2020-12-24
La Ragioneria stronca la manovra. Riscrittura all’ultimo e pacchetto blindato
Bocciata un'ottantina di articoli: il Senato avrà il testo definitivo il 27 e 4 giorni per approvarlo. «Che Dio ce la mandi buona».Altro che tecnicalità. Quella che è andata in scena a Montecitorio è un'autentica Caporetto del governo e della maggioranza in occasione della legge più importante dell'anno, cioè la legge di bilancio. E non si ricordano precedenti recenti in cui si sia andati così vicino all'impossibilità materiale di approvarla entro il 31 dicembre, con il conseguente rischio di cadere nell'esercizio provvisorio. Riassunto delle puntate precedenti: la manovra era arrivata in Parlamento con un mese di ritardo rispetto al 20 ottobre, termine entro cui dovrebbe essere ogni anno formalmente presentata alle Camere. Non solo quel ritardo ingiustificabile non è mai stato recuperato, ma già dall'inizio la stessa scelta dei relatori in commissione Bilancio è stata altamente rivelatrice: il bravo e competente, ma non necessariamente allineato al governo, Stefano Fassina, e la grillina Marialuisa Faro, che ad alcuni è parsa un po' spaesata. Come se qualcuno avesse deciso di rimettersi totalmente al governo.Così, per diverso tempo, in commissione Bilancio, sotto la presidenza del Pd Fabio Melilli, si è traccheggiato: fino a qualche giorno fa, sui 700 emendamenti segnalati (cioè quelli effettivamente da mettere al voto, estrapolati dai 7000 presentati in origine), ben 640 erano stati accantonati e solo 60 votati e respinti. In pratica, non si era fatto quasi nulla quando ormai - calcisticamente parlando - i 90 minuti erano pressoché esauriti e restava solo il recupero. A un certo punto, però, in zona Cesarini, con un apprezzabilissimo sussulto di orgoglio, i parlamentari della commissione hanno preso il coraggio a due mani, assumendosi la responsabilità di allocare circa 4 miliardi, con un'intesa bipartisan e una serie di emendamenti approvati trasversalmente.Attenzione: prima che un emendamento venga approvato con il voto dei parlamentari, sia i relatori sia il governo devono esprimere un parere. In questo caso, era giunta una raffica di pareri favorevoli sia da parte dei relatori sia da parte dei rappresentanti dell'esecutivo. Ulteriore precisazione: quando il governo dà luce verde a un emendamento in sessione di bilancio, si tratta di un doppio via libera, cioè di un ok sia dal punto di vista del consenso politico sia da quello della copertura. Si presuppone cioè che i rappresentanti dell'esecutivo abbiano fatto le verifiche tecniche e politiche. E così il testo è stato licenziato in commissione e trasmesso all'Aula di Montecitorio. Dove però, l'altro ieri, è arrivata la doccia fredda, perché la Ragioneria generale dello Stato ha fatto sapere che circa un'ottantina di articoli (avete letto bene: un'ottantina) risultavano sballati: una sessantina da riscrivere e una ventina più o meno da stralciare o cestinare. Problema: mancanza di copertura, cioè esattamente la prima verifica che il Mef avrebbe dovuto fare prima di dare il suo semaforo verde.Piccolo dettaglio (si fa per dire) che rende tutto più grottesco: la Ragioneria è incardinata nell'ambito del Mef. Quindi non è un corpo estraneo rispetto ai rappresentanti del ministero (viceministri, sottosegretari, eccetera) che avevano dato l'ok. E resta da capire con quale coraggio, dopo un simile autogol, pensi di poter rimanere in carica l'ineffabile Roberto Gualtieri. Morale: si torna in commissione Bilancio (ieri) perché a questo punto si tratta di riscrivere gli emendamenti alla luce dei rilievi della Ragioneria. E così scattano ben 58 correttivi, con una mezz'ora supplementare concessa da Melilli agli uffici della commissione per consegnare all'Aula il testo definitivo. Il che è accaduto verso l'ora di pranzo. Non prima di una scena da film comico, con queste surreali parole finali del presidente della commissione Melilli riprese dalle agenzie: «Abbiamo finito, che Dio ce la mandi buona».A questo punto, dopo la fiducia chiesta dal governo, la Camera licenzierà il testo (giova ricordare che siamo solo alla prima lettura della manovra!) il giorno 27, e allora il Senato avrà appena quattro giorni, fino al 31, solo per leggere la manovra e approvarla, ma senza poter cambiare una virgola, pena un impossibile ritorno a Montecitorio. Conclusione: da una prassi antica e consolidata di circa tre vere letture parlamentari della manovra (non solo le due formali obbligatoriamente richieste), siamo progressivamente scesi a una e forse - potremmo dire - quasi a nessuna reale, nel senso che da una parte è stata la Ragioneria a imporsi, e dall'altra il Senato potrà solo guardare il pacco chiuso e sigillato in arrivo dalla Camera. Eppure, quest'anno, anche nelle più alte sedi istituzionali, nessuno ha avuto nulla da obiettare su questa «compressione» dell'esame parlamentare. Un paio di anni fa, ai tempi del governo gialloblù (che a onor del vero finì in ritardo perché costretto da Bruxelles a riscrivere la manovra a metà dicembre: problema che quest'anno non si è assolutamente posto), le polemiche furono roventi, e sì finì addirittura davanti alla Consulta. Stavolta, invece, tutto tace. Non disturbate il manovratore giallorosso.