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2020-06-11
La Bellanova ha un problema con i calcoli
Teresa Bellanova (Ansa)
Non è un momento felice per Teresa Bellanova. Prima un problema di salute: «Sono costretta a fermarmi per qualche giorno», ha scritto su Facebook. «Niente di grave, si tratta di un fastidiosissimo calcolo alla colecisti: quanti di voi purtroppo hanno provato l'orrendo fastidio di questo minuscolo granello…». Adesso, purtroppo per lei, è un altro tipo di calcolo a darle problemi. Per la precisione il conto dei migranti che hanno fatto richiesta di regolarizzazione. La sanatoria che ha commosso il ministro dell'Agricoltura è partita dieci giorni fa, ma a presentare domanda sono stati appena 9.500 stranieri. Vero, fino al 15 luglio c'è ancora tempo. Però il governo si aspettava circa 220.000 irregolari desiderosi di uscire allo scoperto, e per adesso il fiasco è innegabile.
Siamo stati i primi a scriverlo, la settimana scorsa. Abbiamo contattato il Viminale per chiedere lumi, e sulle prime ci è stato risposto che i dati ufficiali sarebbero stati diffusi dopo una quindicina di giorni. Nel frattempo, però, abbiamo pubblicato i numeri forniti dalle associazioni agricole. Cia e Coldiretti, nei primi giorni, hanno ricevuto in tutto circa un centinaio di richieste: praticamente nulla. E dire che l'intero provvedimento era stato presentato come un atto fondamentale per salvare le aziende agricole prive di manodopera. A quanto pare, invece, il condono per i clandestini agli agricoltori non serviva.
Dopo che La Verità ha svelato l'inghippo, il Viminale si è affrettato a diffondere un dato, cioè quello delle 9.500 domande presentate dagli stranieri (a cui si aggiungono circa 60.000 richieste di informazioni online). In sostanza, il ministero ha dovuto certificare il flop.
Un fallimento che non è passato inosservato nemmeno a sinistra, tanto che ieri Repubblica ha sparato un siluro contro il governo titolando in prima pagina: «La beffa della sanatoria». Il giornale di Maurizio Molinari ha elencato tutte le magagne del provvedimento, che per altro erano ampiamente prevedibili (e infatti sono state previste anche da noi). Come si diceva, è evidente che agli agricoltori la sanatoria risulta inutile. Le frontiere ora sono aperte, migliaia di lavoratori comunitari possono raggiungere le aziende per cui hanno già lavorato negli anni passati. Ma pare proprio che il provvedimento non serva nemmeno agli stranieri.
Alcuni di loro continuano a essere impiegati in nero, come dimostrano le operazioni di polizia di cui scriviamo anche qui sotto. I loro datori di lavoro, spesso criminali, non hanno nessuna intenzione di metterli in regola. L'effetto collaterale più nefasto è che tutto ciò alimenta il racket. È stata di nuovo Repubblica a scrivere che il prezzo dei permessi di lavoro falsi è aumentato da 3.000 a 5.000 euro. Altri stranieri, invece, lavorano per padroni che non si sognano nemmeno di pagare 500 euro per sanarli. Dunque sono costretti a sborsare il denaro di tasca loro, togliendolo da uno stipendio già esiguo, con grande soddisfazione degli sfruttatori.
La sensazione è che l'intera sanatoria, oltre che decisamente discutibile sotto vari aspetti, sia un po' fuori dal tempo. Ricorda quelle realizzate anni fa dal centrodestra, che però si riferivano a un contesto completamente diverso. Il nuovo provvedimento, ad esempio, crea problemi pure a colf e badanti. Oggi è più difficile che una collaboratrice domestica sia impiegata a tempo pieno da una sola famiglia benestante. Alcune di loro si dividono tra più famiglie a medio reddito, che non sono in grado di pagare uno stipendio pieno. Il rischio, dunque, è che alcune perdano il posto, mentre altre non sanno a chi chiedere di essere regolarizzate. Di situazioni di sfruttamento orrende come quelle dei rider, poi, la sanatoria non si occupa affatto.
Insomma, con la scusa di aiutare l'agricoltura è stato fatto un gran pasticcio. Che la Bellanova, tuttavia, si ostina a difendere con dichiarazioni al limite del grottesco. «Quale che sia il risultato», ha detto a Repubblica, «non sarà mai un flop. Fosse anche una sola la persona che viene strappata all'invisibilità e a condizioni di lavoro oscene, lo considero comunque un successo». Il ministro, con grande sprezzo del ridicolo, aggiunge: «Piuttosto che a una sterile contabilità dei numeri, guardo al guadagno di umanità». Beh, forse dovrebbe guardare anche ai guadagni di chi gestisce il racket dei permessi. Perché finora l'unico risultato della sanatoria è stato che i clandestini devono pagare un sacco di soldi ai negrieri per essere messi in regola.
Ma evidentemente agli esponenti del governo questo dato di realtà continua a sfuggire, visto che ieri pure il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Nunzia Catalfo, si è esposto per difendere il condono dei clandestini, spiegando che si tratta di uno «strumento di tutela della collettività». Altra balla clamorosa: la regolarizzazione non offre alcuna sicurezza dal punto di vista sanitario. E comunque, se i numeri sono questi, stiamo freschi.
Non sfugge, ovviamente, il giochino politico che sta dietro tutto questo caos. La Bellanova addossa la responsabilità del flop ai 5 stelle e alle «restrizioni» da loro imposte sulla platea dei regolarizzabili. La sinistra immigrazionista insiste affinché il provvedimento sia allargato ad altre categorie di lavoratori. E non è escluso che a stretto giro si provveda a semplificare ulteriormente le regole per l'ottenimento del permesso di soggiorno, che per altro viene concesso in assenza di controlli, previsti soltanto in una fase successiva.
Ancora una volta, dunque, l'immigrazione diventa uno strumento di lotta politica. Un'arma da usare in una battaglia condotta sulla pelle degli italiani e persino dei migranti.
Regolarizzati con finti matrimoni. E poi mandati nei campi come schiavi
In Calabria sempre la solita storia. Si susseguono le inchieste che disvelano il lato B della presunta accoglienza riservata a chi arriva in Italia dall'Africa o dall'Asia in cerca di un lavoro.
La procura di Castrovillari (Cosenza), ieri mattina, ha eseguito sessanta misure cautelari, nell'ambito dell'inchiesta denominata Demetra, che colpisce un giro di caporalato nel Cosentino, con connessioni pure a Matera, in Basilicata. «Ma ste c... di scimmie dove sono?». È una delle intercettazioni choc, contenute nelle carte dell'indagine. «Domani mattina là ci vogliono le scimmie», dice uno degli individui sotto controllo. «E facciamo venire le scimmie, così cerchiamo di finire» risponde un altro indagato.
L'operazione scattata all'alba ha visto impegnati oltre 300 finanzieri del Comando Provinciale di Cosenza, con l'ausilio delle Fiamme gialle dei reparti di Catanzaro e Crotone.
Gli indiziati sono accusati, a vario titolo, di associazione per delinquere finalizzata all'intermediazione illecita, allo sfruttamento del lavoro e al favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. I migranti, mentre lavoravano nei campi, a volte avrebbero pure bevuto acqua dei canali scolo per dissetarsi. «No…siccome mi ha telefonato…che ai neri gli mancano un paio di bottiglie di acqua…nel canale, gliele riempiamo nel canale». E questo è un altro dei dialoghi captati che provoca sconcerto.
L'attività della Finanza è sfociata all'applicazione di 14 ordinanze di custodia cautelare in carcere, 38 ordinanze di arresti domiciliari e otto ordinanze di sottoposizione all'obbligo di firma. Sono state sequestrate inoltre 14 aziende agricole, di cui ben 12 in provincia di Matera e due in provincia di Cosenza, per un valore stimato di quasi otto milioni di euro.
L'inchiesta nasce da un controllo effettuato dai finanzieri della Tenenza di Montegiordano (Cosenza) al confine con la Basilicata. In un primo momento si procedeva all'identificazione di numerosi soggetti, italiani e stranieri, in particolare, di nazionalità pakistana, magrebina e di Stati dell'Europa dell'Est.
Secondo la Procura, oltre 200 braccianti sarebbero stati reclutati e condotti sui campi, in condizioni di sfruttamento, costretti a lavorare in assenza di dispositivi di protezione individuale. Scendendo più nel dettaglio, sono due le presunte associazioni criminali individuate dagli investigatori. Uno dei due gruppi sarebbe stato artefice non solo d'illecito sfruttamento di manodopera, ma anche di un traffico d'immigrazione clandestina. Dietro il pagamento di cospicue somme di denaro, sarebbero stati organizzati matrimoni «di comodo» finalizzati a garantire la permanenza sul territorio italiano di diversi immigrati. I magistrati hanno scoperto che qualcuno degli indiziati, dopo essersi procurato la documentazione necessaria, avrebbe organizzato i matrimoni civili, facendo firmare testimoni ritenuti fittizi. Le unioni finivano, poi, con procedimenti di separazione e divorzio abbastanza veloci.
«L'intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, cosiddetto caporalato», scrive il gip senza mezzi termini, «rappresenta una delle nuove forme di utilizzazione illecita della manodopera. In estrema sintesi, il caporale recluta lavoratori da collocare presso diverse aziende utilizzatrici e, per tale attività, percepisce una percentuale della retribuzione spettante ai lavoratori reclutati. Questi ultimi sono soggetti che versano in condizioni di particolare vulnerabilità e, quindi, di sottomissione. La combinazione di tali fattori genera la subordinazione del reclutato, in particolare di quello straniero, e la soggezione a condizioni di sfruttamento».
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Il ministro affronta un inconveniente renale, ma non risolve il flop della sanatoria denunciato dalla «Verità». Anzi, rivendica come un successo le sole 9.500 domande: «Piuttosto che ai numeri, guardo al guadagno di umanità». Intanto gli stranieri restano sfruttatiLa banda attiva tra Calabria e Basilicata. Intercettazioni choc: «Fate venire le scimmie»Lo speciale contiene due articoliNon è un momento felice per Teresa Bellanova. Prima un problema di salute: «Sono costretta a fermarmi per qualche giorno», ha scritto su Facebook. «Niente di grave, si tratta di un fastidiosissimo calcolo alla colecisti: quanti di voi purtroppo hanno provato l'orrendo fastidio di questo minuscolo granello…». Adesso, purtroppo per lei, è un altro tipo di calcolo a darle problemi. Per la precisione il conto dei migranti che hanno fatto richiesta di regolarizzazione. La sanatoria che ha commosso il ministro dell'Agricoltura è partita dieci giorni fa, ma a presentare domanda sono stati appena 9.500 stranieri. Vero, fino al 15 luglio c'è ancora tempo. Però il governo si aspettava circa 220.000 irregolari desiderosi di uscire allo scoperto, e per adesso il fiasco è innegabile. Siamo stati i primi a scriverlo, la settimana scorsa. Abbiamo contattato il Viminale per chiedere lumi, e sulle prime ci è stato risposto che i dati ufficiali sarebbero stati diffusi dopo una quindicina di giorni. Nel frattempo, però, abbiamo pubblicato i numeri forniti dalle associazioni agricole. Cia e Coldiretti, nei primi giorni, hanno ricevuto in tutto circa un centinaio di richieste: praticamente nulla. E dire che l'intero provvedimento era stato presentato come un atto fondamentale per salvare le aziende agricole prive di manodopera. A quanto pare, invece, il condono per i clandestini agli agricoltori non serviva. Dopo che La Verità ha svelato l'inghippo, il Viminale si è affrettato a diffondere un dato, cioè quello delle 9.500 domande presentate dagli stranieri (a cui si aggiungono circa 60.000 richieste di informazioni online). In sostanza, il ministero ha dovuto certificare il flop. Un fallimento che non è passato inosservato nemmeno a sinistra, tanto che ieri Repubblica ha sparato un siluro contro il governo titolando in prima pagina: «La beffa della sanatoria». Il giornale di Maurizio Molinari ha elencato tutte le magagne del provvedimento, che per altro erano ampiamente prevedibili (e infatti sono state previste anche da noi). Come si diceva, è evidente che agli agricoltori la sanatoria risulta inutile. Le frontiere ora sono aperte, migliaia di lavoratori comunitari possono raggiungere le aziende per cui hanno già lavorato negli anni passati. Ma pare proprio che il provvedimento non serva nemmeno agli stranieri. Alcuni di loro continuano a essere impiegati in nero, come dimostrano le operazioni di polizia di cui scriviamo anche qui sotto. I loro datori di lavoro, spesso criminali, non hanno nessuna intenzione di metterli in regola. L'effetto collaterale più nefasto è che tutto ciò alimenta il racket. È stata di nuovo Repubblica a scrivere che il prezzo dei permessi di lavoro falsi è aumentato da 3.000 a 5.000 euro. Altri stranieri, invece, lavorano per padroni che non si sognano nemmeno di pagare 500 euro per sanarli. Dunque sono costretti a sborsare il denaro di tasca loro, togliendolo da uno stipendio già esiguo, con grande soddisfazione degli sfruttatori. La sensazione è che l'intera sanatoria, oltre che decisamente discutibile sotto vari aspetti, sia un po' fuori dal tempo. Ricorda quelle realizzate anni fa dal centrodestra, che però si riferivano a un contesto completamente diverso. Il nuovo provvedimento, ad esempio, crea problemi pure a colf e badanti. Oggi è più difficile che una collaboratrice domestica sia impiegata a tempo pieno da una sola famiglia benestante. Alcune di loro si dividono tra più famiglie a medio reddito, che non sono in grado di pagare uno stipendio pieno. Il rischio, dunque, è che alcune perdano il posto, mentre altre non sanno a chi chiedere di essere regolarizzate. Di situazioni di sfruttamento orrende come quelle dei rider, poi, la sanatoria non si occupa affatto. Insomma, con la scusa di aiutare l'agricoltura è stato fatto un gran pasticcio. Che la Bellanova, tuttavia, si ostina a difendere con dichiarazioni al limite del grottesco. «Quale che sia il risultato», ha detto a Repubblica, «non sarà mai un flop. Fosse anche una sola la persona che viene strappata all'invisibilità e a condizioni di lavoro oscene, lo considero comunque un successo». Il ministro, con grande sprezzo del ridicolo, aggiunge: «Piuttosto che a una sterile contabilità dei numeri, guardo al guadagno di umanità». Beh, forse dovrebbe guardare anche ai guadagni di chi gestisce il racket dei permessi. Perché finora l'unico risultato della sanatoria è stato che i clandestini devono pagare un sacco di soldi ai negrieri per essere messi in regola. Ma evidentemente agli esponenti del governo questo dato di realtà continua a sfuggire, visto che ieri pure il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Nunzia Catalfo, si è esposto per difendere il condono dei clandestini, spiegando che si tratta di uno «strumento di tutela della collettività». Altra balla clamorosa: la regolarizzazione non offre alcuna sicurezza dal punto di vista sanitario. E comunque, se i numeri sono questi, stiamo freschi. Non sfugge, ovviamente, il giochino politico che sta dietro tutto questo caos. La Bellanova addossa la responsabilità del flop ai 5 stelle e alle «restrizioni» da loro imposte sulla platea dei regolarizzabili. La sinistra immigrazionista insiste affinché il provvedimento sia allargato ad altre categorie di lavoratori. E non è escluso che a stretto giro si provveda a semplificare ulteriormente le regole per l'ottenimento del permesso di soggiorno, che per altro viene concesso in assenza di controlli, previsti soltanto in una fase successiva. Ancora una volta, dunque, l'immigrazione diventa uno strumento di lotta politica. Un'arma da usare in una battaglia condotta sulla pelle degli italiani e persino dei migranti.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/la-bellanova-ha-un-problema-con-i-calcoli-2646167830.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="regolarizzati-con-finti-matrimoni-e-poi-mandati-nei-campi-come-schiavi" data-post-id="2646167830" data-published-at="1591815005" data-use-pagination="False"> Regolarizzati con finti matrimoni. E poi mandati nei campi come schiavi In Calabria sempre la solita storia. Si susseguono le inchieste che disvelano il lato B della presunta accoglienza riservata a chi arriva in Italia dall'Africa o dall'Asia in cerca di un lavoro. La procura di Castrovillari (Cosenza), ieri mattina, ha eseguito sessanta misure cautelari, nell'ambito dell'inchiesta denominata Demetra, che colpisce un giro di caporalato nel Cosentino, con connessioni pure a Matera, in Basilicata. «Ma ste c... di scimmie dove sono?». È una delle intercettazioni choc, contenute nelle carte dell'indagine. «Domani mattina là ci vogliono le scimmie», dice uno degli individui sotto controllo. «E facciamo venire le scimmie, così cerchiamo di finire» risponde un altro indagato. L'operazione scattata all'alba ha visto impegnati oltre 300 finanzieri del Comando Provinciale di Cosenza, con l'ausilio delle Fiamme gialle dei reparti di Catanzaro e Crotone. Gli indiziati sono accusati, a vario titolo, di associazione per delinquere finalizzata all'intermediazione illecita, allo sfruttamento del lavoro e al favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. I migranti, mentre lavoravano nei campi, a volte avrebbero pure bevuto acqua dei canali scolo per dissetarsi. «No…siccome mi ha telefonato…che ai neri gli mancano un paio di bottiglie di acqua…nel canale, gliele riempiamo nel canale». E questo è un altro dei dialoghi captati che provoca sconcerto. L'attività della Finanza è sfociata all'applicazione di 14 ordinanze di custodia cautelare in carcere, 38 ordinanze di arresti domiciliari e otto ordinanze di sottoposizione all'obbligo di firma. Sono state sequestrate inoltre 14 aziende agricole, di cui ben 12 in provincia di Matera e due in provincia di Cosenza, per un valore stimato di quasi otto milioni di euro. L'inchiesta nasce da un controllo effettuato dai finanzieri della Tenenza di Montegiordano (Cosenza) al confine con la Basilicata. In un primo momento si procedeva all'identificazione di numerosi soggetti, italiani e stranieri, in particolare, di nazionalità pakistana, magrebina e di Stati dell'Europa dell'Est. Secondo la Procura, oltre 200 braccianti sarebbero stati reclutati e condotti sui campi, in condizioni di sfruttamento, costretti a lavorare in assenza di dispositivi di protezione individuale. Scendendo più nel dettaglio, sono due le presunte associazioni criminali individuate dagli investigatori. Uno dei due gruppi sarebbe stato artefice non solo d'illecito sfruttamento di manodopera, ma anche di un traffico d'immigrazione clandestina. Dietro il pagamento di cospicue somme di denaro, sarebbero stati organizzati matrimoni «di comodo» finalizzati a garantire la permanenza sul territorio italiano di diversi immigrati. I magistrati hanno scoperto che qualcuno degli indiziati, dopo essersi procurato la documentazione necessaria, avrebbe organizzato i matrimoni civili, facendo firmare testimoni ritenuti fittizi. Le unioni finivano, poi, con procedimenti di separazione e divorzio abbastanza veloci. «L'intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, cosiddetto caporalato», scrive il gip senza mezzi termini, «rappresenta una delle nuove forme di utilizzazione illecita della manodopera. In estrema sintesi, il caporale recluta lavoratori da collocare presso diverse aziende utilizzatrici e, per tale attività, percepisce una percentuale della retribuzione spettante ai lavoratori reclutati. Questi ultimi sono soggetti che versano in condizioni di particolare vulnerabilità e, quindi, di sottomissione. La combinazione di tali fattori genera la subordinazione del reclutato, in particolare di quello straniero, e la soggezione a condizioni di sfruttamento».
Elon Musk (Ansa)
La controffensiva del magnate galvanizza X. Viktor Orbán scrive che «l’attacco della Commissione dice tutto. Quando i padroni di Bruxelles non riescono a spuntarla nel dibattito, arrivano alle multe. L’Europa ha bisogno della libertà d’espressione, non di burocrati non eletti che decidono cosa possiamo leggere o dire. Giù il cappello per Elon Mask perché ha tenuto il punto». Geert Wilders, leader sovranista olandese, se la prende con l’esecutivo di Ursula von der Leyen: «Nessuno vi ha eletto», twitta. «Non rappresentate nessuno. Siete un’istituzione totalitaria e non riuscite nemmeno a dividere in sillabe le parole “libertà d’espressione”. Non dovremmo accettare la multa a X, semmai abolire la Commissione Ue». Musk applaude: «Assolutamente! La Commissione Ue venera il dio della burocrazia, che soffoca il popolo d’Europa».
Oltreoceano, intanto, parte la rappresaglia. Reuters riferisce che il Dipartimento di Stato studia una stretta sui visti per chi si è reso «responsabile o complice della censura o del tentativo di censura di espressioni protette negli Stati Uniti». A cominciare dai fact checker dei social. Il vice di Marco Rubio, Christopher Landau, reduce dalle accuse di filocastrismo a Federica Mogherini, lancia poi una sorta di ultimatum: «O le grandi nazioni d’Europa sono nostri partner nella protezione della civiltà occidentale che abbiamo ereditato da loro, oppure non lo sono. Ma non possiamo fingere di essere partner mentre quelle nazioni permettono alla burocrazia non eletta, antidemocratica e non rappresentativa dell’Ue a Bruxelles di perseguire politiche di suicidio di civiltà». Il diplomatico lamenta: i medesimi Paesi, «quando indossano il cappello della Nato, insistono sulla cooperazione transatlantica come elemento centrale della sicurezza. Ma quando hanno il cappello dell’Ue portano avanti ogni sorta di agenda che spesso è totalmente contraria agli interessi e alla sicurezza degli Stati Uniti».
La lite scoppia, appunto, a 24 ore dalla pubblicazione del testo con cui la Casa Bianca ha ridefinito le proprie priorità. I media italiani lo hanno recepito con sgomento. Il Corriere, ieri, parlava di «attacco choc all’Europa». Secondo Repubblica, «Trump scarica l’Europa». La Stampa era listata a lutto: «Addio Europa, strappo americano». «Con la National security strategy di Trump l’America è ufficialmente un avversario», recitava l’editoriale di Giuliano Ferrara sul Foglio.
La Commissione Ue ha rivendicato la sua autonomia: decidiamo noi per noi, anche su libertà d’espressione e «ordine internazionale fondato sulle regole». Nel documento di Washington, ha ammesso Kaja Kallas, «ci sono molte critiche, ma credo che alcune siano anche vere. Se si guarda all’Europa, si nota che ha sottovalutato il proprio potere nei confronti della Russia. Dovremmo avere più fiducia in noi stessi. Gli Stati Uniti sono ancora il nostro più grande alleato». Piccato il premier polacco, Donald Tusk: l’Europa, ha spiegato agli «amici americani», è « il vostro più stretto alleato». E «abbiamo nemici comuni. A meno che non sia cambiato qualcosa». Lucida l’analisi di Guido Crosetto. Il ministro della Difesa ha sottolineato che lo spostamento del fulcro degli interessi strategici Usa, dal Vecchio continente all’Indo-Pacifico, era una «traiettoria evidente già prima dell’avvento di Trump, che ha soltanto accelerato un percorso irreversibile». Quando il processo è cominciato, non tutti erano attenti: nel 2000, George W. Bush fece rientrare diverse unità di stanza in Germania; Barack Obama richiamò un paio di brigate, per un totale di 8.000 soldati. E fu lui a stabilire che il futuro «perno» (pivot) della politica statunitense sarebbe stato l’Asia. The Donald, peraltro, ci ha tenuto a precisare che «l’Europa rimane strategicamente e culturalmente vitale per gli Stati Uniti». Crosetto ha insistito sulla necessità di mobilitare, insieme al resto dell’Unione, gli «investimenti pubblici e privati» necessari a «recuperare il tempo perso su tecnologie fondamentali» per diventare militarmente autosufficienti.
Ma se qualcuno ha invocato la collaborazione tra Stati membri per mettere in pratica un caposaldo del piano Trump (l’Europa deve imparare a «reggersi in piedi da sola», recita il manifesto), qualcun altro ha approfittato dello «choc» di cui sul Corsera per rilanciare il vecchio pallino: l’alleanza con Pechino. Da più Europa a più Cina è un attimo.
Ne ha discusso sul quotidiano di Torino, col pretesto di contestare il protezionismo del golden power, l’ex ministro dell’Economia, Giovanni Tria. Dimenticando che la penetrazione dei capitali del Dragone equivale a un commissariamento dei nostri asset.
L’intervento di Romano Prodi sul Messaggero, invece, più che malevolo è apparso surreale. In sintesi: siccome quel puzzone del tycoon si mette d’accordo con le autocrazie, noi dobbiamo... metterci d’accordo con un’autocrazia. «Finora», ha notato l’ex premier, «soltanto la Cina sta preparando una strategia alternativa, non solo usando le terre rare come arma di guerra ma, soprattutto, sostituendo il mercato americano con un’accresciuta presenza in tutto il resto del mondo». È in questo spazio che, a suo avviso, dovrebbero incunearsi gli europei. Per evitare «il collasso finale di quello che resta della globalizzazione», sostiene Prodi. In funzione di utili idioti, temiamo noi. Peccato che, ha sospirato il fondatore dell’Ulivo, né l’Ue né i dirigenti di Pechino sembrino «in grado di preparare la strada per arrivare al necessario compromesso». Alla faccia degli infausti vaticini di Trump: se è così, possiamo ancora salvarci.
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E’ una ricetta omnibus che nelle giornate di freddo predispone a piatto conviviale e succulento. Certo il primato spetta ai milanesi che servono l’ossobuco con il loro magnificente risotto giallo ma di fatto, essendo questo un taglio di carne, a torto definito povero, è una preparazione che si trova in tutte le zone urbane d’Italia. Condizione necessaria era che ci fosse un macello ed è errata convinzione che in campagna si mangiasse tanta carne; ci pensate al contadino che si ciba del suo “trattore”?
Dunque potremmo dire che questa è una ricetta piccolo-borghese, ma enorme nel sapore. Noi ve la proponiamo alla toscana, ancorché semplificata. Invece dei pelati ci siamo limitati al concentrato di pomodoro, ma il risultato è ottimo!
Ingredienti – 4 ossibuchi di generose dimensioni, tre cipolle, tre coste di sedano, tre carote, una patata, un paio di pomodorini, 6 cucchiai di farina 0, 60 gr di burro e 80 gr di olio extravergine di oliva, 3 cucchiai di concentrato di pomodoro, 3 foglie di alloro e 3 di salvia, un mazzetto di prezzemolo, un bicchiere di vino bianco secco, sale e pepe qb.
Procedimento – Con una carota, una cipolla, una costa di sedano, la patata e i pomodorini preparate un brodo vegetale mettendo le verdure a bollire in almeno un paio litri di acqua. In un tegame capiente fate fondere il burro nell’olio extravergine di oliva e sistemateci le foglie di salvia e alloro. Infarinate gli ossibuchi e passateli in tegame a fiamma vivace in modo che si sigillino. Nel frattempo con le altre verdure fate un battuto grossolano. Sfumate gli ossibuchi col vino bianco e quando la parte alcolica è evaporata toglieteli dal tegame e teneteli da parte. Fate stufare il battuto nel tegame e appena le cipolle diventano trasparenti rimettete in cottura gli ossibuchi. Coprite con il brodo vegetale, aggiungete il concentrato di pomodoro, fate sciogliere e lasciate andare per almeno un ora e mezza. Aggiustate di sale e di pepe, aggiungete il prezzemolo tritato e servite.
Come fa divertire i bambini – Fate infarinare a loro gli ossibuchi vedrete che ne saranno entusiasti
Abbinamento – Abbiamo scelto un Chianti Classico Gran selezione, va benissimo un Nobile di Montepulciano; in alternativa il rosso dei milanesi il San Colombano o una Barbera monferrina, astigiana o dell’Oltrepò
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Roberto Calderoli (Ansa)
Certo, serviranno dei soldi per adeguare i servizi offerti. Ma non è detto che ne serviranno tanti, dato che spesso alcuni governatori hanno le risorse ma le spendono male o non le spendono, a differenza di altri presidenti di Regione che vedono invece arrivare nelle proprie strutture sanitarie dei pazienti provenienti proprio dalle zone dove i quattrini pubblici vengono male investiti.
Altra cosa: i Lep sono previsti nella Costituzione, quella riformata nel 2001 dal centrosinistra e confermata da un referendum Nessun governo, compresi quelli progressisti, li ha mai attuati. L’unico che da tre anni ci prova, nonostante raccolte firme di protesta o interventi della Consulta, è l’esecutivo Meloni nella persona del ministro degli Affari regionali, Roberto Calderoli. Per non perdere tutta la legislatura senza produrre nulla, l’esponente leghista ha fatto inserire nella legge di Bilancio alcuni articoli che facciano partire i criteri dei Lep. Finalmente dopo 24 anni di attesa. Il Pd però vorrebbe far aspettare i cittadini del Sud altri anni. Tant’è che Francesco Boccia, capogruppo dem al Senato, ha minacciato «ostruzionismo a oltranza» se non verranno stralciati i Lep, a costo di andare anche in «esercizio provvisorio». Insomma, il partito di Elly Schlein è disposto a far saltare il taglio dell’Irpef pur di non rispettare una norma costituzionale, quella Carta che a sinistra venerano più del Vangelo.
Perché questa paura di una riforma? I Lep, ricorda Calderoli, servono anche per centrare un obiettivo del Pnrr, il federalismo fiscale, entro giugno 2026. Pnrr, ricordiamolo, scritto dal governo Conte 2 e modificato da quello Draghi, nei quali il Pd era forza predominante. Forse i governatori del campo largo temono di confrontarsi con la responsabilizzazione nell’utilizzo delle risorse pubbliche?
Il ministro leghista comunque tira dritto, forte anche della difesa di Fratelli d’Italia sui Lep nella legge di bilancio. E parallelamente martedì inizieranno le audizioni della commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama sul disegno di legge di delega al governo per la determinazione dei Lep. L’ipotesi, secondo quanto emerso all’esito dell’ultima riunione, è quella di avviare il ciclo di audizioni, per poi proseguirlo a gennaio. Secondo quanto raccolto da Public Policy saranno sentiti Sabino Cassese, giudice emerito della Corte costituzionale e presidente del comitato tecnico-scientifico con funzioni istruttorie per l’individuazione dei Lep. E ancora: l’Ufficio parlamentare di bilancio, l’Anci, l’Unione delle province d’Italia, Cgil, Cisl, Uil la cassa degli infermieri d’Italia, l’Ance, l’Associazione nazionale dei costruttori edili, lo Svimez, e persino Antonino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe. Audizioni istituzionali, democratiche, aperte al confronto. Quello che il Pd non vuole sull’autonomia.
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