2019-12-19
La Casta fa le barricate e avvicina le elezioni
Raccolte le 65 firme trasversali necessarie al referendum popolare sul taglio dei parlamentari: il provvedimento finisce in freezer. La Lega andrebbe a votare subito, circostanza che avvantaggerebbe anche Matteo Renzi. Giuseppe Conte e il M5s sudano freddo e sperano nel Colle. Il referendum sul taglio dei parlamentari rischia di tagliare la legislatura. Ieri pomeriggio la Fondazione Einaudi, promotrice della raccolta di firme per l'indizione della consultazione, ha reso noto che l'obiettivo dei 65 senatori necessario a indire il referendum costituzionale è stato raggiunto. La notizia ha diversi risvolti politici: il primo, più importante, è che la riforma approvata dal Parlamento lo scorso ottobre, sostanzialmente all'unanimità, che riduce di un terzo i membri della Camera (da 630 a 400 deputati) e del Senato, va in congelatore e ci resterà fino al momento dello svolgimento del referendum.La parte del leone l'ha fatta Forza Italia: ben 41 senatori berlusconiani hanno sottoscritto la richiesta di referendum. Due i leghisti (gli ex grillini Urraro e Grassi); tre quelli del M5s (Giarrusso, Di Marzio e Marilotti); due di Italia viva (Garavini e Nencini); sette del Pd (Nannicini, Verducci, Rojc, Rampi, D'Arienzo, Giacobbe, Pittella); nove del gruppo misto (Martelli, De Falco, Nugnes, Fattori, Bonino, De Bonis, Buccarella, Merlo, Cario), e il senatore a vita Carlo Rubbia. Curiosità: i tre senatori del M5s che hanno firmato per il referendum sono i dissidenti anti Luigi Di Maio. Mario Michele Giarrusso è ormai da mesi in polemica con il capo politico, e lo scorso 17 dicembre non ha votato la fiducia sulla manovra, mentre Luigi Di Marzio era dato in uscita già la scorsa settimana, quando in occasione del voto sul Mes i senatori Lucidi, Grasso e Urraro votarono con il centrodestra e annunciarono il loro passaggio con la Lega di Matteo Salvini. Dunque, saranno i cittadini italiani a pronunciare la parola definitiva su questa riforma, fortemente voluta dal M5s. Il referendum dovrebbe svolgersi tra la fine di aprile e l'inizio di giugno 2020. I senatori dovranno depositare le loro firme entro il 12 gennaio prossimo presso la cancelleria della Cassazione. Dal momento del deposito delle firme, la Cassazione deve decidere sulla legittimità della richiesta - entro 30 giorni dalla sua presentazione - in caso di via libera, deve comunicare immediatamente l'ammissione del referendum al presidente della Repubblica, ai presidenti delle camere, al presidente del Consiglio ed al presidente della Corte costituzionale. Entro i successivi 60 giorni il referendum viene indetto con decreto del presidente della Repubblica, su deliberazione del Consiglio dei ministri, e la data viene fissata in una domenica compresa tra il 50° e il 70° giorno successivo all'emanazione del decreto di indizione. I vari passaggi hanno una elasticità temporale che ci consente di prevedere lo svolgimento del referendum, come dicevamo, tra la fine di aprile e l'inizio di giugno.Cosa succederà adesso? «Abbiamo tante cose da fare», ha risposto ieri il premier, Giuseppe Conte, a chi gli chiedeva se il referendum influirà sulla sorte del governo, «abbiamo un'agenda fitta, io giorno dopo giorno lavoro per risolvere i problemi del Paese. Sono percorsi istituzionali, il referendum non influenza e non può influenzare l'agenda di governo». Sarà, eppure ieri pomeriggio, nei palazzi del potere, non si parlava d'altro. Sono due le prospettive che occorre tener presente per tentare di prevedere cosa accadrà. La prima: molti partiti, a cominciare da Lega, Pd, Fratelli d'Italia e non ultima Italia viva di Renzi, potrebbero essere tentati dalle elezioni immediate: votare prima dello svolgimento del referendum, e con l'attuale legge elettorale, consentirebbe alle forze maggiori - e quelle meno penalizzate dai sondaggi rispetto alle politiche del marzo 2018 - di spedire in Parlamento un nutrito plotone di deputati e senatori. Renzi, nondimeno, avrebbe buon gioco con lo sbarramento al 3%. Il Pd, dal canto suo, ha un'arma in più da mettere sul tavolo delle trattative col M5s, che è interessato a preservare la legislatura più a lungo possibile.C'è un ma: alcuni addetti ai lavori fanno notare che, con un referendum che incombe, difficilmente il capo dello Stato, Sergio Mattarella, darebbe il via libera a uno scioglimento anticipato delle camere. Il nuovo Parlamento, con l'attuale composizione numerica, dopo poche settimane dal suo insediamento si ritroverebbe ad essere politicamente delegittimato dal più che probabile voto favorevole dei cittadini al taglio degli onorevoli. Far cadere il governo di Conte per correre al voto prima del «taglio», secondo quest'ultima corrente di pensiero, potrebbe essere un boomerang: Mattarella potrebbe dare l'incarico a un tecnico per traghettare l'Italia alle elezioni dopo lo svolgimento del referendum.Dunque, salvo clamorosi imprevisti, saremo chiamati alle urne per decidere se ratificare il taglio dei parlamentari. Come si muoveranno partiti? Per il sì al taglio sono già schierate (ovviamente) quasi tutte le compagini, perché è evidente che la riduzione dei parlamentari è una misura popolare, che incontra il gradimento dei cittadini. «Sono d'accordo sui referendum in generale», ha detto ieri, a Radio Radicale, il leader della Lega Matteo Salvini, «ho votato quella riforma, ho letto che sono state raggiunte le firme sufficienti di parlamentari per indire quel referendum. Quando i cittadini confermano o smentiscono una riforma approvata dal parlamento secondo me è sempre la scelta migliore». Infine, vanno registrate altre indiscrezioni, secondo le quali il raggiungimento del numero di firme necessario per indire il referendum sul taglio dei parlamentari potrebbe aprire la porta all'ammissibilità, da parte della Corte costituzionale, di un altro referendum, quello promosso dalla Lega che abroga la parte proporzionale del Rosatellum, trasformandolo in un maggioritario puro all'inglese. La Corte si pronuncerà su questa consultazione il prossimo 15 gennaio.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)