
La conferenza di Dubai, che doveva terminare ieri, non è ancora riuscita a redigere un testo condiviso: braccio di ferro fra Occidente, Africa e Paesi produttori di petrolio sugli idrocarburi. Si va verso un accordicchio, la Cina sta alla finestra.Si va ai tempi supplementari. Dopo due settimane di negoziati, la Cop28 di Dubai, che doveva chiudersi ieri, al momento non ha ancora trovato un accordo su un testo condiviso. Le posizioni sono molto distanti e riguardano il tema degli idrocarburi: c’è chi chiede che nel testo finale si indichi l’obiettivo della loro eliminazione e chi invece ritiene che la semplice riduzione sia già una concessione generosa. Salvare la faccia sarà molto difficile, a questo punto, per le Nazioni Unite, sotto la cui egida si svolgono i lavori, e per tutti coloro che preconizzavano svolte clamorose. Il piano di azione mondiale per abbattere le emissioni di CO2, nel presupposto che queste siano alla base dell’aumento delle temperature terrestri, al momento si presenta come una specie di libro dei sogni green, con pochissima aderenza alla realtà e soprattutto con nessuna analisi di impatto. Da una parte, per le otto opzioni elencate nella bozza in discussione non esiste un’analisi di quale sarà l’effetto reale sulla riduzione delle emissioni. Dall’altra, per le stesse opzioni manca totalmente un’idea di quali saranno le conseguenze economiche e sociali. Si affastellano obiettivi che sono allo stesso tempo proibitivi e generici, e i cui unici effetti misurabili sono shock economici erratici.La cronaca della giornata è un susseguirsi di dichiarazioni allarmate da una parte e sdegnose dall’altra. «Petrolio e gas saranno i pilastri dell’energia mondiale per molti decenni a venire», è scritto in una dichiarazione seguita alla Conferenza araba sull’energia di Doha, che ha riunito i ministri arabi dell’Energia. «Sono sorpreso da questo feroce attacco con ciò che viene chiamato “phasing out” del petrolio, o dalla riduzione della dipendenza dal petrolio come fonte di energia, una ferocia che forse è pari all’avidità dell’Occidente in generale nel prendere il controllo dell’economia» ha detto ieri il ministro del petrolio del Kuwait, Saad Al Barrak.Fonti accreditate riferiscono che l’Arabia Saudita avrebbe esercitato forti pressioni direttamente su Sultan Al Jaber, il presidente della conferenza e ad della compagnia petrolifera di stato degli Emirati Arabi, perché nel documento finale non comparisse alcuna menzione degli idrocarburi. La bozza ancora in discussione invece prevede una «riduzione graduale» degli stessi, dunque pare che Al Jaber abbia mancato nell’intento. Dopo la lettera del segretario generale dell’Opec Haitham Al Ghais ai Paesi membri, dove si chiedeva loro di non accettare in nessun modo la presenza dell’espressione «combustibili fossili» nella dichiarazione finale, gli animi si sono scaldati e sui giornali di tutto il mondo sono comparse parole come «rabbia» e «disgusto» per la posizione dei Paesi petroliferi.L’inviato per il clima della Germania, Jennifer Morgan, ha dichiarato che le discussioni sono in una fase molto critica, mentre il ministro danese Dan Jorgensen ha detto: «Sono preoccupato, abbiamo bisogno di più ambizione». Si fanno sentire anche i Paesi africani, preoccupati dell’eccessivo sforzo che i piani di decarbonizzazione fanno ricadere sugli Stati in via di sviluppo. «La transizione deve essere basata su un approccio differenziato verso le emissioni zero e l’abbandono degli idrocarburi», ha dichiarato Collins Nzovu, ministro per l’Economia verde dello Zambia, che è a capo del gruppo dei Paesi africani presenti alla Cop28.La Cina gioca a fare il gigante silenzioso e i suoi rappresentanti non vanno oltre generiche dichiarazioni di intenti. Per Pechino, in fondo, la discussione in corso è interessante solo in chiave di mercato, essendo un grande fornitore di materie prime e apparecchi necessari alla green economy. Il piano di decarbonizzazione della Cina va comunque avanti secondo una traiettoria che prevede ampio utilizzo del carbone fino al 2060.Intanto, gli Houti yemeniti ieri hanno lanciato un missile contro una nave cargo norvegese, la Strinda, che secondo gli assalitori trasportava greggio diretto a un terminal israeliano. Il proprietario del vascello, però, afferma che questo era diretto in Italia e trasportava biocarburante, non greggio. Una nave della Marina militare americana ha soccorso il vascello, su cui si era sviluppato un incendio senza vittime. Gli Houti hanno dichiarato sabato che attaccheranno tutte le navi che entrano nel Mar Rosso dirette in Israele.I prezzi del petrolio ieri sono scesi del 4% a seguito dei dati sull’inflazione americana e sulle prospettive economiche di bassa domanda, a fronte di un’offerta che resta abbondante, nonostante i tagli alla produzione. Per abbassare le emissioni niente di meglio di una crisi economica, verrebbe da pensare.La conferenza che ha riunito 100.000 partecipanti da tutto il mondo si avvia dunque verso un accordicchio. Il che non è comunque una buona notizia, perché questo lascerà spazio ulteriore alle disordinate e velleitarie iniziative di soggetti come l’Unione europea, che in piena bulimia green continua a sfornare normative e regolamenti in cui ambizione fa rima con povertà.
(Arma dei Carabinieri)
I militari del Comando di Milano hanno seguito fino in provincia di Bergamo un Tir sospetto con targa spagnola. Arrestati tre italiani e un cittadino spagnolo. Sequestrate anche armi da fuoco.
Nella serata del 25 novembre i Carabinieri della Compagnia di Milano Duomo hanno arrestato per detenzione illecita di sostanze stupefacenti due bergamaschi, un palermitano e un soggetto di nazionalità spagnola, rispettivamente di 28, 32, 29 e 54 anni.
I militari dell'Arma, nel corso di un più ampio servizio di prevenzione generale organizzato per le vie di Milano, insospettiti da un autoarticolato con targa spagnola di dubbia provenienza, dopo una prima fase di monitoraggio fino alla provincia di Bergamo, hanno sorpreso i soggetti mentre scaricavano 10 borsoni dal mezzo, all’interno di un capannone.
Alla perquisizione, sono stati trovati 258 chilogrammi di hashish, suddivisi in panetti da 100 grammi ciascuno e termosigillati.
L’autoarticolato, sottoposto a sequestro, è risultato dotato di un doppio fondo utilizzato per nascone la droga.
Nel corso dei successivi accertamenti sviluppati nelle abitazioni degli indagati, sono stati rinvenuti in casa del 28enne altri 86 chili di hashish, termosigillati e nascosti all’interno di un congelatore oltre a materiale per il confezionamento, due pistole cariche con matricola abrasa, munizioni e materiale riconducibile ad altri reati tra cui t-shirt riportanti la scritta «Polizia», un paio di manette, una maschera per travestimento, il tutto ancora ancora al vaglio degli inquirenti. Per il 28enne è scattato l’arresto anche per detenzione abusiva di arma clandestina. Nell’abitazione del 29enne sono stati invece trovati altri 4 chilogrammi di droga, anche questi custoditi in un congelatore, suddivisi in panetti da 100 grammi ciascuno e termosigillati. Complessivamente, sono stati sequestrati circa 348 chilogrammi di hashish.
Su disposizione del Pubblico Ministero di turno presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Bergamo, i quattro sono stati portati nel carcere di San Vittore di Milano in attesa dell’udienza di convalida.
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Brian Hughes (Getty Images)
L’uomo messo da Trump alla Nasa come capo dello staff: «Torneremo sulla Luna anche con partner italiani. Vogliamo creare una economia spaziale di tipo commerciale. Con l’agenzia russa continuiamo a collaborare».
Politico lo ha definito ad agosto «l’uomo di Trump all’interno della Nasa». È stato senior advisor dell’attuale presidente americano durante la campagna elettorale del 2024. Poi, dopo la vittoria, Trump lo aveva nominato vice consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca con delega alle comunicazioni strategiche. Tutto questo fino a maggio, quando il presidente lo ha fatto designare capo dello staff della Nasa. Brian Hughes ha quindi assunto un ruolo chiave all’interno di un’agenzia che Donald Trump considera strategica sia sul piano tecnologico che su quello geopolitico: un’agenzia che l’inquilino della Casa Bianca vuole adesso sottoporre a una serie di riforme per incrementarne l’efficienza, ridurne i costi e rafforzarne i legami con il settore privato.
Nel riquadro Francesco Morcavallo (iStock)
Francesco Morcavallo: «Le autorità non possono intervenire sullo stile di vita se non limita la libertà altrui, altrimenti è Stato etico. Le strutture che ospitano bimbi hanno un giro di miliardi».
Lei ora è avvocato dopo essersi occupato di minori in quanto magistrato, giusto?
«Ho lasciato la magistratura nel 2013».
Si fa un gran parlare di riforma della giustizia, lei che idea si è fatto?
«La riforma della giustizia sul tema della giustizia dei minori è marginale. In Italia la riforma della giustizia civile avrebbe bisogno di scelte coraggiose, tipo decongestionare l’attività dei tribunali».
(Ansa)
Il ministro degli Esteri: «Stiamo lavorando per riportare a casa lui e gli altri detenuti politici. L’altro giorno il nostro ambasciatore ha avuto la possibilità di incontrare Alberto Trentini e un altro italiano detenuto in Venezuela, e ha parlato con loro. Trentini è sì detenuto, ma è stato trovato in condizioni migliori rispetto all’ultima volta in cui era stato visto». Lo ha dichiarato il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, parlando dell’attivista trattenuto in Venezuela, a margine dell’assemblea di Noi Moderati in corso a Roma. «La famiglia è stata informata – ha aggiunto – e questo dimostra che stiamo seguendo la vicenda con la massima attenzione. Il ministero degli Esteri, come tutto il governo, se ne occupa con grande scrupolo. Stiamo lavorando per riportarlo a casa. Non è un’impresa facile: basta guardare la situazione internazionale».






