2021-08-19
La bufala dei «Talebuoni» è già stata smentita. Spari contro i manifestanti
(Mir Ahmad Firooz Mashoof/Anadolu Agency via Getty Images)
Come negli anni Novanta, gli «studenti coranici» si fingono dialoganti, poi uccidono. Si lavora al presunto «governo inclusivo». L'ex leader Abdul Ghani Baradar fuggito con 169 milioni. Versati 36,7 milioni alla Lituania, schiacciata da Minsk con la pressione migratoria. Lo speciale contiene due pezzi. «Moderati, un cazzo» diceva nel settembre 2005 Mario Borghezio, allora eurodeputato della Lega, sottolineando l'impegno del Carroccio contro chi in Italia festeggiava per quanto accaduto l'11 settembre di quattro anni prima alle Torri gemelle e inneggiava a Osama Bin Laden, il leader di Al Qaeda. Oggi quell'espressione colorita verrebbe da usarla per rispondere a chi dice che i talebani che stanno per proclamare l'Emirato islamico dell'Afghanistan sono diversi dai loro padri che quel progetto lo realizzarono tra il 1996 e il 2001 sotto la guida del mullah Mohammed Omar. Per spiegare come le dichiarazioni dei talebani di essere diversi dalla generazione che li ha preceduti possano apparire rassicuranti soltanto a chi ha poca familiarità con la loro storia, Graeme Wood, firma dell'Atlantic e docente di scienze politiche a Yale, ha ricordato sulla celebre rivista americana quanto accaduto un quarto di secolo fa. Conquistata la capitale afghana Kabul, i talebani avevano promesso di non volere vendette. «All'epoca di quella promessa», scrive Wood, «il presidente spodestato, Mohammad Najibullah, non era disponibile per una dichiarazione. I talebani lo avevano castrato e, secondo alcune ricostruzioni, gli avevano infilato i genitali recisi in bocca, e subito dopo è stato appeso a un lampione». Se si vuole proprio definirli talebani 2.0 bisogna guardare a come si muovono online su app di messaggistica come WhatsApp e Telegram, ma anche sui social media come Facebook, Twitter e Instagram (da cui molte donne afgane si stanno cancellando per timore di ritorsione). Qui riescono sempre, un po' a sorpresa, a rimanere all'interno delle regole delle piattaforme, come raccontato dal Washington Post ieri. Gli analisti però inviano alla cautela: «Le critiche arriveranno più tardi», ha commentato Emerson Brooking dell'Atlantic Council. Se però si guarda ai contenuti, ecco che l'immagine appare assai poco moderata. Un messaggio pubblicato sul loro sito in lingua inglese ad aprile non andrebbe fatto leggere a quei mondi, in particolare liberal e non-interventisti, che oggi suggeriscono di aspettare prima di trarre conclusioni: definiva il femminismo «uno strumento coloniale» e sosteneva che esso «attacca l'istituzione della famiglia in una società musulmana incentrata sulla famiglia». Ma per dubitare della presunta svolta moderata dei talebani è sufficiente dare un'occhiata a quanto accaduto ieri. Per esempio, gli «studenti coranici» nella città di Bamiyan hanno fatto esplodere la statua di Abdul Ali Mazari, ex leader sciita che proprio i loro «padri» avevano fatto prigioniero e poi ucciso negli anni Novanta. Non solo. Mentre una piccola folla di sostenitori accoglieva il leader politico, il mullah Abdul Ghani Baradar, al suo atterraggio a Kandahar, centinaia di afgani si accampavano all'aeroporto della capitale Kabul nella speranza fuggire all'Emirato: contro di loro i talebani hanno sfoderato armi da fuoco (con colpi sparati in aria), bastoni, corde e oggetti appuntiti. Diversi i feriti. In diverse città dell'Afghanistan sono andate in scena proteste. A Kabul hanno sfilato alcune donne per rivendicare, a volto scoperto, i loro diritti con in mano cartelli che recitavano un semplice ma eloquente «le donne afgane esistono». In migliaia, invece, hanno protestato a Jalalabad. Secondo una testimonianza raccolta da Sky TG24, i talebani hanno aperto il fuoco uccidendo almeno 35 persone. Il giornalista locale Babrak Amirzada ha raccontato di essere stato picchiato dagli «studenti coranici» mentre documentava la protesta insieme a un cameraman. Scontri anche in altre due città dell'Est, Khost e Asadabad: si parla, anche lì, di morti e feriti. Intanto, i talebani stanno lavorando per la formazione di un «governo inclusivo». A trattare c'è anche l'ex presidente Hamid Karzai, camaleontico e da sempre abile a inserirsi in ogni esecutivo afgano. Il suo successore, quell'Ashraf Ghani fuggito domenica da Kabul dopo la presa dei talebani, è ricomparso ieri negli Emirati Arabi Uniti. Con sé avrebbe portato 169 milioni di dollari, secondo quanto dichiarato da Mohammad Zahir Aghbar, ambasciatore afgano in Tagikistan, che, citato dalla Bbc, ha definito la fuga del presidente un «tradimento della patria e della nazione». Poca roba rispetto alle riserve monetarie del Paese che, ha rivelato Ajmal Ahmaty, governatore della Banca centrale in carica, fuggito dalla capitale, ammontano a circa 9-10 miliardi di dollari. Non sono state compromesse da quando i talebani hanno preso il controllo di Kabul ma ben 7 miliardi sono detenuti dalla Federal Reserve americana. L'amministrazione Biden domenica ha congelato le riserve e anche il finanziamento da 460 milioni di dollari nell'ambito dei programmi di aiuto contro la pandemia atteso per lunedì è a rischio. La mancanza di dollari statunitensi si tradurrà in un aumento dell'inflazione e questo, ha scritto l'economista su Twitter, «danneggerà i poveri, con l'aumento dei prezzi del cibo». E ciò potrebbe alimentare nuove proteste. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-bufala-dei-talebuoni-e-gia-stata-smentita-spari-contro-i-manifestanti-2654711679.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="bruxelles-intanto-cede-ai-ricatti-dei-bielorusso-lukashenko" data-post-id="2654711679" data-published-at="1629314487" data-use-pagination="False"> Bruxelles intanto cede ai ricatti dei bielorusso Lukashenko Tra il presidente russo Vladimir Putin, quello turco Recep Tayyip Erdogan e quello bielorusso Alexander Lukashenko «ci sono alcune somiglianze nell'usare i migranti, esseri umani, strumentalizzandoli», diceva qualche giorno fa al Financial Times Ylva Johansson, commissaria europea agli Affari interni, reduce da una visita in Lituania. «Lukashenko sta cercando di destabilizzare l'Unione europea, usando gli esseri umani in un atto di aggressione». Questo perché «le sanzioni lo hanno ferito», ma è un segnale di «disperazione». «Ma ci sono anche importanti differenze», aggiungeva: «quello che sta facendo Lukashenko è far entrare persone» provenienti da Paesi terzi «con informazioni false», ha proseguito la commissaria. Prima l'incontro con i vertici governativi di Vilnius, poi le parole al quotidiano finanziario. Segnali che anticipavano quanto accaduto ieri. La Commissione europea ha annunciato di aver messo a disposizione della Lituania 36,7 milioni di euro per l'assistenza di emergenza nell'ambito del fondo Asilo, migrazione e integrazione, per contribuire a rafforzare la capacità di accoglienza, di fronte al numero eccezionale di migranti in arrivo attraverso la frontiera con la Bielorussia. Tra le misure previste: pronto soccorso, cure mediche, strutture di isolamento Covid e vaccini, cibo, abbigliamento e kit igienici. I finanziamenti, ha comunicato l'esecutivo comunitario, rafforzeranno inoltre le squadre di risposta per individuare potenziali vittime della tratta di esseri umani e per assistere le persone bisognose di protezione internazionale. La questione migratoria sarà al centro anche della videoconferenza dei ministri dell'Interno dell'Unione europea convocata dalla presidenza di turno slovena per mercoledì prossimo, 18 agosto. Invitati a partecipare anche la Commissione europea, il Servizio europeo per l'azione esterna (ossia la macchina diplomatica dell'Unione europea) e i rappresentanti delle agenzie europee Frontex, East ed Europol. Si parlerà della crisi al confine tra Lituania e Bielorussia, con i migranti strumentalizzati e sponsorizzati dal regime di Minsk ma anche della situazione in Lettonia e in Polonia: la prima martedì ha dichiarato lo stato di emergenza per l'impennata di arrivi dal confine con la Bielorussia; e anche la seconda sta registrando numeri in aumento. Intanto, però, Vilnius è decisa a far da sé. Ieri il Parlamento lituano ha dato il via libera (80 voti a favore, due astensioni) a una legge che consente l'installazione di una recinzione a fisarmonica, lunga 508 chilometri, per arginare il flusso di migranti. Con l'ok dell'Aula, il progetto ha ora uno status di importanza nazionale, che lo esclude da alcune restrizioni sugli appalti, come riporta l'agenzia Bns. «Dobbiamo avere una frontiera forte e affidabile con la Bielorussia il più presto possibile», ha detto il ministro dell'Interno Agne Bilotaite, sottolineando che la legge avrebbe dimezzato i tempi di costruzione.
Papa Leone XIV (Getty Images)
Sergio Mattarella con la mamma di Willy Monteiro Duarte (Ansa)
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L'amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)