
La banca centrale statunitense cambia strategia per rilanciare l'economia in crisi. Il costo del dollaro resterà basso anche anche in caso di forte crescita: la fiducia dei lavoratori è più importante della stabilità.Questo è un periodo storico dove la politica monetaria è il decisore principale dei destini di Stati e individui perché i governi devono finanziare con debito la tenuta di economia e redditi colpiti dalle conseguenze della pandemia. Le Banche centrali ne sono consapevoli e forniscono liquidità illimitata in modi sempre più innovativi e non conformisti. La statunitense Federal Reserve (Fed), guidata da Jerome Powell, ha fatto un passo in più in tale processo di adattamento degli standard monetari allo scenario di (mega) crisi, annunciando l'abbandono dell'obiettivo rigido di inflazione con limite al 2% in favore di uno più morbido dove all'inflazione stessa è «permesso» di salire oltre tale percentuale per un periodo (non specificato) pur mantenendo l'obiettivo (stabilità dei prezzi) di riportarla entro il 2% stesso, prima o poi. Motivi. Nell'ultimo decennio la priorità è stata più quella di evitare la deflazione che di controllare l'inflazione (al momento, in dollari, attorno all'1%) e il consenso degli analisti è che ci vorrà molto tempo prima di vedere tendenze inflazionistiche rilevanti. La ripresa post Covid richiederà un'alluvione di ulteriore liquidità, considerando che, diversamente dalla Bce, la missione della Fed include anche quella di creare le condizioni di minima disoccupazione oltre a quelle di bassa inflazione, e che questa massa di denaro avrà un qualche impatto inflazionistico: per evitare di raffreddare l'economia proprio nel momento in cui è necessario resti calda a lungo per riportare la disoccupazione al 3-4% (ora è attorno al 17%) bisognerà accettare picchi temporanei di inflazione oltre il 2%, cioè lasciare il costo del denaro a quasi zero anche in caso di forte crescita. Il mercato finanziario aveva bisogno di ricevere il messaggio che la politica monetaria in dollari resterà espansiva a lungo: ciò significa liquidità abbondante per pompare le Borse, che specialmente nel sistema statunitense producono un traino rilevante per l'economia reale, e tassi minimi che riducono il costo del debito, permettendo di farne di più. Ciò è anche un assist alla politica: potrà fare debito pubblico stimolativo senza il timore che la politica monetaria debba interrompere la crescita per motivi di stabilità. Valutazione: Powell ha mostrato di avere il coraggio e il giusto pragmatismo di rinunciare temporaneamente alla stabilità - prendendo un rischio - per difendere la fiducia, dando correttamente priorità a questa. Ma probabilmente c'è anche un motivo non dicibile: la svalutazione competitiva del dollaro, utile a ridurre le importazioni e a favorire le produzioni nazionali. Già l'euro si è alzato di circa il 10% sul dollaro negli ultimi mesi. Se andasse, per dire, verso l'1,50 per un dollaro, l'export in euro sarebbe pesantemente colpito. Da un lato, non è interesse dell'America una svalutazione eccessiva perché ciò potrebbe compromettere lo status di moneta di riferimento globale, già per altro aggredito per motivi geostrategici da Cina e altri. Dall'altro, la super-crescita americana via dollaro debole potrebbe mettere in crisi le nazioni molto dipendenti dall'export, Cina ed europei in particolare, e favorire il dominio globale degli attori economici e finanziari statunitensi. Se poi inseriamo la guerra tra America e Cina e l'indecisione europea nello schierarsi con la prima, la mossa svalutativa combinata con protezionismo avrebbe una forte motivazione di potere condizionante e dissuasivo. Se aggiungiamo la forte enfasi sia dei repubblicani sia dei democratici sul ritorno a casa delle produzioni delocalizzate, tale scenario passa dalla fantapolitica a un rischio reale che bisogna considerare. Da un lato, è probabile che l'America torni locomotiva globale e ciò è benefico per l'export europeo. Dall'altro, l'uso strategico di svalutazione e protezionismo sarebbe catastrofico per l'Ue e per Germania e Italia in particolare. La soluzione più razionale per l'Ue è siglare un trattato economico di libero scambio con gli Stati Uniti che preveda un'integrazione crescente tra i due mercati, con enfasi sulla simmetria del dare e dell'avere reciproco. Nel momento in cui aumenta la connettività tra le due aree non sarebbe interesse di alcuno destabilizzare i flussi via differenziali eccessivi di cambio. Pertanto un trattato commerciale simmetrico sarebbe la premessa di una convergenza prospettica tra euro e dollaro e di un reciproco rafforzamento delle due monete. Tale soluzione implica la piena (ri)convergenza politica e militare euroamericana. Per gli europei, Germania in particolare, il costo sarebbe quello di ridurre il surplus commerciale nei confronti dell'America e di aprire i mercati protetti alle merci statunitensi. Ma tale costo sarebbe più che compensato dalla formazione di un mercato integrato euroamericano con effetti economici stimolativi, anticipati dalla profezia di sua fattibilità pur lunghe e complesse le trattative. Il punto: l'aumento del «capitale politico» euroamericano, via convergenza, si trasformerebbe in un maggior volume di «capitale finanziario» utile a sostenere il ciclo economico e l'occupazione di ambedue. Se separate, America ed Europa avranno problemi interni e di potere esterno, perché impoverite e ormai «piccole» in relazione al globo, che eccedono la loro capacità singola di risolverli, alla fine con vantaggio della Cina autoritaria e aggressiva. Per questo sarebbe ora di elaborare sia un americanismo sia un europeismo pragmatici e dialoganti. www.carlopelanda.com
Massimo Doris (Imagoeconomica)
Secondo la sinistra, Tajani sarebbe contrario alla tassa sulle banche perché Fininvest detiene il 30% del capitale della società. Ma Doris attacca: «Le critiche? Ridicole». Intanto l’utile netto cresce dell’8% nei primi nove mesi, si va verso un 2025 da record.
Nessun cortocircuito tra Forza Italia e Banca Mediolanum a proposito della tassa sugli extraprofitti. Massimo Doris, amministratore delegato del gruppo, coglie l’occasione dei conti al 30 settembre per fare chiarezza. «Le critiche sono ridicole», dice, parlando più ai mercati che alla politica. Seguendo l’esempio del padre Ennio si tiene lontano dal teatrino romano. Spiega: «L’anno scorso abbiamo pagato circa 740 milioni di dividendi complessivi, e Fininvest ha portato a casa quasi 240 milioni. Forza Italia terrebbe in piedi la polemica solo per evitare che la famiglia Berlusconi incassi qualche milione in meno? Ho qualche dubbio».
Giovanni Pitruzzella (Ansa)
Il giudice della Consulta Giovanni Pitruzzella: «Non c’è un popolo europeo: la politica democratica resta ancorata alla dimensione nazionale. L’Unione deve prendere sul serio i problemi urgenti, anche quando urtano il pensiero dominante».
Due anni fa il professor Giovanni Pitruzzella, già presidente dell’Autorià garante della concorrenza e del mercato e membro della Corte di giustizia dell’Unione europea, è stato designato giudice della Corte costituzionale dal presidente della Repubblica. Ha accettato questo lungo colloquio con La Verità a margine di una lezione tenuta al convegno annuale dell’Associazione italiana dei costituzionalisti, dal titolo «Il problema della democrazia europea».
Ansa
Maurizio Marrone, assessore alla casa della Regione Piemonte in quota Fdi, ricorda che esiste una legge a tutela degli italiani nei bandi. Ma Avs la vuole disapplicare.
In Italia non è possibile dare più case agli italiani. Non appena qualcuno prova a farlo, subito si scatena una opposizione feroce, politici, avvocati, attivisti e media si mobilitano gridando alla discriminazione. Decisamente emblematico quello che sta avvenendo in Piemonte in queste ore. Una donna algerina sposata con un italiano si è vista negare una casa popolare perché non ha un lavoro regolare. Supportata dall’Asgi, associazione di avvocati di area sorosiana sempre in prima fila nelle battaglie pro immigrazione, la donna si è rivolta al tribunale di Torino che la ha dato ragione disapplicando la legge e ridandole la casa. Ora la palla passa alla Corte costituzionale, che dovrà decidere sulla legittimità delle norme abitative piemontesi.
Henry Winkler (Getty Images)
In onda dal 9 novembre su History Channel, la serie condotta da Henry Winkler riscopre con ironia le stranezze e gli errori del passato: giochi pericolosi, pubblicità assurde e invenzioni folli che mostrano quanto poco, in fondo, l’uomo sia cambiato.
Il tono è lontano da quello accademico che, di norma, definisce il documentario. Non perché manchi una parte di divulgazione o il tentativo di informare chi stia seduto a guardare, ma perché Una storia pericolosa (in onda dalle 21.30 di domenica 9 novembre su History Channel, ai canali 118 e 409 di Sky) riesce a trovare una sua leggerezza: un'ironia sottile, che permetta di guardare al passato senza eccessivo spirito critico, solo con lo sguardo e il disincanto di chi, oggi, abbia consapevolezze che all'epoca non potevano esistere.






