2022-03-13
A Kiev arrivano i bombardamenti e le prime file per recuperare viveri
(Credit: Niccolò Celesti)
Comincia l’assedio della capitale, dove ci sono ancora luce, acqua e Internet. Ma ora si fa la coda per il pane. Il re dei fotoreporter, James Nachtwey: «Mosca non vincerà. Arrivano soldati dal Medioriente? È guerra mondiale».Niccolò Celesti da KievTutto intorno alla città inizia a farsi nero, Il fronte dell’Est nella zona intorno al paese di Brovary sì è ingrandito e le ultime notizie dicono che i russi sono avanzati di 4 km rispetto a ieri e da ieri anche alcune città nella zona Ovest dell’Ucraina sono state bombardate. Dopo giorni di stallo in cui tutti ci chiedevamo cosa stesse succedendo ora la morsa dell’armata russa sembra essere più pressante, più distribuita intorno alla città e sembra aver intensificato l’azione di attacco. Siamo andati ancora una volta a verificare la situazione sulla prima linea di Irpin dove siamo stati nei giorni scorsi e poi verso Ovest, dove in una base militare i missili russi hanno distrutto un deposito di benzina, uno di munizioni e la pista dell’aeroporto.Siamo in compagnia di uno dei più grandi fotoreporter di guerra, forse il più grande tra i viventi, arrivato qui a Kiev da tre giorni: «Non potevo più aspettare di raccontare questa terribile guerra» ci dice. James Nachtwey è gentilissimo con tutti, indossa sopra al giubbetto antiproiettile un piumino nero, un paio di jeans e degli stivaletti di cuoio. È silenzioso, parla a bassa voce, ha una sola macchina fotografica, un solo obiettivo 24-70 mm, l’obiettivo da reporter per antonomasia. Ha con sé anche una cosa che nessuno vede in giro da anni: un esposimetro esterno (lo strumento che legge l’intensità della luce). Lo salutiamo come si fa con gli altri colleghi sul fonte, con la differenza che a lui non si chiede come ti chiami, di dove sei, per chi lavori, ma si fa semplicemente un sorriso imbarazzato e si dice «honour to meet you». Sappiamo che può sembrare strano ma anche la guerra ha i suoi miti, i suoi eroi, i suoi vip e tra un’atrocità e l’altra si scherza, si ride, si pensa alle cose belle della vita e alle passioni. Così quando abbiamo l’occasione di passare qualche ora con lui, di decidere insieme il percorso da prendere, la notizia da verificare, di poterlo vedere al lavoro nel bunker dove lo portiamo o indicargli una via per andare a fotografare un carro armato ci sentiamo per qualche ora nell’Olimpo del reportage.Raccontare la guerra non è solo un lavoro. Siamo qui uniti con lo scopo di far conoscere al mondo l’orrore di questa aggressione ed è per questo è importante che ci sia anche Nachtwey, insieme con tutti gli altri, così come ci sono Fabio Bucciarelli, Ron Haviv e tutti gli altri. James non rilascia interviste quando lavora, ma possiamo comunque raccontare le nostre ore insieme a lui, i colloqui rapidi tra uno spostamento e una foto. Statunitense di Syracusa, James, domani compirà gli anni in zona di guerra, per la precisione 74. Ma per lui non sarà certo una novità. Mentre, in auto, proviamo ad arrivare sul fronte Est della città ci racconta che ci ha messo cinque giorni ad arrivare dall’Afghanistan dove da tre settimane stava svolgendo uno dei suoi progetti sul nuovo stato talebano. Ci racconta di essere atterrato a Dubai, poi in Polonia dove è arrivato al confine con un taxi, che è entrato in Ucraina a piedi, da lì ha fatto ciò che abbiamo fatto anche noi, fino a Leopoli in macchina e poi in treno notturno fino a Kiev. «Non potevo aspettare oltre, ma subito dopo questa guerra tornerò in Afghanistan a finire il mio progetto» spiega.In macchina scrive messaggi al cellulare, alcuni ai periodici e quotidiani con cui lavora da sempre, si innervosisce per il traffico infernale che ci sta facendo perdere ore preziose alla ricerca di questo campo di battaglia sempre troppo lontano. Qui il coprifuoco è dalle 19 alle 7 e non ci si può permettere di imboccare la via del ritorno in ritardo perché a ogni posto di blocco ti possono sparare senza preavviso, senza segnali.Cerchiamo nelle mappe una via alternativa, e nel frattempo si continua a parlare. «In Afghanistan ora stanno riorganizzando uno Stato. Io sto girando tutto il Paese: Kabul, Kandahar, Herat. Gli afghani impongono il loro credo, ma in maniera diversa da prima: le donne si sono rifiutate di indossare il burqa e loro lo stanno accettando, anche gli uomini non hanno più l’obbligo di farsi crescere la barba, Vogliono diventare uno Stato riconosciuto nel mondo». La sua lettura del conflitto in Ucraina è chiara. Ci tiene a rimarcare le differenze tra le missioni militari portate avanti dagli Usa, il suo Paese, e questa invasione: «Questa guerra è completamente diversa da qualsiasi altra. Gli americani in Afghanistan non bombardavano le città in questo modo, non pensavano di invadere il Paese, supportavano la creazione di un governo». Per lui questo attacco è «uno schiaffo alle democrazie occidentali». Lui l’esercito russo lo ha già visto all’opera in Cecenia, nel 1995-96. «Ma non hanno vinto neanche quella guerra», bofonchia. Perché è convinto che i soldati di Mosca in Ucraina non faranno una passeggiata: «Credo che la Russia non riuscirà a invadere e controllare il Paese, credo che potranno distruggere le infrastrutture, ma non a sottomettere il popolo ucraino». Attraversiamo il ponte che passa sul fiume di Dnepr. La città da qui è bellissima. Parliamo di come tutti noi che ci troviamo per la prima volta Kiev siamo rimasti stupiti dalla bellezza dei suoi palazzi, delle statue e delle decorazioni, delle chiese ortodosse e dell’architettura comunista e da come tutto questo stia benissimo insieme in una grande metropoli che fino a 15 giorni fa era viva di arte, musica, cultura e che ora rischia di essere spazzata via.Arriva una notizia e ci precipitiamo verso una base militare appena bombardata: la pista, il deposito di munizioni e uno di gasolio sono in fiamme. James monta su un’altra macchina con altri fotografi e ci dirigiamo tutti in direzione del bersaglio appena colpito. Ci ritroviamo presso un cimitero poco distante dalla base. Dal deposito di munizioni si sentono botti come se fosse Capodanno. Anche un razzo esplode nella zona, se ne vede la scia in cielo.James scatta le sue foto e scruta la colonna di fumo nero denso. Cerchiamo di commentare con lui la notizia che Putin sta mandando in Ucraina «volontari» che provengono del Medio Oriente. Lui si gira e ci sentenzia: «È la terza guerra mondiale». Speriamo si sbagli, ma mentre torniamo a Kiev quelle parole ci rimbombano nella mente come se fossero una cupa profezia. Anche perché è chiaro che la situazione sta precipitando. Quando torniamo nella capitale assistiamo a un’altra scena che non avevamo ancora visto qui, dove tra l’altro - e incredibilmente - ci sono ancora acqua, elettricità e connessione per i cellulari e Internet. In un quartiere a Sud della città si formano le prime file per i viveri che ormai iniziamo a scarseggiare. Una coda ordinata e dignitosa che nel giro di mezz’ora diventa un serpentone di persone in attesa di un sacchetto con un pacco di biscotti, della frutta e una scatoletta di carne. È qui la guerra.
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