2024-08-03
Su Khelif il Cio invoca le «regole». Solo che le regole sono sbagliate
Per il Comitato olimpico, le atlete rispettano i parametri. Che sono opinabili: testosterone più alto della norma e zero indagini sui cromosomi. Anche gli esperti li criticano. Conta cosa è giusto o chi ha il potere di decidere?«Sono le regole». Alla sinistra è bastato un paio di guantoni per dimenticarsi le battaglie di coscienza, la disobbedienza civile, la contestazione. Non sapendo più a quale «scienza» aggrapparsi, si aggrappano alla norma: lo dicono le regole e quindi è giusto così, Imane Khelif poteva e potrà combattere contro le pugili di sesso femminile.Ieri, Giorgia Meloni, in visita a Parigi, ha provato a parlarne con il numero uno del Comitato olimpico, Thomas Bach. Governo e Cio, recitava una nota di Palazzo Chigi, si sono confrontati sullo «stato di preparazione delle Olimpiadi invernali di Milano-Cortina 2026» e «rimarranno in contatto per valutare come affrontare per il futuro la questione» degli atleti trans e intersex. Ma l’organizzazione, a proposito dello status dell’algerina e della taiwanese Lin Yu-ting, l’altra intersessuale in gara, ha alzato un muro: «Tutti gli atleti che partecipano al torneo di boxe dei Giochi olimpici rispettano le regole di eleggibilità e di accesso alle competizioni e rispettano le norme di carattere medico stabilite dalla Boxing unit». «Sesso ed età», hanno tagliato corto i burocrati dello sport, «sono stabiliti dai passaporti». Carta canta, sul resto bisogna tacere.Torna alla mente Thomas Hobbes: auctoritas, non veritas, facit legem. In soldoni, chi comanda decide. «Sono le regole», no? Che saranno pure «transeunti», scrive la femminista Chiara Valerio su Repubblica, però, mentre vigono, sono «tutte assolute». E dunque, se il principio è che va bene quello che stabilisce chi è al timone, diventa lecito archiviare pure le distinzioni binarie, dunque limitanti, tra maschi e femmine. In fondo, aggiunge la Valerio, «le definizioni sono l’astrazione di natura statistica con la quale abbiamo deciso di stare al mondo e vivere in una comunità». Mere convenzioni: sei uomo o donna ora, ma domattina non più, come in passato «si andava in motocicletta senza casco» e oggi «si va in motocicletta col casco».Le due atlete, Khelif e Lin, insiste il Cio, «hanno gareggiato per molti anni in competizioni di livello assoluto». «Non c’è tema di protesta», sentenzia Federica Pellegrini sulla Stampa, nonostante una dotta disamina sul testosterone, l’ematocrito, i «tempi di un effettivo cambio ormonale e di forza e di potenza» nei transgender. Queste sono le regole. E le regole «non dovrebbero essere cambiate nel corso di un torneo», conclude il Comitato olimpico. Sono «assolute», direbbe la Valerio. Ma sono comunque «transeunti», nel senso che, «democraticamente, con l’avanzamento degli studi scientifici o dell’immaginazione civile possono essere ridiscusse e modificate». Sospettiamo che gli «studi» e l’«immaginazione civile» - non a caso sostituita alla disobbedienza e invocata quando diventa impossibile mistificare la realtà - conducano a «ridiscutere e modificare» sempre nella direzione dell’«inclusività». Resta lo stesso legittimo domandarsi, «democraticamente», su quali criteri siano basate certe «regole assolute».Il Cio, che è inclusivo, ammette le atlete laddove non superino i 10 nmol/L di testosterone per 12 mesi prima dell’inizio del torneo, nonché durante la competizione stessa. E Imane, hanno fatto sapere dalla Francia, presenta dei livelli di quell’ormone al di sotto della soglia fatidica. Dibattito chiuso? Mica tanto. In una venticinquenne come la pugile algerina, la concentrazione massima normale di testosterone arriva, per stare larghi, a 2,6 nmol/L. Ieri, sul Foglio, Paola Concia, che tutto può essere tranne omofoba, rammentava opportunamente le polemiche degli anni Settanta per le atlete dei Paesi ex Urss, «imbottite di testosterone». «Vi ricordate gli scandali che ne sono susseguiti e poi è cominciata l’era dei controlli antidoping?», ha incalzato. «Ora, il testosterone alto è considerato doping». Dopodiché, è opinabile pure che i livelli di testosterone siano l’unico parametro da considerare. Un anno fa, la rivista della Società italiana di endocrinologia notava che la riduzione dell’ormone, poco al di sotto di quelli che sono i minimi fisiologici in un ragazzo (intorno a 13 nmol/L, contro i 10 tollerati dal Cio), «non tiene conto delle differenze anatomiche che non risentono dell’abbassamento del testosterone». Il discorso vale senza dubbio per i trans. E per gli intersex, la condizione che caratterizzerebbe Khelif?L’Associazione internazionale di boxe amatori (Iba) l’aveva estromessa dai Mondiali, poiché in lei aveva riscontrato la presenza del cromosoma Y, connesso alla determinazione primaria del sesso maschile. L’Iba, ça va sans dire, non è giudicata affidabile: è putiniana, disconosciuta dal Cio per il suo sostegno a russi e bielorussi, per una serie di presunti casi di corruzione e per dispute sulla governance dell’organismo. Ha agito in maniera «improvvisa e arbitraria». Fatto sta che anche gli endocrinologi italiani, in alcun modo legati al Cremlino, nel 2023 notavano che il Comitato olimpico sbaglia a concentrarsi solo sul testosterone, «non considerando le possibili differenze in termini di altri androgeni e ormoni […] e altri fattori non ormonali», tra cui il «cromosoma Y, recettore per gli androgeni».Sarà anche vero che le regole sono le regole. Sarà anche vero che le regole si rispettano - in effetti, salendo sul ring e ritirandosi quando ha fiutato la mala parata, Angela Carini non ne ha violata nessuna. Sarà anche vero che le regole non si cambiano nel corso di una competizione. Ma è altrettanto vero che il contenuto di quelle regole si può considerare iniquo. Si può criticare. Lo stesso Cio, mentre blatera di «aggressione» nei confronti delle pugili algerina e taiwanese, ammette che è lecito cambiare gli statuti «sulla base di evidenze scientifiche». Di cui è pieno il mondo. Oppure si deve dedurre che la priorità non è stabilire principi corretti, bensì consolidare il dogma arcobaleno? Basta ascoltare il presidente di Amigay, l’associazione dei medici vicini alle persone Lgbt. Khelif, ha riconosciuto riluttante, ha «un lieve vantaggio», però «l’inclusione è molto più importante di una differenza fisica lieve». E allora il punto non è se le regole siano giuste. Il punto è chi ha il potere di deciderle. Ecco perché questa gente è in guerra con la realtà.