2023-11-07
Kiev e Israele mandano l’Ue in cortocircuito
Ursula von der Leyen (Getty Images)
Ursula von der Leyen propone un piano di pace per il Medio Oriente ma viene scaricata dal Consiglio: «Non ne sappiamo niente». Mentre Josep Borrell, cercando di smentire le voci di stanchezza sull’Ucraina, finisce per rinforzarle. E oggi inizia il G7 in Giappone.Volti coperti, fumogeni e striscioni: i collettivi bloccano l'università di Napoli e chiedono la rottura dei rapporti istituzionali con lo Stato ebraico. Silenzio sugli attacchi del 7 ottobre. Sono gli stessi che scioperarono per l’anarchico Alfredo Cospito.Lo speciale contiene due articoli.Il nuovo fronte mediorientale getta nel caos i vertici europei. La mancanza di una linea politica, già evidente in molti altri momenti storici dell’Unione europea, come quello della guerra in Ucraina, viene nuovamente fuori con prepotenza a causa del conflitto tra Hamas e Israele. Il presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen sostiene che l’Ue debba giocare un ruolo su un futuro di pace in Medio Oriente e offre «alcune possibili idee» per il dopo guerra. «Gaza non può essere paradiso per i terroristi, Hamas non può ricostruire la sua base nella Striscia», sostiene. Ecco allora la possibilità di una «missione di pace internazionale sotto l’Onu». Ci deve essere poi solo «un’autorità palestinese» a governare uno «Stato palestinese». Allo stesso tempo le forze israeliane «non possono stare a Gaza, non ci deve essere espulsione dei palestinesi dalla Striscia e il blocco deve terminare».Una posizione questa, quando a parlare è il vertice dell’organo esecutivo, che agli occhi di chi legge potrebbe rappresentare la volontà dell’Unione, eppure non è così. «È la prima volta che ne sentiamo parlare» ha dichiarato un alto funzionario del Consiglio Ue in risposta alla domanda se il presidente della Commissione europea si fosse coordinato con il Consiglio o con gli Stati membri prima di avanzare le sue idee di pace per il Medio Oriente. Prima di esporre ieri agli ambasciatori Ue, e al pubblico, le sue idee su come dovrebbe essere affrontata la crisi in corso nel Medio Oriente, non ha consultato «nessuno» Stato membro, né il Consiglio. Sottolinea la fonte: «Non è stato consultato nessuno». La Von der Leyen era già stata criticata per essersi recata in Israele subito dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre scorso, insieme con il presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola, senza avere preventivamente consultato gli Stati membri, che hanno la competenza sulla politica estera dell’Unione, la quale viene coordinata, ma non decisa, dall’Alto rappresentante. Insomma ancora una volta si va alla rincorsa senza strategia. Copione già visto con la guerra in Ucraina, tanto che l’Alto rappresentante per la politica Ue, Josep Borrell, in una sorta di excusatio non petita si è rivolto così agli ambasciatori Ue: «Non possiamo sentirci stanchi di sostenere l’Ucraina, dobbiamo tenere d’occhio le nostre opinioni pubbliche, combattere la stanchezza. Se l’Ucraina perde, noi perdiamo. La Russia è pronta a sacrificare uomini e mezzi per vincere, la vita umana per Putin non ha significato, come ai tempi di Stalin, si crede che la quantità abbia un’intrinseca qualità. L’unica soluzione è continuare a sostenerla e restare uniti», ha aggiunto. Insomma la crisi è evidente su quel fronte. L’Europa è stanca, soprattutto adesso che questo nuovo conflitto richiede risorse aggiuntive. Ed è per lo stesso motivo che gli Stati Uniti a stretto giro potrebbero decidere di tagliare gli aiuti, anche in vista delle prossime elezioni presidenziali, per decidere di concentrarsi sul fronte mediorientale. «Il presidente Biden ha detto a Israele di non lasciarsi accecare dalla rabbia. È questo il messaggio che gli amici di Israele devono mandare: di non farsi accecare dalla rabbia. Il diritto a difendersi deve essere esercitato secondo il diritto internazionale». ha detto Borrell sottolineando che gli europei hanno «l’obbligo morale e politico di essere coinvolti, non solo fornendo aiuti umanitari ma contribuendo a una soluzione duratura». «A breve termine», ha aggiunto, «la priorità è la pace e fermare le violenze». Nel frattempo non si può tralasciare il fatto che la stessa Ursula von der Leyen la settimana scorsa ha annunciato l’arrivo del dodicesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia. «Le nuove sanzioni toccheranno fino a 100 nuovi individui» coinvolti nell’aggressione all’Ucraina, «nuovi divieti di import ed export, azioni per inasprire il tetto al prezzo del petrolio e misure severe nei confronti delle società di Paesi terzi che eludono le sanzioni», ha spiegato la Von der Leyen. Sanzioni che continuano però a indebolire anche l’Europa al contrario degli Stati Uniti che invece ne approfittano per vendere i loro Lng. Lo sa anche Borrell, la guerra in Ucraina è alla fine della sua corsa e le sanzioni ormai non servono più. A ogni modo l’Alto rappresentante dell’Ue per la politica estera si recherà oggi in Giappone dove resterà fino al 9 novembre per partecipare alla seconda riunione dei ministri degli Esteri del G7 sotto la presidenza giapponese del 2023.Durante l’incontro, Borrell e i ministri degli Esteri di Giappone, Stati Uniti, Canada, Francia, Germania, Italia e Regno Unito discuteranno in modo approfondito su una serie di questioni di politica estera e di sicurezza di grande attualità, in particolare la situazione in Medio Oriente, il continuo sostegno del G7 all’Ucraina di fronte alla guerra di aggressione della Russia e i principali sviluppi nella regione indo-pacifica. Non è chiaro, però, se Borrell parteciperà all’incontro con un mandato in grado di rappresentare l’intera Unione.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/kiev-israele-mandano-ue-cortocircuito-2666168349.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="luniversita-di-napoli-okkupata-gli-amici-di-cospito-con-hamas" data-post-id="2666168349" data-published-at="1699314081" data-use-pagination="False"> L’università di Napoli «okkupata». Gli amici di Cospito con Hamas «Per la Palestina, fino alla vittoria!». Le tute nere con i passamontagna che di primo mattino stendono il drappo sul balcone centrale di palazzo Giusso potrebbero essere tranquillamente scambiate per la cellula partenopea di Hamas. Invece è un piccolo gruppo di studenti dei collettivi che tenta di non farsi riconoscere mentre occupa l’università degli Studi orientali di Napoli, storica roccaforte della sinistra studentesca, di nuovo sulla breccia con il ritardo di un mese. Mentre La Sapienza di Roma (Filosofia), la Statale di Milano (Farmacia) e l’UniPa di Palermo sprangavano i laboratori e sfilavano da un paio di settimane nei quasi quotidiani cortei contro Israele, il torpore napoletano sembrava accomunare gli ultrà fuori corso avvolti nella bandiera palestinese alla squadra di Rudy Garcia. Poco reattivi, ma adesso si sono allineati. «Solidarietà alla resistenza di Gaza», sostengono gli incappucciati che sui social tendono a inglobare nel loro gesto la totalità degli iscritti alle facoltà dell’ateneo, quando neppure un ventesimo di questi ultimi partecipa. «È da quasi un mese che a Gaza, nel silenzio e nella complicità dei governi occidentali, in primis quello italiano, si consuma un genocidio perpetrato ai danni della popolazione palestinese», postano su Facebook gli okkupanti in prima linea, che fanno parte del gruppo Ex Opg (ospedale psichiatrico giudiziario) «Je so’ pazzo». La protesta si allarga secondo uno stanco riflesso condizionato noto da decenni e tocca i soliti temi cari alla gauche gruppettara in keffiah. «Se le istituzioni e i media hanno dimostrato la palese volontà di insabbiare i crimini di guerra di cui è responsabile il governo israeliano, è urgente e necessario che una risposta in solidarietà del popolo palestinese parta dal basso, da noi studenti e studentesse che non vogliamo restare in silenzio davanti a tutto ciò. Non possiamo restare indifferenti, è il momento di agire». In attesa di ottenere a loro volta la solidarietà di mezzo Pd, di Giuseppe Conte e di togliersi il passamontagna per fare passerella in uno qualunque dei talk show de La7, i protagonisti dell’occupazione mettono nel mirino il rettore Roberto Tottoli, che avrebbe la colpa «di non riconoscere il genocidio della popolazione palestinese da parte del governo di Tel Aviv». Nessun cenno alla mattanza del 7 ottobre (quella non li riguarda, già rimossa), ma condanna unanime della strategia dell’ateneo che «intrattiene rapporti di partenariato e scambio di ricerche con le università israeliane e l’apparato militare-industriale italiano. Non vogliamo studiare in un’università che si rende complice di ciò che sta facendo un governo coloniale e criminale. Insediamento, apartheid, violazione dei diritti umani. Pretendiamo che i vertici si espongano in una condanna pubblica dei crimini di guerra». Ovviamente a senso unico. A differenza di numerosi suoi colleghi che a questo punto sarebbero già nascosti in biblioteca a leggere Immanuel Kant, il rettore Tottoli non deflette. Si ritiene giustamente garante della libertà di insegnamento fra quei muri antichi, e parlando ai manifestanti attraverso lo spioncino del portone d’ingresso ha chiesto (inutilmente) che concludessero la protesta. «L’occupazione è un atto di violenza e la violenza non è mai una soluzione. Non potete occupare uno spazio pubblico, non potete parlare a nome di tutti gli studenti, se questa è la vostra concezione di democrazia, complimenti», ha detto senza ottenere un grammo di attenzione. Ostaggio anche lui del suicidio culturale dell’Occidente, prigioniero del riflesso condizionato antisemita di questi tempi bui. Gli occupanti napoletani dell’Orientale sono gli stessi che nel febbraio scorso avevano paralizzato l’università in segno di solidarietà ad Alfredo Cospito «contro il carcere duro, per l’abolizione di ergastolo e 41 bis». Nessun problema a passare dalla carezza a un terrorista condannato per la gambizzazione di un dirigente d’azienda e per un tentativo di strage, alla sollevazione a fianco del più feroce gruppo terroristico jihadista. Per i collettivi ogni occasione è buona, l’importante è che sia funzionale al caos democratico, brodo di coltura della sinistra di piazza. Passano gli anni ma siamo sempre fermi alla democrazia dei polli d’allevamento di gaberiana memoria. Il rettore Tottoli osserva le tute nere, nutre zero speranze di riprendere le lezioni al più presto e commenta: «Ho invitato gli studenti a lasciar ripartire le attività. Tra l’altro in questi giorni c’è un’iniziativa di alcuni colleghi sulla situazione in Palestina, che è gravissima. L’ateneo è impegnato a far prevalere innanzitutto le ragioni della pace, a cercare di capire questa realtà molto complessa. Dispiace perché proprio questa attività viene interrotta con l’occupazione che trova l’unica ragione d’essere dell’esposizione della bandiera palestinese dalla facciata di palazzo Giusso». Lui ha promesso invano di concedere uno spazio apposito agli studenti per esprimere le loro ragioni e così far riprendere le attività di studio e ricerca. «Un conto è manifestare le proprie opinioni, un altro è impedire il regolare svolgimento delle attività istituzionali. Come rappresentante di migliaia di ragazzi sottolineo che il gesto dimostrativo blocca in pieno ogni attività didattica e anche un momento di riflessione sulla crisi internazionale». Ma agli incappucciati con la sindrome di Harvard le riflessioni non interessano.
«Murdaugh: Morte in famiglia» (Disney+)
In Murdaugh: Morte in famiglia, Patricia Arquette guida il racconto di una saga reale di potere e tragedia. La serie Disney+ ricostruisce il crollo della famiglia che per generazioni ha dominato la giustizia nel Sud Carolina, fino all’omicidio e al processo mediatico.