
La titolare della Scuola esce malissimo da un sondaggio sulla qualità delle lezioni in quarantena: il sistema ha retto solo grazie alla buona volontà di prof e famiglie. Poi corregge Matteo Salvini sulle teche, però ha torto lei. Ha un solo punto fermo, le labbra rosso fuoco. Per il ministro dell'Istruzione Lucia Azzolina tutto il resto fluttua tra l'essere e il non essere, relativo come una cabina di plexiglas o una testa di imbuto, ipotetico come una sua dichiarazione al mattino (regolarmente smentita o corretta dal premier Giuseppe Conte al pomeriggio). Precario come i 200.000 insegnanti che i sindacati le chiedono di stabilizzare, e per costringerla a farlo si mettono in sciopero l'ultimo giorno di scuola. Il ministro del Movimento 5 stelle è una leggiadra maestrina collegata via Skype con la connessione a singhiozzo, è quella che Francesco Alberoni definiva «un'apparizione scomparente». C'è, non c'è, che importa dov'è. Per raccontare il disastro della scuola sul pianeta delle quattro sinistre di governo (che ovviamente nei talk show hanno in grande considerazione la cultura dei giovani), vale la pena cominciare dalle uniche due certezze. La prima è il rossetto di lady Azzolina, una coperta di Linus che la signora ha deciso di enfatizzare per dispetto istituzionale: «Più mi dedicano articoli, più lo metto». La seconda è una ricerca del Censis (realizzata con l'agenzia Agi) sulla didattica a distanza dopo tre mesi di lockdown di docenti e studenti. Il risultato è sconfortante. Da una parte il rapporto mette in luce che «la scuola è andata avanti grazie all'impegno personale delle figure coinvolte», ma subito dopo sottolinea che «si è proceduto in ordine sparso senza riuscire a fare sistema». Lo studio smonta mattoncino dopo mattoncino la narrazione idilliaca che il ministro Azzolina ha portato avanti in queste settimane fra una proposta, una retromarcia e una gaffe, trasformandosi da personaggio secondario a protagonista imbarazzante della quotidianità del governo Conte, superata in impopolarità solo dal ministro della Giustizia ed ex vocalist della discoteca Extasy di Mazzara del Vallo, Alfonso Bonafede. Secondo il Censis il 98% degli insegnanti ritiene che gli studenti abbiano dimostrato spirito di collaborazione e di adattamento, il 94% promuove il supporto dei genitori degli alunni delle elementari e delle medie, il 68% anche quello dei genitori delle superiori. Poi cominciano i dolori. Su un campione di 2.812 dirigenti scolastici, il 61% è convinto che la scuola «di fronte all'emergenza si è scoperta non attrezzata per la didattica a distanza». Solo l'11% dei presidi dichiara che a fine aprile tutti gli studenti erano coinvolti nelle attività di didattica da remoto. Nel 40% delle scuole la dispersione è stata superiore al 5% della popolazione studentesca, con maggiori criticità al Sud. Proprio Azzolina è riuscita nell'impresa di far scappare studenti bloccati in casa. Lo ha fatto con la frase: «Non bocceremo nessuno». Per poi ritrattare, travolta dalle critiche: «Non ho mai detto che non bocceremo nessuno». Per il 75% dei chiamati in causa, la didattica a distanza ha ampliato il gap di apprendimento fra gli studenti in base alla tecnologia famigliare. L'84% degli istituti ha dovuto distribuire device agli allievi. E un mese fa il 7% non era ancora riuscito a dotare tutti di attrezzature adeguate. Insomma un flop raccontato con gentilezza. Se il passato non depone a favore delle scelte del ministro, il presente è irritante: ricomincia il campionato di calcio ma le scuole restano chiuse, unico paese in Europa. E il futuro ha il profilo di Gotham City proprio perché il ministro non ha idea di come programmarlo. «A settembre ricominceremo con il 50% degli alunni in classe», aveva deciso. Salvo poi correggere: «A settembre non ricominceremo con il 50% in classe, ma di più». Lady Azzolina è una contraddizione in termini vivente. Siracusana, 37 anni, entrata alla Camera con l'onda di piena grillina grazie a un seggio vacante in Campania dopo essere stata sconfitta in Piemonte, a inizio 2020 ha sostituito il ministro Lorenzo Fioramonti dimissionario. Fino a quel momento era nota per aver passato un concorso da dirigente scolastico da 2.542esima su 2.900 posti. E, secondo La Repubblica, per avere copiato da testi specialistici una tesi per l'abilitazione all'insegnamento. Difesa bizzarra: «Non si trattò di plagio perché era una semplice relazione». Qualche giorno fa dal ministero era uscita la notizia delle cabine di plexiglas per il distanziamento in aula, ma mentre montava lo scetticismo lei ha utilizzato la consueta strategia negazionista: «Mai pensato di chiudere gli studenti in cabine di plexiglas». Bocciata da Matteo Salvini per l'obbrobrio, ha pensato di salire in cattedra con la sicumera che neanche Lord Cardigan a Balaklava, spiegando al leader della Lega su Facebook che «non hai letto il decreto (e non è una novità), fai propaganda sulla sicurezza (non ci sarà nessuna gabbia di plexiglass). E non sai neanche come si scrive plexiglass. Essere bocciata da te è una promozione». Il ministro dell'Istruzione sperava almeno qui di non dover battere in ritirata, ma la sua dev'essere una maledizione. Secondo l'enciclopedia Treccani il nome commerciale si scrive con una esse sola, ha ragione Salvini, qui ci scappa il debito. Con un'attenuante: fu la Azzolina a sostenere che lo studente «non è un imbuto da riempire di conoscenze». Il polimetilmetacrilato, parola impervia, infrangibile e vetrosa, non ci passa.
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