2018-08-05
La democrazia è in crisi perché non comanda la sinistra. Ferguson mette a nudo la teoria dem
True
Niall Ferguson è forse il più autorevole storico inglese vivente, oltre che uno dei commentatori politici più letti al mondo. Nella sua colonna domenicale sul Sunday Times, dà un dispiacere non solo agli anti trumpiani più ideologici e accaniti, ma, in generale, a tutti quelli che, con una ben nota coazione a ripetere, ogni volta che la sinistra perde, tendono a proclamare la fine della democrazia.Ferguson parte da una rassegna delle profezie di sventura formulate, a partire dalla vittoria di Donald Trump, da molti autorevoli analisti e politologi, non solo negli Stati Uniti.Per Yascha Mounk (che insegna ad Harvard) il populismo di Trump sarebbe parte di un "colpo di coda globale contro i valori liberali.Il liberalismo - sempre secondo Mounk - è sotto attacco da parte dell'amministrazione Trump, che ha dichiarato guerra a istituzioni indipendenti come l'Fbi, ed usa il pulpito presidenziale per bullizzare le minoranze etniche e religiose. Roba da far impallidire le accuse che la sinistra italiana rivolge a Matteo Salvini. Per Larry Diamond (che insegna a Stanford e scrive sul New York Times) c'è un «arretramento democratico mondiale, una recessione democratica globale». Mentre lo storico di Yale Timothy Sinder ha appena pubblicato un volume dal titolo «la strada verso l'illibertà», secondo cui la vittoria di Trump e Brexit sarebbero parte di una vasta cospirazione russa contro l'Occidente.Davanti a queste geremiadi, Ferguson usa i dati, prim'ancora del ragionamento. Ma è proprio vero che la democrazia nel mondo stia perdendo terreno? Nel 1997, secondo le statistiche di Freedom House (il think-tank Usa che si dedica al monitoraggio mondiale di democrazia e libertà di informazione nel mondo), i Paesi liberi erano il 42%, quelli parzialmente liberi il 31%, quelli non liberi il 27%.Attingendo alla stessa fonte, Ferguson mostra la situazione del 2017:quelli liberi sono saliti al 45%, quelli parzialmente liberi sono al 30%, quelli non liberi sono scesi al 25%. Dunque, nessuna catastrofe, nessun crollo verticale: semmai, piccoli segnali positivi.Ma Ferguson va oltre, e non ha paura di andare al cuore del problema.La crescita incontrollata dell'immigrazione ha certamente messo benzina nel motore delle forze definite populiste in Europa. Ma attenzione, fa notare: i cosiddetti populisti sono al governo solo in sei paesi europei (Austria, Repubblica Ceca, Grecia, Ungheria, Italia e Polonia); in tutta Europa, solo undici partiti populisti hanno raccolto più del 20% dei voti; e soprattutto, in tutti questi casi, soltanto in Ungheria e in Polonia ci sono stati atti governativi effettivamente sospettabili di aver ristretto le libertà individuali. Quindi, fa capire Ferguson, perché descrivere un'Apocalisse imminente?Ferguson fa anche un passo indietro nel tempo, e spiega che non è nuova questa «moda» (la chiama proprio così) di stare in pena per il presunto declino della democrazia: è iniziata a metà degli anni Novanta, quando, appena pochi anni dopo il 1989, la vittoria americana nella Guerra Fredda era parsa a qualcuno «troppo bella per essere vera». Ma già dieci anni prima - annota lo storico inglese - i profeti di sventura avevano previsto che il riarmo militare di Ronald Reagan avrebbe portato l'America alla bancarotta. Tutto sbagliato, tutto esagerato, tutto fuori bersaglio.Ferguson chiude con una battuta di feroce sarcasmo: «Il fatto che uno sia paranoico non significa che qualcuno gli stia realmente dando la caccia». Ma questa, da troppi anni, è divenuta la «saggezza» circolante nel nostro Occidente. «Non vi piace Trump?», domanda Ferguson ai suoi immaginari interlocutori. «Siete in buona compagnia, visto che il 53% degli elettori disapprova la sua presidenza: quindi siete liberi di votare contro il suo partito alle elezioni di mid-term di novembre e contro di lui alle presidenziali del 2020». Ma, chiude mirabilmente Ferguson, «se la democrazia è in crisi solo perché la sinistra non è al potere, allora questo dibattito non è serio».Si consiglia di tradurre in italiano e di affiggere nelle sedi di molti partiti, e anche nelle redazioni di numerosi giornali nostrani.
Matteo Salvini e Giorgia Meloni (Ansa)
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