2018-10-24
La cosa che la Juve deve imparare dall’Inter
«Report» punta il dito sui rapporti tra i bianconeri e la curva legata alla 'ndrangheta. E ipotizza anche un'inchiesta della Procura federale. Andrea Agnelli farebbe bene a imitare Massimo Moratti che, dopo il motorino scagliato a San Siro, ha affidato la sicurezza a professionisti. scorticata in tv con un'inchiesta ricca di spunti? Come farà a presentarsi fianco a fianco di un parente «informato dei fatti»? I due sul punto saranno inavvicinabili. Ma come faranno a tollerare che il loro servizio di protezione sia guidato dal security manager della Juventus, Alessandro Stefano D'Angelo, uno dei principali protagonisti della puntata di Report di lunedì, della cui cacciata al momento non si ha notizia? Sui profili social della trasmissione sono stati inviati insulti e minacce di morte. Il conduttore Sigfrido Ranucci è rimasto colpito da alcuni colleghi: «Un giornalista di Tuttosport in una trasmissione ha detto: “Si stanno scavando la fossa con le loro mani", uno di un altro giornale sportivo ha adombrato la richiesta di danno d'immagine prima della messa in onda». Ma Ranucci fa sapere di aver sentito il sostegno dell'azienda: «La Rai ci è stata vicina. Questo pezzo in altri contesti, in altri momenti, forse non sarebbe andato in onda così». E annuncia: «Torneremo presto sull'argomento. La Procura federale sembra abbia aperto un'inchiesta». Tornando alla Juve, per i soci che vogliono parlare in assemblea le domande vanno depositate in anticipo e una «manina» provvederà a filtrarle, magari sotto la supervisione di Claudio Albanese, responsabile comunicazione dei bianconeri. La prima domanda ad Agnelli è questa: come mai non ha ancora allontanato il tizio che ha permesso agli ultrà di esporre gli infami striscioni sui morti della tragedia di Superga? Non si sente in imbarazzo, se non nei confronti dei tifosi perbene della Juve, con i presidenti dell'European club association, da cui si è fatto eleggere prima che la giustizia sportiva italiana lo condannasse in primo grado?Agnelli non riuscirà ad attenuare la sensazione che creano quelle intercettazioni. Non ci sono condanne penali, ogni cittadino è innocente fino al terzo grado di giudizio, la Procura di Torino non lo ha coinvolto in alcun reato. Ma l'immagine è incrinata e compromessa. Su quegli infami striscioni, Report ha mostrato che Agnelli scoprì tutto fin dal giorno dopo. Ma non denunciò né il suo fido Alessandro D'Angelo, né l'autore degli striscioni, l'ultrà Raffaello «Ciccio» Bucci (poi suicidatosi), che aveva trattato per far entrare nelle curve quei vergognosi lembi di stoffa. Anzi, Bucci venne poi assunto col compito di tenere i rapporti tra la dirigenza del club e il tifo ultras. Bucci non c'è più, D'Angelo è al suo posto. Le sue responsabilità sono aumentate. Coordina l'imponente apparato di sicurezza a disposizione di Cristiano Ronaldo e della sua famiglia. Ma cosa impedisce ad Agnelli di sbarazzarsi di D'Angelo? Lo si capisce da due verbali in cui D'Angelo, sentito dai pm Paolo Toso e Monica Abbatecola (21 luglio 2015) come persona informata sui fatti, rivela di conoscere da anni il coetaneo Agnelli: «Mio padre ha lavorato per 40 anni al servizio della famiglia. Io ho conosciuto l'attuale presidente sin dall'infanzia». Andò a lavorare a Telecontrol, società che si occupava della sicurezza della zona residenziale della Mandria dove abitano Andrea e sua madre Allegra. In quel periodo riprese i contatti con Agnelli. Nel 2011 Andrea lo convoca: il suo lavoro comincia a Bardonecchia, dove la squadra è in ritiro. Scoppia una rissa tra Drughi e Bravi ragazzi per spartirsi i posti nella curva Sud dello Juve Stadium. Lì avviene il primo approccio coi capi ultras. Intreccia rapporti anche con Rocco Dominello che, insieme al padre, crea il gruppo dei Gobbi. Nel suo nuovo incarico, D'Angelo entra in contatto con Raffaello «Ciccio» Bucci, assunto dalla Telecontrol per collaborare con Alberto Pairetto, figlio dell'arbitro Pierluigi e dipendente della Juventus come supporter liaison officer. Ciò che Agnelli non ha ancora capito è che il problema della security e soprattutto dei rapporti tra club e tifoserie non può essere tenuto da un amico d'infanzia. In questo bisogna prendere esempio dall'Inter. Quando ci fu il famoso lancio del motorino dal terzo anello di San Siro, Massimo Moratti si rivolse a un personaggio molto importante in fatto di polizia e intelligence: Stefano Filucchi. Agnelli dovrebbe conoscere questo nome: i legali della Juve lo hanno citato nel ricorso al Tar su Calciopoli. Secondo una dettagliata inchiesta del sito ju29.ro.com «Filucchi venne inviato a Londra a indagare sulla morte di Roberto Calvi. Nel 1992 è entrato nella Direzione investigativa antimafia. Nel 1995 lavora alla Digos in Toscana, poi nel pool a disposizione di Pierluigi Vigna. Nel 1995 segue un corso in Fbi. Nel 2000 diventa security manager del Comune di Firenze, con sindaco Leonardo Dominici. Quindi torna a Roma, portavoce del capo della Polizia Gianni De Gennaro. A Milano - prosegue il sito - arriva il 26 novembre 2003, in qualità di responsabile sicurezza del gruppo Saras e, poi, come responsabile delle relazioni esterne. A queste cariche affianca quella di responsabile per la sicurezza e i rapporti istituzionali all'Inter». L'11 luglio 2007 è nominato dal presidente della Federcalcio, Giancarlo Abete, coordinatore nazionale dei delegati alla sicurezza. Oggi è vicepresidente del Cagliari, società che gravita nell'orbita-Moratti. Quel furbacchione dell'ex presidente del Cagliari, Massimo Cellino, patron del Brescia, non a caso ha voluto il figlio di Filucchi - Francesco, trent'anni, bravissimo manager calcistico con ufficio a Londra - come direttore sportivo. Tutto ciò fa capire che Andrea Agnelli ha ancora molto da imparare.
Il giubileo Lgbt a Roma del settembre 2025 (Ansa)
Mario Venditti. Nel riquadro, da sinistra, Francesco Melosu e Antonio Scoppetta (Ansa)