
L'economista tedesco: «A una pubblica amministrazione complicata serve un sistema fiscale semplice. Basta che sia esteso a tutti».«La flat tax non solo si può fare ma si deve fare». Daniel Gros, economista tedesco direttore del Ceps (il Centro per gli studi di politica europea) non si unisce al coro di quanti, tra economisti e giornalisti, considerano il ritiro della procedura d'infrazione come la pietra tombale della principale riforma del programma dei gialloblù. Nel momento in cui il governo ha annunciato che i risparmi dal reddito di cittadinanza e da quota 100 sarebbero stati utilizzati per ridurre il deficit e quindi scongiurare l'intervento sanzionatorio di Bruxelles (cosa poi successa), subito l'opposizione si è scatenata dicendo che l'esecutivo ora non avrebbe le risorse finanziarie necessarie per avviare la rivoluzione fiscale.Ma per l'economista che guida uno dei più prestigiosi think tank della Comunità europea, i margini per la riforma ci sarebbero. Anzi la flat tax è l'occasione giusta per rimettere mano all'intero sistema, disboscare la giungla delle detrazioni e far pulizia nel labirinto della burocrazia. Lei sicuramente non può essere considerato un economista di vocazione populista. Può spiegarci in che senso considera la flat tax indispensabile per l'Italia?«La flat tax è un sistema molto semplice, importante in un Paese in cui l'amministrazione pubblica non funziona bene. Quindi è bene avere poche regole ma chiare. E penso che per l'Italia la tassa piatta vada nella direzione giusta».Ci sono gli spazi finanziari per avviare questa riforma? Gli oppositori sostengono che, congelati risparmi per ridurre il deficit, mancherebbero i fondi per una riforma fiscale di questo tipo.«Lo spazio lo si deve creare, magari risparmiando sulle spese e facendo una flat tax che non favorisca alcuni settori. La devono pagare tutti senza esenzioni per alcune categorie. Anche la lotta all'evasione ne trarrebbe vantaggio perché sarebbe semplificata».Dove bisognerebbe intervenire per recuperare le risorse necessarie?«Ci sono molti settori che pagano meno tasse. Numerose detrazioni potrebbero essere ridotte o tagliate».Si aspettava la revoca della procedura d'infrazione?«Non è stata una sorpresa, era prevedibile. A Bruxelles c'era poca voglia di sanzionare l'Italia. Il compromesso era nell'aria. Tutti sapevamo che al governo sarebbe bastato poco, per accontentare i commissari europei».Qualcuno ha detto che l'Italia è stata graziata.«L'Italia ha fatto quello che ci voleva sul deficit. In termini di debito ha il problema di sempre ma al momento la Commissione ha fatto finta di non vederlo, anche se questo non cambia molto. È difficile far rispettare le regole sul debito e poi c'era la volontà di non aprire un conflitto su qualcosa che l'opinione pubblica non avrebbe capito».Cosa c'è da aspettarsi da Christine Lagarde alla Banca centrale europea?«Non penso che ci saranno grandi cambiamenti rispetto alla linea seguita finora da Mario Draghi. E comunque il presidente della Bce è un voto tra i 19 governatori delle banche centrali dei Paesi dell'Eurozona che compongono il Consiglio direttivo. Ed è questo a decidere. Le regole rimangono le stesse, cambierà poco, ma non il contesto generale».
Stephen Miran (Ansa)
L’uomo di Trump alla Fed: «I dazi abbassano il deficit. Se in futuro dovessero incidere sui prezzi, la variazione sarebbe una tantum».
È l’uomo di Donald Trump alla Fed. Lo scorso agosto, il presidente americano lo ha infatti designato come membro del Board of Governors della banca centrale statunitense in sostituzione della dimissionaria Adriana Kugler: una nomina che è stata confermata dal Senato a settembre. Quello di Stephen Miran è d’altronde un nome noto. Fino all’incarico attuale, era stato presidente del Council of Economic Advisors della Casa Bianca e, in tale veste, era stato uno dei principali architetti della politica dei dazi, promossa da Trump.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 10 novembre con Carlo Cambi
Martin Sellner (Ansa)
Parla il saggista austriaco che l’ha teorizzata: «Prima vanno rimpatriati i clandestini, poi chi commette reati. E la cittadinanza va concessa solo a chi si assimila davvero».
Per qualcuno Martin Sellner, saggista e attivista austriaco, è un pericoloso razzista. Per molti altri, invece, è colui che ha individuato una via per la salvezza dell’Europa. Fatto sta che il suo libro (Remigrazione: una proposta, edito in Italia da Passaggio al bosco) è stato discusso un po’ ovunque in Occidente, anche laddove si è fatto di tutto per oscurarlo.
Giancarlo Giorgetti e Mario Draghi (Ansa)
Giancarlo Giorgetti difende la manovra: «Aiutiamo il ceto medio ma ci hanno massacrati». E sulle banche: «Tornino ai loro veri scopi». Elly Schlein: «Redistribuire le ricchezze».
«Bisogna capire cosa si intende per ricco. Se è ricco chi guadagna 45.000 euro lordi all’anno, cioè poco più di 2.000 euro netti al mese forse Istat, Banca d’Italia e Upb hanno un concezione della vita un po’…».
Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, dopo i rilievi alla manovra economica di Istat, Corte dei Conti e Bankitalia si è sfogato e, con i numeri, ha spiegato la ratio del taglio Irpef previsto nella legge di Bilancio il cui iter entra nel vivo in questa settimana. I conti corrispondono a quelli anticipati dal nostro direttore Maurizio Belpietro che, nell’editoriale di ieri, aveva sottolineato come la segretaria del Pd, Elly Schlein avesse lanciato la sua «lotta di classe» individuando un nuovo nemico in chi guadagna 2.500 euro al mese ovvero «un ricco facoltoso».






