2021-08-15
La Cartabia approfitta del Morandi per fare uno spot alla sua riforma
Viadotto San Giorgio (Ansa)
Il Guardasigilli a Genova tira le orecchie a chi mette in dubbio la bontà della legge che porta il suo nome e assicura: «Nessun rischio per il processo sul crollo». Il comitato vittime: «Pochi i segni di cambiamento».«Sono qui da madre per sentire anche io sulla pelle lo strazio di quelle madri per le quali il tempo si è fermato tre anni fa per la perdita di un figlio». Comincia con una frase da brivido Marta Cartabia, toccando le corde del sentimento più puro, nella commemorazione delle 43 vittime del crollo del Ponte Morandi in una Genova avvolta dall'afa e dal silenzio. Sono le 11.36 di tre anni dopo e il clima è di totale commozione quando la Guardasigill cita Cesare Pavese: «La memoria che oggi celebriamo rinnova in ciascuno di noi il dolore».Mentre parla, il Ponte San Giorgio è lassù, stupendo, a ricordare a tutti la capacità di ripartire di un Paese, di rimboccarsi le maniche e di riannodare in tempo record il filo della Storia. Accade quando le ragioni della burocrazia vengono dopo quelle degli uomini e della dignità collettiva. Non per niente in prima fila ci sono due protagonisti di questo primato: il sindaco Marco Bucci e il governatore Giovanni Toti. Ricordiamo ancora la frase del primo cittadino due anni fa, quando il ministero dei Trasporti cominciava ad avvitarsi nei distinguo: «Se non sbloccano i lavori faccio come Winston Churchill a Dunkerque, chiedo ai cittadini genovesi di salire in barca e seguirmi a Roma. Andremo a prenderci ciò che ci spetta».Il ponte nuovo c'è ma non può oscurare nulla, né le responsabilità né l'iter processuale nei confronti di Aspi e di chi ha provocato la tragedia lucrando sulle manutenzioni. Per questo, dopo aver reso onore alle parole di velluto della ministra Cartabia, è doveroso rimanere perplessi su quelle che seguono, sulla deriva di marketing rispetto alla sua riforma della giustizia. «Non c'è alcun rischio per il processo sul crollo del Ponte Morandi. Ritornare ora a Genova come ministro della Giustizia al cospetto delle vittime significa rinnovare l'impegno per garantire ogni supporto perché il loro bisogno di giustizia, il nostro bisogno di giustizia, trovi piena e tempestiva risposta. E lo trovi in tempi brevi». Strano, tutto ciò stride in senso populista. Sembra che improvvisamente quelle 43 vittime diventino strumento per convincere il Paese che la riforma sia il meglio in assoluto. Il discorso vira sull'efficacia delle modifiche, roba da talk show televisivo o da risposta in aula durante un dibattito parlamentare. Chiudi gli occhi e hai la sensazione di essere a una conferenza stampa in via Arenula caratterizzata dalle domande degli amici di redazione di Alfonso Bonafede e Giuseppe Conte. La ministra Cartabia se ne faccia una ragione, il suo provvedimento alla camomilla ha avuto due conseguenze chiare: è ritenuto troppo garantista dai manettari grillini e piddini (questi ultimi solo più mascherati, non certo più sensibili alle regole del giusto processo) e ancora troppo giustizialista per i veri garantisti. Da qui il decollo del referendum di Lega e Radicali firmato non a caso in modo trasversale anche da Matteo Renzi, Goffredo Bettini, Luciano Pizzetti, Giorgio Gori. Parlando ai parenti delle vittime, Cartabia è perfino costretta a smentire una bufala giornalistica: «Nelle ultime settimane so che è stata per voi e per tutta la città fonte di preoccupazione l'opinione del tutto destituita di fondamento per cui la riforma del processo penale approvata dalla Camera potrebbe frustrare la vostra bruciante domanda di verità e giustizia. Senza possibilità di equivoci lo ripeto: non c'è e non c'è mai stato alcun rischio per il processo sul crollo del Ponte Morandi». Poi un fervorino alla stampa: «Bisogna riflettere più di una volta prima di diffondere opinioni che gettano allarme e che gravano di un ulteriore peso chi già porta un così grande dolore». Alla fine il messaggio del premier Mario Draghi è più sobrio e centra il problema: «Lo Stato ha tradito la fiducia dei cittadini. Voglio riaffermare l'impegno del governo affinché non si verifichino mai più eventi così tragici e dolorosi. Con il Ponte Morandi sono crollate le fondamenta del vivere civile, che è alla base della nostra comunità. La realizzazione del Viadotto San Giorgio è un primo passo verso il ripristino di questo legame». Egle Possetti, presidente del comitato delle vittime (nel crollo ha perso la sorella, il cognato e due nipoti), teme che «si voglia richiudere il vaso di Pandora» e lancia un j'accuse preciso. «Non bastano le medaglie dei nostri atleti per risollevare la dignità della nostra nazione. Dopo tre anni ci sono pochi segni di qualche cambiamento. Non vediamo adeguate penalizzazioni per chi gestiva l'infrastruttura al momento del crollo, il contratto di acquisizione in itinere ha via via previsto integrazioni economiche». Si riferisce ai cinque miliardi (altro che esproprio) che il governo Conte bis ha dovuto sganciare per estromettere la famiglia Benetton. E dire che nel momento del referendum per il nome della nuova opera, qualcuno voleva chiamarla Ponte Toninelli.
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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