scambiano relazioni profonde e vere, comunque indispensabili alla vita e alla sua felicità, con strumenti tecnici, adoperabili solo quando la famiglia purtroppo non c’è più, molto spesso per l’ottusità e la corruzione dello Stato stesso che le subentra (come racconta Hanna Arendt) quando è riuscito a distruggerla. Se non si vuole creare danni inguaribili, tutti, anche i funzionari dello Stato, dovrebbero fare attenzione a non sostituire gli aspetti già legati all’umano fin dalla creazione del mondo, con pratiche esterne magari infiocchettate dalle burocrazie ma che non c’entrano nulla con la sostanza dell’uomo e la sua capacità di sopravvivere.
Certo, la bimba Utopia Rose, citata nel bel pezzo di Francesco Borgonovo del 18 dicembre, è una testimone insostituibile di un’altra visione del mondo rispetto alle varie ideologie che prevalgono in questo momento, unendo ferocia e ricchezza, cinismo e follia. Impossibile di fronte ai fratellini che tanto scandalizzano le burocrazie perbene non ricordare (oltretutto a pochi giorni dal Natale) l’ordine di Gesù: «Lasciate che questi piccoli vengano a me». Nessuno dubita che entreranno nel Regno prima degli assistenti sociali. Utopia Rose, la più grande, è affettuosa e impegnata, lavoratrice e giocattolona, organizzatrice e sognatrice. Però non è sola (Come si fa a non amarla, e anche un po’ invidiarla?). Non soltanto perché ha i suoi due fratellini, e i tre quarti del pubblico fa il tifo per loro. Ma perché questa visione loro e dei genitori di cercare una vita buona e naturale, semplicemente felice e affettuosa verso sé e verso gli altri e tutto il mondo vivente, cresce con la stessa velocità con la quale si sviluppa l’idolatria verso tutto ciò che è artificiale, fabbricato, mentale, non affettivo. È già qualche anno che chi viene in analisi scopre soprattutto questo: l’urgenza di mettersi al riparo dagli egoismi e pretese grandiose, vuote e fredde, e invece amare. Ormai il fenomeno trasborda nelle cronache. Trasgressione conclusiva, dialettale e popolaresca (milanese): «Spérèm»!
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