2023-04-07
Il capo di JP Morgan vuole requisire terreni privati per le politiche green
Jamie Dimon (Getty Images)
In una lettera agli azionisti Jamie Dimon invita a espropriare i possedimenti dei cittadini per accelerare l’eolico e il solare. Intanto la Sicilia ferma il suo fotovoltaico: prima vuole indennizzi per l’elettricità venduta al Nord.L’amministratore delegato di JP Morgan, banca americana tra le più grandi del mondo, ha affermato che i governi dovrebbero requisire i terreni privati per accelerare sulla transizione ecologica. Jamie Dimon, nella sua lettera agli azionisti con cui ha presentato il bilancio annuale, diffusa tre giorni fa, ha infatti scritto che «la riforma delle autorizzazioni è disperatamente necessaria per consentire la tempestività degli investimenti. Potrebbe essere anche necessario utilizzare l’esproprio, non stiamo ottenendo i necessari investimenti abbastanza in fretta per le iniziative di energia eolica e solare». Il riferimento è, naturalmente, alle politiche green in ossequio alla lotta al cambiamento climatico, che secondo il dirigente necessitano di un’accelerazione. «Ora è il momento di riflettere a fondo e coordinare normative complesse per raggiungere gli obiettivi che vogliamo, eliminando costose inefficienze e politiche contraddittorie. Molto spesso, le regole vengono messe in atto in una parte del quadro senza apprezzarne le conseguenze in combinazione con altri regolamenti» prosegue poi Dimon nella sua lettera.Un invito neppure troppo velato ai governi a «fare presto» e ad usare le norme dello Stato senza troppo riguardo, dato il preteso superiore interesse collettivo della lotta al cambiamento climatico. Ancora una volta, non si può non registrare il paradosso di una convergenza tra la finanza d’alto bordo e il socialismo reale. Pianificazioni pluriennali, obblighi, divieti ed espropri non appaiono esattamente strumenti liberali, eppure la finanza in grisaglia non esita ad invocarli quali soluzioni. Appare fulgido il parallelismo con quanto il Pedante ebbe a scrivere, a suo tempo, sul socialismo dei ricchi. In questo caso, l’esproprio è un mezzo (pubblico) grazie al quale gli investimenti (privati) possono dare un profitto alla banca (privata) che li ha finanziati.L’appello di Dimon dagli ovattati boudoir di Wall Street si specchia, curiosamente, in ciò che sta avvenendo in Sicilia, dove il presidente della Regione, Renato Schifani, ha annunciato uno stop alle autorizzazioni ad impianti fotovoltaici sul territorio dell’isola. Schifani pretende infatti una contropartita per i siciliani (uno sconto sull’energia elettrica), per il fatto che la Regione sarà sede di decine se non centinaia di impianti di produzione di energia che in gran parte non resterà sul territorio, ma sarà evacuata verso le Regioni del Nord. Per l’impatto ambientale degli impianti è già previsto che i Comuni possano chiedere ai produttori opere di compensazione. Il tema sollevato da Schifani, a cui ha fatto eco anche il presidente della regione Calabria, Roberto Occhiuto, sa forse eccessivamente di balzello, ma è importante perché segnala due cose. La prima è che effettivamente l’impatto occupazionale del fotovoltaico, in Sicilia come altrove, è minimo e temporaneo: finita l’installazione, un impianto di questo tipo, per grande che sia, va avanti da sé (la manutenzione non richiede schiere di lavoratori). Dunque, l’occupazione di suolo e non di persone assume i connotati poco attraenti di una colonizzazione che nulla lascia al territorio su cui insiste. In secondo luogo, più ancora, l’allarme lanciato da Schifani evidenzia come la Sicilia sia stata oggetto di un vero e proprio assalto alla diligenza, con richieste di connessione per un totale di 73.000 megawatt (36.000 MW fotovoltaico, 12.500 MW eolico su terra, 24.400 MW eolico in mare, per un totale di poco meno di 1.000 pratiche, dati Terna). Questo non è normale rispetto alle dimensioni effettive che il sistema elettrico può assumere, e neppure rispetto al territorio realmente occupabile. Terna, l’operatore della rete elettrica, oggi prevede 21 miliardi di euro di investimenti in 10 anni. Ebbene, il già impegnativo progetto Hypergrid di Terna prevede al 2030 in Sicilia un massimo di 5.000 MW di capacità di trasporto dell’energia in esportazione dalla Sicilia. Allora chi, come e quando stabilisce quali impianti potranno essere connessi e quali no, guardando all’insieme, dati i vincoli di rete? Ad oggi, Terna ha un obbligo legale di connessione degli impianti, salvo che vi siano impossibilità tecniche. Ma in questo modo il criterio è un misto tra «chi prima arriva meglio alloggia» e dinieghi motivati da vincoli tecnici. Si gestisce così un territorio? È stato il governo guidato da Mario Draghi ad aver lasciato a metà le cose, non approvando, nella scorsa estate, il decreto che doveva esattamente individuare i criteri omogenei per l’individuazione delle aree adatte (e non) per l’installazione delle fonti rinnovabili. Ma non c’è solo questo: in Italia la gran parte del consumo elettrico è e resterà al Nord, mentre gli impianti fotovoltaici sono più profittevoli (grazie alla maggiore producibilità) al Sud. In altri termini, a parità di investimento, un impianto fotovoltaico al Sud rende più di uno al Nord, dove però c’è il consumo. Allo stesso modo, la ventosità media in Italia non è entusiasmante e gli impianti si fanno dove c’è quella poca costanza di vento che rende un investimento sostenibile finanziariamente: ancora una volta, nel meridione d’Italia. Per cui è la rete di trasporto da Sud verso Nord a essere sollecitata e a richiedere ampliamenti, anche maggiori di quelli previsti sin qui da Terna, se è vero che il Green Deal richiede la quasi totale elettrificazione dei consumi energetici (no gas, no petrolio).Tra insensatezze come queste, costi esorbitanti, pianificazioni centralizzate, burocratizzazione e attacchi alla proprietà di terreni, case e auto, insomma, il Green Deal assomiglia sempre più a un Leviatano che tutto pretende e tutto divora.
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