2021-03-03
Kurz e la Danimarca umiliano l’Ue sui vaccini
Sebastian Kurz (Getty images)
«L'agenzia del farmaco è lenta e ci sono intoppi con le ditte»: il cancelliere austriaco vola in Israele con la premier di Copenaghen per stipulare un'alleanza sulle immunizzazioni. La Commissione, tramortita, abbozza: «Gli Stati hanno sempre potuto agire da sé»L'esecutivo accentra tutto. Ma l'Ema ammette: «È arduo mettere d'accordo 27 nazioni»Lo speciale contiene due articoliBye bye, Ursula. Preso atto del fallimento della strategia europea sui vaccini, il cancelliere austriaco Sebastian Kurz prende armi e bagagli e si sgancia da Bruxelles. Domani, nel corso della sua visita a Gerusalemme, è atteso un incontro tra il premier israeliano Benjamin Netanyahu, il primo ministro danese Mette Fredriksen e lo stesso Kurz. Sul piatto, un'alleanza in grado di mettere il turbo alle rispettive campagne vaccinali. «La scorsa estate abbiamo concordato che i vaccini sarebbero stati procurati dall'Unione europea in tempo e approvati rapidamente», ha affermato Kurz, «reputo questo approccio formalmente corretto, ma l'Agenzia europea del farmaco è troppo lenta nell'approvazione dei vaccini, e tuttora sussistono importanti colli di bottiglia da parte delle compagnie farmaceutiche». Tradotto, occorre quel cambio di passo che non solo finora la Commissione è stata incapace di garantire, ma ha perfino rallentato. «Dobbiamo preparaci per ulteriori mutazioni, e fare in modo di non dipendere più esclusivamente dall'Ue per la produzione di vaccini», ha aggiunto il cancelliere austriaco. Vienna stima il fabbisogno interno in circa 30 milioni di dosi, una cifra che - secondo Kurz - Bruxelles non sarà mai in grado di garantirle. Senza contare il problema dei richiami. «Potremmo trovarci in una situazione in cui non solo dobbiamo vaccinare, ma anche rivaccinare, magari una volta all'anno», ha incalzato la Fredriksen, «perciò occorre potenziare la produzione in maniera decisa». Un funzionario della cancelleria austriaca ha spiegato al Financial Times che il punto cruciale riguarda proprio la filiera. L'obiettivo finale, infatti, sarebbe quello di spostare la produzione dei vaccini a Rna messaggero all'interno dei confini nazionali, e perciò i tre Paesi sarebbero già in contatto con Pfizer e Moderna per la progettazione degli impianti. Stando alle indiscrezioni riportate dal Ft, l'Austria avrebbe già individuato i siti più opportuni, e ciò dimostrerebbe che il piano di Kurz si trova già in una fase piuttosto avanzata. Tiepida la reazione di Bruxelles. «Gli Stati membri hanno sempre avuto la possibilità di chiudere contratti con compagnie che non rientrano nella strategia Ue», ha commentato un portavoce della Commissione, «il virus del Covid colpisce tutto il mondo, le lezioni che possiamo imparare da approcci diversi, di diverse parti del mondo, sono sempre ben accolte poiché ci possono rafforzare». Parole insolitamente cortesi, se paragonate all'attacco frontale riservato all'Ungheria in occasione dell'interessamento al vaccino russo Sputnik. Rimane da capire se Ursula von der Leyen deciderà o meno di richiamare all'ordine i dissidenti. Notoriamente Bruxelles non gradisce le fughe in avanti, e il precedente della «alleanza per un vaccino inclusivo» formata da Italia, Francia, Germania e Paesi Bassi lo dimostra. Quando nel giugno scorso i quattro Paesi si misero alla testa del gruppo per trattare con le case farmaceutiche, la Commissione si ritrovò costretta a bloccare l'iniziativa, imponendo poi a tutti gli Stati membri la strategia di acquisto centralizzata. Nel caso invece la Commissione decidesse di lasciare correre, equivarrebbe a un «liberi tutti». Nulla impedirebbe agli altri Stati, a quel punto, di prendere iniziative simili nel tentativo di colmare il deficit negli approvvigionamenti causato dalle mancanze dell'Ue.Né più né meno di quanto ha già fatto diversi mesi fa la Germania accaparrandosi 30 milioni di dosi extra dalla tedesca Biontech. Considerato che dal punto di vista geopolitico sia l'Austria che la Danimarca sono profondamente legate a Berlino, e il coinvolgimento della stessa Biontech (partner di Pfizer nella produzione dei vaccini a mRna), quello che si va delineando, nel medio e lungo periodo, è una sorta di grosso polo «pangermanico» di produzione e distribuzione del vaccino. Le sortite messe in atto oggi da Austria e Danimarca non rappresentano un caso isolato. Nella già citata Ungheria è iniziata la sperimentazione del vaccino cinese Sinopharm, e Budapest ha fatto sapere di aver incrementato l'acquisto del vaccino Pfizer dai previsti 6,5 milioni ai 10,9 milioni di dosi, oltre ad annunciare l'arrivo di 280.000 fiale del vaccino russo. Funzionari polacchi hanno rivelato che lunedì il premier Andrzej Duda ha preso contatti con Xi Jinping per l'acquisto del vaccino cinese, mentre sia Repubblica Ceca che Slovacchia hanno manifestato l'intenzione di acquistare lo Sputnik da Mosca. Risulta arduo credere, tuttavia, che i Paesi dell'Europa orientale che oggi provano a fare da soli non finiscano per rimanere fagocitati dall'immenso Lebensraum vaccinale di stampo tedesco che va creandosi. Se escludiamo la Francia, che può fare affidamento sugli «autoctoni» Valneva e Sanofi, chi rischia di finire con il cerino in mano sono proprio gli Stati meridionali - Italia, Spagna e Portogallo - quelli cioè che fino a oggi dimostrano di aver fatto maggior affidamento su Bruxelles per la fornitura di vaccini. Conviene darsi una mossa, prima che sia troppo tardi.
(Guardia di Finanza)
I peluches, originariamente disegnati da un artista di Hong Kong e venduti in tutto il mondo dal colosso nella produzione e vendita di giocattoli Pop Mart, sono diventati in poco tempo un vero trend, che ha generato una corsa frenetica all’acquisto dopo essere stati indossati sui social da star internazionali della musica e del cinema.
In particolare, i Baschi Verdi del Gruppo Pronto Impiego, attraverso un’analisi sulla distribuzione e vendita di giocattoli a Palermo nonché in virtù del costante monitoraggio dei profili social creati dagli operatori del settore, hanno individuato sette esercizi commerciali che disponevano anche degli iconici Labubu, focalizzando l’attenzione soprattutto sul prezzo di vendita, considerando che gli originali, a seconda della tipologia e della dimensione vengono venduti con un prezzo di partenza di circa 35 euro fino ad arrivare a diverse migliaia di euro per i pezzi meno diffusi o a tiratura limitata.
A seguito dei preliminari sopralluoghi effettuati all’interno dei negozi di giocattoli individuati, i finanzieri ne hanno selezionati sette, i quali, per prezzi praticati, fattura e packaging dei prodotti destavano particolari sospetti circa la loro originalità e provenienza.
I controlli eseguiti presso i sette esercizi commerciali hanno fatto emergere come nella quasi totalità dei casi i Labubu fossero imitazioni perfette degli originali, realizzati con materiali di qualità inferiore ma riprodotti con una cura tale da rendere difficile per un comune acquirente distinguere gli esemplari autentici da quelli falsi. I prodotti, acquistati senza fattura da canali non ufficiali o da piattaforme e-commerce, perlopiù facenti parte della grande distribuzione, venivano venduti a prezzi di poco inferiori a quelli praticati per gli originali e riportavano loghi, colori e confezioni del tutto simili a questi ultimi, spesso corredati da etichette e codici identificativi non conformi o totalmente falsificati.
Questi elementi, oltre al fatto che in alcuni casi i negozi che li ponevano in vendita fossero specializzati in giocattoli originali di ogni tipo e delle più note marche, potevano indurre il potenziale acquirente a pensare che si trattasse di prodotti originali venduti a prezzi concorrenziali.
In particolare, in un caso, l’intervento dei Baschi Verdi è stato effettuato in un negozio di giocattoli appartenente a una nota catena di distribuzione all’interno di un centro commerciale cittadino. Proprio in questo negozio è stato rinvenuto il maggior numero di pupazzetti falsi, ben 3.000 tra esercizio e magazzino, dove sono stati trovati molti cartoni pieni sia di Labubu imbustati che di scatole per il confezionamento, segno evidente che gli addetti al negozio provvedevano anche a creare i pacchetti sorpresa, diventati molto popolari proprio grazie alla loro distribuzione tramite blind box, ossia scatole a sorpresa, che hanno creato una vera e propria dipendenza dall’acquisto per i collezionisti di tutto il mondo. Tra gli esemplari sequestrati anche alcune copie più piccole di un modello, in teoria introvabile, venduto nel mese di giugno a un’asta di Pechino per 130.000 euro.
Soprattutto in questo caso la collocazione all’interno di un punto vendita regolare e inserito in un contesto commerciale di fiducia, unita alla cura nella realizzazione delle confezioni, avrebbe potuto facilmente indurre in errore i consumatori convinti di acquistare un prodotto ufficiale.
I sette titolari degli esercizi commerciali ispezionati e destinatari dei sequestri degli oltre 10.000 Labubu falsi che, se immessi sul mercato avrebbero potuto fruttare oltre 500.000 euro, sono stati denunciati all’Autorità Giudiziaria per vendita di prodotti recanti marchi contraffatti.
L’attività s’inquadra nel quotidiano contrasto delle Fiamme Gialle al dilagante fenomeno della contraffazione a tutela dei consumatori e delle aziende che si collocano sul mercato in maniera corretta e che, solo nell’ultimo anno, ha portato i Baschi Verdi del Gruppo P.I. di Palermo a denunciare 37 titolari di esercizi commerciali e a sequestrare oltre 500.000 articoli contraffatti, tra pelletteria, capi d’abbigliamento e profumi recanti marchi delle più note griffe italiane e internazionali.
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