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2025-02-10
L’esodo dei jihadisti palestinesi alza l’allerta terrorismo in Italia
(Getty Images)
Secondo un rapporto di Yoni Ben Menachem, analista diplomatico ed esperto di affari arabi per il Jerusalem center for security and foreign affairs (Jcfa), il Mossad israeliano si prepara a fronteggiare una delle sfide più impegnative del prossimo periodo: tenere sotto controllo e contrastare le attività di almeno 230 terroristi altamente pericolosi espulsi all’estero nell’ambito dell’intesa per il rilascio degli ostaggi e la tregua nella Striscia di Gaza. Questi militanti, inizialmente trasferiti in Egitto, Qatar e Turchia, potrebbero successivamente spostarsi in altre nazioni, tra cui l’Italia, aumentando il rischio di attacchi terroristici su scala internazionale.
A proposito del nostro Paese, a preoccupare gli inquirenti è la saldatura esistente tra i gruppi di estrema sinistra, i collettivi studenteschi e tutta la galassia pro Pal che è a disposizione dei jihadisti palestinesi. Secondo fonti investigative di alto livello consultate dalla Verità in città come Milano, Roma, Napoli, Torino, L’Aquila, Genova e Bari, solo per citarne alcune, gli uomini di Hamas possono contare su solidi rapporti. Altro aspetto interessante è quello relativo alle conversioni all’islam di alcuni esponenti dell’estrema sinistra violenta italiana, che oggi più che mai rappresentano una minaccia alla sicurezza nazionale visti i contatti con Hamas e gli Hezbollah. Timori anche in Germania, dove all’interno della massiccia diaspora libanese non mancano certo i fanatici e i criminali pronti a mettersi al servizio degli uomini di Hamas. Lo stesso vale per la comunità turca e quella araba arrivata in Germania nel corso di decenni di immigrazione incontrollata (e non), alla quale si è aggiunto l’esodo di rifugiati (1,5 milioni di persone) arrivati dopo la guerra civile siriana. Senza dimenticare la diaspora afghana che mille problemi sta creando alla sicurezza di Berlino, vedi i continui attentati messi in atto da lupi solitari provenienti dall’Afghanistan. Analoghi timori in Francia, Svezia, Olanda, Belgio, Norvegia e Danimarca, solo per citarne alcuni, dove agiscono anche gruppi criminali come la «Mocro Mafia» la mafia maghrebina-olandese che ha grande potenza di fuoco e capacità operative che possono tornare comode agli uomini di Hamas e Hezbollah, anche solo per la fornitura di armi e esplosivi da usare contro le sedi diplomatiche israeliane, sinagoghe e cittadini di religione ebraica.
Come detto, le autorità israeliane temono che molti di questi individui rilasciati in questi giorni possano tornare a organizzare operazioni contro Israele, tra cui attacchi a istituzioni ebraiche, rapimenti, traffico d’armi con l’Iran e la creazione di nuove reti terroristiche all’estero. Le statistiche fornite dall’Agenzia per la sicurezza israeliana delineano un quadro preoccupante: il 50% dei terroristi liberati all’estero nell’ambito dell’accordo per la scarcerazione del soldato Gilad Shalit nel 2011 ha ripreso attività terroristiche. Il dato è ancora più elevato per quelli rimasti in Cisgiordania, dove si registra un 80% di recidiva nelle operazioni ostili contro Israele. Secondo fonti dell’intelligence citate da Yoni Ben Menachem, la liberazione di questi militanti sta rafforzando l’infrastruttura operativa di Hamas, con un impatto diretto sulla leadership del gruppo all’estero.
Un esempio significativo è il cosiddetto «quartier generale della Cisgiordania» situato a Istanbul, che opera sotto la protezione del Millî Istihbarat Teşkilâti (l’Organizzazione di informazione nazionale, cioè l’intelligence turca) con il sostegno del presidente Recep Tayyip Erdogan, che ha consentito ad Hamas di usare il sistema bancario turco esattamente come fatto con l’Isis, che ha depositato nelle banche turche quello che resta del suo tesoro. Questa struttura coordina attacchi in Israele e nei territori palestinesi, con collegamenti diretti al massacro del 7 ottobre 2023. La guida di questa cellula è passata a Zaher al-Jabarin, figura di spicco dell’ala militare di Hamas, subentrato a Saleh al-Arouri dopo il suo assassinio a Beirut. A sua volta ex detenuto rilasciato con «l’accordo Shalit» del 2011, oggi al-Jabarin svolge un ruolo chiave nelle operazioni terroristiche contro lo Stato ebraico. Al-Jabarin è anche il principale intermediario tra Hamas e le Guardie rivoluzionarie iraniane, responsabile del coordinamento delle strategie per gli attacchi contro Israele dalla Cisgiordania. Inoltre, nel suo ruolo di direttore finanziario di Hamas, gestisce centinaia di milioni di dollari, finanziando operazioni terroristiche, tra cui l’attacco del 7 ottobre 2023. Il 4 gennaio 2024, il Wall Street Journal ha riferito che Al-Jabarin gestisce un ufficio a Istanbul e detiene partecipazioni in diverse società, tra cui quelle quotate alla Borsa turca. Inoltre Al-Jabarin è anche un esperto nella fabbricazione di ordigni esplosivi e cinture esplosive e ha svolto un ruolo chiave nell’assegnare a Yahya Ayyash il compito di orchestrare una serie di attentati suicidi, con l’obiettivo di sabotare gli Accordi di Oslo. Il monitoraggio delle attività terroristiche in Turchia rappresenta una delle questioni più delicate per il Mossad, che deve confrontarsi con un apparato di sicurezza turco altamente strutturato. Le azioni preventive in territorio turco risultano particolarmente difficili, rendendo più complesso per Israele neutralizzare i terroristi se non al di fuori delle zone protette. La deportazione su vasta scala comporta inoltre un’enorme pressione sui servizi segreti israeliani, che saranno costretti a intensificare la sorveglianza globale e a rafforzare la cooperazione con le agenzie di intelligence straniere per intercettare eventuali minacce terroristiche.
«Al Nord possono avere rifugio e assistenza»
Vincenzo Priolo è laureato in scienze politiche e relazioni internazionali e si è specializzato in materia di sicurezza e difesa.
L’intelligence israeliana ha lanciato l’allarme in merito ai detenuti palestinesi rilasciati. Questi jihadisti attraverso la Turchia possono arrivare in Europa e quindi in Italia. Ci dobbiamo preoccupare?
«Conoscendo le dinamiche del terrorismo di matrice islamista, sento di dover affermare che l’alert attivato dagli apparati di intelligence israeliano funge da base, nonché spunto centrale di riflessioni per coloro i quali si occupano, anche nel nostro Paese, a vario titolo di “sicurezza interna”. L’intelligence israeliana, così come tutti gli altri apparati europei, raccoglie e analizza dati continuamente, lo faceva prima e lo continua a fare a maggior ragione oggi. Questo perché c’è una seria necessità di monitorare la particolare situazione venutasi a creare, che è in continua metamorfosi. Quando si affronta un tema così complesso come il terrorismo si devono necessariamente attuare e pianificare attività volte alla prevenzione delle minacce tese a creare un sistema di difesa che oltrepassi le apparenze e che guardi le cose nel dettaglio, senza farsi condizionare da altri attori come i media o dalla politica estera di altri Paesi vicini».
Quali sono le rotte che possono seguire?
«Sono emersi in questi anni specifici indicatori che fanno ritenere l’area geografica dei Balcani come particolarmente esposta alla sfera d’azione terroristico-estremista di matrice jihadista che, soprattutto in seguito all’aggravarsi del conflitto in Medio Oriente, potrebbe rinnovare le proprie capacità operative anche in chiave antioccidentale. Non dico nulla di nuovo nell’affermare che le attività di contrasto poste in essere hanno consentito in passato alle nostre forze di polizia e ai servizi d’informazione di bloccare o monitorare soggetti legati ad ambienti del terrorismo estremistico di matrice religiosa provenienti dall’area balcanica e che quindi sono transitati anche dalla Turchia. È vero, l’immigrazione irregolare e il terrorismo, se mescolati, sollevano vari dilemmi, dando linfa alla percezione che lo spostamento delle persone sia una minaccia alla sicurezza nazionale e alle paure che i terroristi legati alle varie organizzazioni come Islamic state o Hamas sfruttino i flussi migratori per nascondersi».
Turchia e Grecia sono rotte centrali in questo traffico?
«Le rotte che possono seguire sono, per citarne una, dal Nord della Siria passando per il confine turco, proseguendo verso Ovest fino alla penisola di Bodrum, sulla costa della regione turca dell’Egeo. Qui avviene su gommoni ricolmi di migranti che partendo da Bodrum verso l’Europa, approdano sull’isola di Leros, come prima tappa, per poi proseguire verso Atene. Da Atene sono due le alternative: alcuni risalgono i Balcani prendendo la strada dei migranti, passando per Macedonia, Serbia e Croazia. Altri possono addirittura proseguire per Patrasso da dove si imbarcherebbero direttamente per Bari. Una volta approdati in Puglia, potrebbero spostarsi nel Nord Italia dove possono ricevere protezione, assistenza ed eventualmente cercare di arrivare in altri Paesi come Belgio, Francia o Germania. Una regia già vista e rivista che i nostri apparati di sicurezza conoscono perfettamente».
Scovarli e ucciderli: il piano in tre mosse degli 007 israeliani
«Sono morti che camminano». Così Jonathan Conricus, portavoce delle Forze di difesa israeliane (Idf), ha definito i leader di Hamas, sottolineando la ferrea determinazione di Israele espressa più volte dal premier Benjamin Netanyahu di individuare, catturare e uccidere tutti i capi del gruppo jihadista palestinese finanziato dall’Iran e dal Qatar. Tra i primi obiettivi dell’operazione israeliana, oltre ai capi di Hamas nella Striscia di Gaza e all’estero, figurano anche i vertici dell’unità d’élite di Hamas, «Nukhba Forces», come il capo dell’unità Billal al-Kedra ucciso in un blitz a Khan Younis il 15 ottobre 2023. L’unità d’élite Nukhba è composta da agenti selezionati dai vertici di Hamas. Specializzata in operazioni militari ad alto rischio, la formazione si occupa di imboscate, raid mirati e infiltrazioni nei tunnel che conducono in Israele. Tra le sue attività rientrano anche attacchi con missili anticarro, razzi e fucili di precisione. Oltre alle azioni sul campo, il commando ha il compito di garantire la sicurezza dei massimi dirigenti dell’organizzazione.
Le Forze di sicurezza israeliane (Isa) e l’Idf, durante gli oltre 470 giorni di guerra, hanno condotto operazioni che hanno portato all’eliminazione di decine di membri di Hamas e della Jihad Islamica. Subito dopo il massacro del 7 ottobre 2023, che ha visto circa 3.000 terroristi attaccare e uccidere civili e soldati israeliani, la leadership dell’Isa ha deciso di formare una task force dedicata, «Hamal Nili». Il nome deriva dall’acronimo ebraico del versetto «L’eternità di Israele non mentirà» (Samuele I, 15:29), che simboleggia la resilienza e l’incrollabile determinazione del popolo israeliano a vincere i propri nemici. L’iniziativa è nata dagli operatori sul campo dell’Isa e ha ricevuto l’approvazione del suo capo, Ronen Bar.
Le attuali operazioni di Israele ricordano la reazione seguita al massacro di Monaco del 1972. Dopo l’uccisione degli atleti israeliani da parte dell’organizzazione Settembre Nero, il Mossad avviò l’operazione «Ira di Dio», mirata a colpire i responsabili dell’attacco. L’operazione, approvata dall’allora pemier Golda Meir, si protrasse per quasi 20 anni, mirando all’eliminazione di figure di spicco del terrorismo palestinese. Tra i bersagli vi furono Ali Hassan Salameh, fondatore di Settembre Nero, Mahmoud Hamshari, Hussein Al-Shir - considerato il tramite tra Settembre Nero e il Kgb - oltre ad Abu Youssef, Kamel Adwan e Kamal Nasser. L’azione colpì anche personalità non direttamente coinvolte negli attentati ma contigue all’organizzazione, come l’intellettuale Wael Zwaiter, il primo a essere ammazzato a Roma da due agenti del Mossad.
Come ha scritto Yoni Ben Menachem, analista senior del Medio Oriente per il Jerusalem center, Hamal Nili opera in diverse fasi. Prima di tutto c’è la mappatura, ovvero l’identificazione dei terroristi che hanno partecipato al massacro usando fonti di intelligence; segue la loro localizzazione, quindi l’individuazione della loro posizione attraverso intercettazioni telematiche e telefoniche e altre attività tecniche. Una volta individuato l’obbiettivo, si procede alla sua eliminazione con operazioni mirate. Un alto funzionario dell’Isa ha sottolineato che questa missione serve a «chiudere un cerchio», sottolineando l’impegno dell’organizzazione a fare giustizia per le famiglie assassinate e per lo Stato di Israele. Secondo il funzionario, la task force rimarrà attiva fino a quando tutti i responsabili non saranno neutralizzati. Tra i molti terroristi eliminati finora ci sono Jihad Kahloot che ha comandato gli attacchi e i rapimenti nei pressi del kibbutz Mefalsim, Ahmed Wadia che ha guidato un raid con il parapendio e un massacro a Netiv HaAsara. E poi Muhammad Abu Atiwi, che ha comandato il massacro presso la camera di sicurezza sulla Route 232 a Reim e Majdi Akilan, un comandante coinvolto nel massacro del kibbutz Nahal Oz. Le eliminazioni hanno coinvolto membri dell’unità Nukhba, responsabili di ruoli chiave negli attacchi, oltre a individui coinvolti nel massacro del festival musicale Nova. A loro va aggiunto il terrorista di Hamas Muhammad Abu Aseed, filmato mentre rapiva la soldatessa israeliana Naama Levy, che è stato eliminato in un attacco di drone israeliano circa 4 mesi fa. La notizia dell’eliminazione di Abu Aseed non poteva essere pubblicata fino al ritorno di tutti e sette i soldati rapiti dal gruppo terroristico durante l’assalto del 7 ottobre.
Il numero preciso dei terroristi neutralizzati rimane incerto, a causa del carattere continuo delle operazioni e dei possibili tentativi di Hamas di occultare le eliminazioni dei propri membri. L’azione sistematica dell’Isa riflette la ferma determinazione di Israele nel rendere giustizia alle vittime e nel proteggere i suoi cittadini dalle future minacce, che fino a quando Hamas non sarà completamente annientato graveranno sullo Stato ebraico.
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Negli accordi per la tregua, Gerusalemme ha liberato 230 reduci di Hamas, finiti in Egitto, Turchia e Qatar. A preoccupare i nostri investigatori è la galassia pro Pal di estrema sinistra, che potrebbe dar loro asilo.L’esperto Vincenzo Priolo: «Arrivano dai Balcani o dalla città greca di Patrasso, seguendo le rotte dell’immigrazione».Dopo il 7 ottobre in Israele è stata creata una task force per eliminare tutti i responsabili delle stragi. Come dopo il massacro di Monaco ’72.Lo speciale contiene tre articoli.Secondo un rapporto di Yoni Ben Menachem, analista diplomatico ed esperto di affari arabi per il Jerusalem center for security and foreign affairs (Jcfa), il Mossad israeliano si prepara a fronteggiare una delle sfide più impegnative del prossimo periodo: tenere sotto controllo e contrastare le attività di almeno 230 terroristi altamente pericolosi espulsi all’estero nell’ambito dell’intesa per il rilascio degli ostaggi e la tregua nella Striscia di Gaza. Questi militanti, inizialmente trasferiti in Egitto, Qatar e Turchia, potrebbero successivamente spostarsi in altre nazioni, tra cui l’Italia, aumentando il rischio di attacchi terroristici su scala internazionale. A proposito del nostro Paese, a preoccupare gli inquirenti è la saldatura esistente tra i gruppi di estrema sinistra, i collettivi studenteschi e tutta la galassia pro Pal che è a disposizione dei jihadisti palestinesi. Secondo fonti investigative di alto livello consultate dalla Verità in città come Milano, Roma, Napoli, Torino, L’Aquila, Genova e Bari, solo per citarne alcune, gli uomini di Hamas possono contare su solidi rapporti. Altro aspetto interessante è quello relativo alle conversioni all’islam di alcuni esponenti dell’estrema sinistra violenta italiana, che oggi più che mai rappresentano una minaccia alla sicurezza nazionale visti i contatti con Hamas e gli Hezbollah. Timori anche in Germania, dove all’interno della massiccia diaspora libanese non mancano certo i fanatici e i criminali pronti a mettersi al servizio degli uomini di Hamas. Lo stesso vale per la comunità turca e quella araba arrivata in Germania nel corso di decenni di immigrazione incontrollata (e non), alla quale si è aggiunto l’esodo di rifugiati (1,5 milioni di persone) arrivati dopo la guerra civile siriana. Senza dimenticare la diaspora afghana che mille problemi sta creando alla sicurezza di Berlino, vedi i continui attentati messi in atto da lupi solitari provenienti dall’Afghanistan. Analoghi timori in Francia, Svezia, Olanda, Belgio, Norvegia e Danimarca, solo per citarne alcuni, dove agiscono anche gruppi criminali come la «Mocro Mafia» la mafia maghrebina-olandese che ha grande potenza di fuoco e capacità operative che possono tornare comode agli uomini di Hamas e Hezbollah, anche solo per la fornitura di armi e esplosivi da usare contro le sedi diplomatiche israeliane, sinagoghe e cittadini di religione ebraica. Come detto, le autorità israeliane temono che molti di questi individui rilasciati in questi giorni possano tornare a organizzare operazioni contro Israele, tra cui attacchi a istituzioni ebraiche, rapimenti, traffico d’armi con l’Iran e la creazione di nuove reti terroristiche all’estero. Le statistiche fornite dall’Agenzia per la sicurezza israeliana delineano un quadro preoccupante: il 50% dei terroristi liberati all’estero nell’ambito dell’accordo per la scarcerazione del soldato Gilad Shalit nel 2011 ha ripreso attività terroristiche. Il dato è ancora più elevato per quelli rimasti in Cisgiordania, dove si registra un 80% di recidiva nelle operazioni ostili contro Israele. Secondo fonti dell’intelligence citate da Yoni Ben Menachem, la liberazione di questi militanti sta rafforzando l’infrastruttura operativa di Hamas, con un impatto diretto sulla leadership del gruppo all’estero. Un esempio significativo è il cosiddetto «quartier generale della Cisgiordania» situato a Istanbul, che opera sotto la protezione del Millî Istihbarat Teşkilâti (l’Organizzazione di informazione nazionale, cioè l’intelligence turca) con il sostegno del presidente Recep Tayyip Erdogan, che ha consentito ad Hamas di usare il sistema bancario turco esattamente come fatto con l’Isis, che ha depositato nelle banche turche quello che resta del suo tesoro. Questa struttura coordina attacchi in Israele e nei territori palestinesi, con collegamenti diretti al massacro del 7 ottobre 2023. La guida di questa cellula è passata a Zaher al-Jabarin, figura di spicco dell’ala militare di Hamas, subentrato a Saleh al-Arouri dopo il suo assassinio a Beirut. A sua volta ex detenuto rilasciato con «l’accordo Shalit» del 2011, oggi al-Jabarin svolge un ruolo chiave nelle operazioni terroristiche contro lo Stato ebraico. Al-Jabarin è anche il principale intermediario tra Hamas e le Guardie rivoluzionarie iraniane, responsabile del coordinamento delle strategie per gli attacchi contro Israele dalla Cisgiordania. Inoltre, nel suo ruolo di direttore finanziario di Hamas, gestisce centinaia di milioni di dollari, finanziando operazioni terroristiche, tra cui l’attacco del 7 ottobre 2023. Il 4 gennaio 2024, il Wall Street Journal ha riferito che Al-Jabarin gestisce un ufficio a Istanbul e detiene partecipazioni in diverse società, tra cui quelle quotate alla Borsa turca. Inoltre Al-Jabarin è anche un esperto nella fabbricazione di ordigni esplosivi e cinture esplosive e ha svolto un ruolo chiave nell’assegnare a Yahya Ayyash il compito di orchestrare una serie di attentati suicidi, con l’obiettivo di sabotare gli Accordi di Oslo. Il monitoraggio delle attività terroristiche in Turchia rappresenta una delle questioni più delicate per il Mossad, che deve confrontarsi con un apparato di sicurezza turco altamente strutturato. Le azioni preventive in territorio turco risultano particolarmente difficili, rendendo più complesso per Israele neutralizzare i terroristi se non al di fuori delle zone protette. La deportazione su vasta scala comporta inoltre un’enorme pressione sui servizi segreti israeliani, che saranno costretti a intensificare la sorveglianza globale e a rafforzare la cooperazione con le agenzie di intelligence straniere per intercettare eventuali minacce terroristiche.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/jihad-palestinese-2671125662.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="al-nord-possono-avere-rifugio-e-assistenza" data-post-id="2671125662" data-published-at="1739177713" data-use-pagination="False"> «Al Nord possono avere rifugio e assistenza» Vincenzo Priolo è laureato in scienze politiche e relazioni internazionali e si è specializzato in materia di sicurezza e difesa. L’intelligence israeliana ha lanciato l’allarme in merito ai detenuti palestinesi rilasciati. Questi jihadisti attraverso la Turchia possono arrivare in Europa e quindi in Italia. Ci dobbiamo preoccupare? «Conoscendo le dinamiche del terrorismo di matrice islamista, sento di dover affermare che l’alert attivato dagli apparati di intelligence israeliano funge da base, nonché spunto centrale di riflessioni per coloro i quali si occupano, anche nel nostro Paese, a vario titolo di “sicurezza interna”. L’intelligence israeliana, così come tutti gli altri apparati europei, raccoglie e analizza dati continuamente, lo faceva prima e lo continua a fare a maggior ragione oggi. Questo perché c’è una seria necessità di monitorare la particolare situazione venutasi a creare, che è in continua metamorfosi. Quando si affronta un tema così complesso come il terrorismo si devono necessariamente attuare e pianificare attività volte alla prevenzione delle minacce tese a creare un sistema di difesa che oltrepassi le apparenze e che guardi le cose nel dettaglio, senza farsi condizionare da altri attori come i media o dalla politica estera di altri Paesi vicini». Quali sono le rotte che possono seguire? «Sono emersi in questi anni specifici indicatori che fanno ritenere l’area geografica dei Balcani come particolarmente esposta alla sfera d’azione terroristico-estremista di matrice jihadista che, soprattutto in seguito all’aggravarsi del conflitto in Medio Oriente, potrebbe rinnovare le proprie capacità operative anche in chiave antioccidentale. Non dico nulla di nuovo nell’affermare che le attività di contrasto poste in essere hanno consentito in passato alle nostre forze di polizia e ai servizi d’informazione di bloccare o monitorare soggetti legati ad ambienti del terrorismo estremistico di matrice religiosa provenienti dall’area balcanica e che quindi sono transitati anche dalla Turchia. È vero, l’immigrazione irregolare e il terrorismo, se mescolati, sollevano vari dilemmi, dando linfa alla percezione che lo spostamento delle persone sia una minaccia alla sicurezza nazionale e alle paure che i terroristi legati alle varie organizzazioni come Islamic state o Hamas sfruttino i flussi migratori per nascondersi». Turchia e Grecia sono rotte centrali in questo traffico? «Le rotte che possono seguire sono, per citarne una, dal Nord della Siria passando per il confine turco, proseguendo verso Ovest fino alla penisola di Bodrum, sulla costa della regione turca dell’Egeo. Qui avviene su gommoni ricolmi di migranti che partendo da Bodrum verso l’Europa, approdano sull’isola di Leros, come prima tappa, per poi proseguire verso Atene. Da Atene sono due le alternative: alcuni risalgono i Balcani prendendo la strada dei migranti, passando per Macedonia, Serbia e Croazia. Altri possono addirittura proseguire per Patrasso da dove si imbarcherebbero direttamente per Bari. Una volta approdati in Puglia, potrebbero spostarsi nel Nord Italia dove possono ricevere protezione, assistenza ed eventualmente cercare di arrivare in altri Paesi come Belgio, Francia o Germania. Una regia già vista e rivista che i nostri apparati di sicurezza conoscono perfettamente». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/jihad-palestinese-2671125662.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="scovarli-e-ucciderli-il-piano-in-tre-mosse-degli-007-israeliani" data-post-id="2671125662" data-published-at="1739177713" data-use-pagination="False"> Scovarli e ucciderli: il piano in tre mosse degli 007 israeliani «Sono morti che camminano». Così Jonathan Conricus, portavoce delle Forze di difesa israeliane (Idf), ha definito i leader di Hamas, sottolineando la ferrea determinazione di Israele espressa più volte dal premier Benjamin Netanyahu di individuare, catturare e uccidere tutti i capi del gruppo jihadista palestinese finanziato dall’Iran e dal Qatar. Tra i primi obiettivi dell’operazione israeliana, oltre ai capi di Hamas nella Striscia di Gaza e all’estero, figurano anche i vertici dell’unità d’élite di Hamas, «Nukhba Forces», come il capo dell’unità Billal al-Kedra ucciso in un blitz a Khan Younis il 15 ottobre 2023. L’unità d’élite Nukhba è composta da agenti selezionati dai vertici di Hamas. Specializzata in operazioni militari ad alto rischio, la formazione si occupa di imboscate, raid mirati e infiltrazioni nei tunnel che conducono in Israele. Tra le sue attività rientrano anche attacchi con missili anticarro, razzi e fucili di precisione. Oltre alle azioni sul campo, il commando ha il compito di garantire la sicurezza dei massimi dirigenti dell’organizzazione. Le Forze di sicurezza israeliane (Isa) e l’Idf, durante gli oltre 470 giorni di guerra, hanno condotto operazioni che hanno portato all’eliminazione di decine di membri di Hamas e della Jihad Islamica. Subito dopo il massacro del 7 ottobre 2023, che ha visto circa 3.000 terroristi attaccare e uccidere civili e soldati israeliani, la leadership dell’Isa ha deciso di formare una task force dedicata, «Hamal Nili». Il nome deriva dall’acronimo ebraico del versetto «L’eternità di Israele non mentirà» (Samuele I, 15:29), che simboleggia la resilienza e l’incrollabile determinazione del popolo israeliano a vincere i propri nemici. L’iniziativa è nata dagli operatori sul campo dell’Isa e ha ricevuto l’approvazione del suo capo, Ronen Bar. Le attuali operazioni di Israele ricordano la reazione seguita al massacro di Monaco del 1972. Dopo l’uccisione degli atleti israeliani da parte dell’organizzazione Settembre Nero, il Mossad avviò l’operazione «Ira di Dio», mirata a colpire i responsabili dell’attacco. L’operazione, approvata dall’allora pemier Golda Meir, si protrasse per quasi 20 anni, mirando all’eliminazione di figure di spicco del terrorismo palestinese. Tra i bersagli vi furono Ali Hassan Salameh, fondatore di Settembre Nero, Mahmoud Hamshari, Hussein Al-Shir - considerato il tramite tra Settembre Nero e il Kgb - oltre ad Abu Youssef, Kamel Adwan e Kamal Nasser. L’azione colpì anche personalità non direttamente coinvolte negli attentati ma contigue all’organizzazione, come l’intellettuale Wael Zwaiter, il primo a essere ammazzato a Roma da due agenti del Mossad. Come ha scritto Yoni Ben Menachem, analista senior del Medio Oriente per il Jerusalem center, Hamal Nili opera in diverse fasi. Prima di tutto c’è la mappatura, ovvero l’identificazione dei terroristi che hanno partecipato al massacro usando fonti di intelligence; segue la loro localizzazione, quindi l’individuazione della loro posizione attraverso intercettazioni telematiche e telefoniche e altre attività tecniche. Una volta individuato l’obbiettivo, si procede alla sua eliminazione con operazioni mirate. Un alto funzionario dell’Isa ha sottolineato che questa missione serve a «chiudere un cerchio», sottolineando l’impegno dell’organizzazione a fare giustizia per le famiglie assassinate e per lo Stato di Israele. Secondo il funzionario, la task force rimarrà attiva fino a quando tutti i responsabili non saranno neutralizzati. Tra i molti terroristi eliminati finora ci sono Jihad Kahloot che ha comandato gli attacchi e i rapimenti nei pressi del kibbutz Mefalsim, Ahmed Wadia che ha guidato un raid con il parapendio e un massacro a Netiv HaAsara. E poi Muhammad Abu Atiwi, che ha comandato il massacro presso la camera di sicurezza sulla Route 232 a Reim e Majdi Akilan, un comandante coinvolto nel massacro del kibbutz Nahal Oz. Le eliminazioni hanno coinvolto membri dell’unità Nukhba, responsabili di ruoli chiave negli attacchi, oltre a individui coinvolti nel massacro del festival musicale Nova. A loro va aggiunto il terrorista di Hamas Muhammad Abu Aseed, filmato mentre rapiva la soldatessa israeliana Naama Levy, che è stato eliminato in un attacco di drone israeliano circa 4 mesi fa. La notizia dell’eliminazione di Abu Aseed non poteva essere pubblicata fino al ritorno di tutti e sette i soldati rapiti dal gruppo terroristico durante l’assalto del 7 ottobre. Il numero preciso dei terroristi neutralizzati rimane incerto, a causa del carattere continuo delle operazioni e dei possibili tentativi di Hamas di occultare le eliminazioni dei propri membri. L’azione sistematica dell’Isa riflette la ferma determinazione di Israele nel rendere giustizia alle vittime e nel proteggere i suoi cittadini dalle future minacce, che fino a quando Hamas non sarà completamente annientato graveranno sullo Stato ebraico.
A dirlo è l’Unctad (United nations conference on trade and development), l’organismo dell’Onu che si occupa di commercio e sviluppo, secondo cui le misure tariffarie e le politiche industriali stanno cambiando la geografia degli scambi più di quanto ne stiano riducendo l’ammontare complessivo.
Il 2024 ha rappresentato, infatti, un punto di svolta dopo la debolezza del 2023. L’organizzazione della Nazioni Unite ha registrato per il 2024 un valore record di circa 33 trilioni di dollari di scambi globali di beni e servizi, con una crescita intorno al 3,7% (circa +1,2 trilioni). La componente servizi ha guidato l’espansione: +9% nell’anno, con un contributo di circa 700 miliardi, pari a quasi il 60% della crescita totale; i beni sono saliti di circa il 2% (+500 miliardi).
Il 2025, inoltre, consolida il quadro. Nell’aggiornamento di dicembre, Unctad stima che il commercio mondiale supererà per la prima volta i 35 trilioni di dollari, con un aumento di circa 2,2 trilioni, ossia circa il 7% in più rispetto al 2024. Di questa crescita, circa 1,5 trilioni verrebbero dai beni e circa 750 miliardi dai servizi, attesi in aumento vicino al 9%. Per il quarto trimestre 2025, la crescita rimane positiva ma più moderata: circa lo 0,5% in più per i beni e il 2% per i servizi. Nel 2026, invece, la stima è di un rallentamento causato da tensioni geopolitiche, conflitti e costi crescenti (tra cui i dazi).
Ma come i dazi hanno allora influenzato i commerci mondiali? Unctad osserva che la frammentazione geopolitica sta rimodellando i flussi e che friendshoring (delocalizzazione verso Paesi considerati amici) e nearshoring (spostamento verso Stati vicini a quello di origine) stanno rafforzandosi.
In parallelo, la crescita dei servizi rende il sistema meno vulnerabile alle tariffe sui beni. I servizi digitali, professionali e legati alle catene manifatturiere avanzate sono più scalabili, spesso regolati da standard e da norme di mercato più che da dazi doganali, e trovano domanda in fasi del ciclo economico diverse rispetto alle merci tradizionali. L’aumento più rapido dei servizi nel 2024 e nel 2025 è coerente con questa trasformazione del mix commerciale.
Unctad segnala anche un passaggio dalla crescita «di prezzo» a una crescita più «di volume» verso fine 2025: dopo due trimestri sostenuti anche da prezzi più alti, le quotazioni dei beni scambiati dovrebbero calare, e l’espansione sarà trainata maggiormente dalle quantità effettivamente commerciate.
Un ulteriore elemento di tenuta è il protagonismo delle economie in via di sviluppo. Unctad evidenzia che nel 2024 le economie emergenti hanno sostenuto gran parte della dinamica e che gli scambi Sud-Sud hanno continuato a crescere. Nel 2025 questa tendenza si è rafforzata: Asia orientale e Africa risultano tra le principali aree commerciali, mentre gli scambi tra Paesi in via di sviluppo hanno mostrato un’espansione più rapida della media globale.
I dati Unctad, insomma, non raccontano la fine della globalizzazione, ma la sua ricalibrazione. La crescita degli scambi convive con dazi più alti perché il commercio si sta spostando a Oriente, incorporando una quota crescente di servizi.
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Ursula von der Leyen (Ansa)
Per quanto riguarda, invece, la direttiva sulla rendicontazione della sostenibilità aziendale (Csrd), che impone alle aziende di comunicare il proprio impatto ambientale e sociale, l’accordo prevede si applichi solo alle aziende con più di 1.000 dipendenti e un fatturato netto annuo di 450 milioni di euro.
Con le modifiche decise due giorni fa, l’80% delle aziende che sarebbero state soggette alla norma saranno ora liberate dagli obblighi. Festeggia Ursula von der Leyen: «Accolgo con favore l’accordo politico sul pacchetto di semplificazione Omnibus I. Con un risparmio fino a 4,5 miliardi di euro ridurrà i costi amministrativi, taglierà la burocrazia e renderà più semplice il rispetto delle norme di sostenibilità», ha detto il presidente della Commissione.
In un comunicato stampa, la Commissione dice: «Le misure proposte per ridurre l’ambito di applicazione della Csrd genereranno notevoli risparmi sui costi per le aziende. Le modifiche alla Csddd eliminano inutili complessità e, in ultima analisi, riducono gli oneri di conformità, preservando al contempo gli obiettivi della direttiva».
Dunque, ricapitolando, la revisione libera dall’obbligo di conformità l’80% dei soggetti obbligati dalla vecchia norma, il che significa evidentemente che per l’80% dei casi quella norma era inutile, anzi dannosa, visto che comportava costi ingenti per il suo rispetto e nessuna utilità pratica. Se vi fosse stata una qualche utilità la norma sarebbe rimasta anche per questi, è chiaro.
Non solo. Von der Leyen si rallegra di avere fatto risparmiare 4,5 miliardi di euro, come se a scaricare quella montagna di costi sulle aziende fosse stato qualcun altro o il destino cinico e baro, e non la norma che lei stessa e la sua maggioranza hanno voluto. La Commissione si rallegra di aver semplificato cose che essa stessa ha complicato, di avere tolto burocrazia dopo averla messa.
In questa commedia si potrebbe sospettare una regia di Eugène Ionesco, se fosse ancora vivo. La verità è che già la scorsa primavera, Germania e Francia avevano chiesto l’abrogazione completa delle norme. Nelle dichiarazioni a seguito dell’accordo tra Consiglio Ue e Parlamento, con la benedizione della Commissione, non è da meno il sagace ministro danese dell’Industria, Morten Bodskov (la Danimarca ha la presidenza di turno del Consiglio Ue): «Non stiamo rimuovendo gli obiettivi green, stiamo rendendo più semplice raggiungerli. Pensavamo che legislazione verde più complessa avrebbe creato più posti di lavoro green, ma non è così: anzi, ha generato lavoro per la contabilità». C’è da chiedersi se da quelle parti siano davvero sorpresi dell’effetto negativo generato dall’imposizione di inutile burocrazia sulle aziende. Sul serio a Bruxelles qualcuno pensa che complicare la vita alle imprese generi posti di lavoro? Sono dichiarazioni ben più che preoccupanti.
Fine di un incubo per migliaia di aziende europee, dunque, ma i problemi restano, essendo la norma di difficile applicazione pratica anche per le multinazionali. Sulla revisione delle due direttive hanno giocato certamente un ruolo le pressioni degli Stati Uniti, dopo che Donald Trump a più riprese ha sottolineato come vi siano barriere non di prezzo all’ingresso nel mercato europeo che devono essere eliminate. Due di queste barriere sono proprio le direttive Csrd e Csddd, che restano in vigore per le grandi aziende. Non a caso, il portavoce dell’azienda americana del petrolio Exxon Mobil ha fatto notare che si tratta di norme extraterritoriali, definendole «inaccettabili», mentre l’ambasciatore americano presso l’Ue, Andrew Puzder ha detto che le norme rendono difficile la fornitura all’Europa dell’energia di cui ha bisogno.
La sensazione è che si vada verso un regime di esenzioni ad hoc, si vedrà. Ma i lamenti arrivano anche dalla parte opposta. La finanza green brontola perché teme un aumento dei rischi, senza i piani climatici delle aziende, che però nessuno sinora ha mai visto. Misteri degli algoritmi Esg.
Ora le modifiche, che fanno parte del pacchetto Omnibus I presentato lo scorso febbraio dalla Commissione, dovranno essere approvate dal Consiglio Ue, dove votano i ministri e dove non dovrebbe incontrare ostacoli, e dal Parlamento europeo, dove invece è possibile qualche sorpresa nel voto. La posizione del Parlamento che ha portato all’accordo di martedì è frutto di una intesa tra i popolari del Ppe e la destra dei Patrioti e di Ecr. Il gruppo dei Patrioti esulta, sottolineando come l’accordo sia frutto di una nuova maggioranza di centrodestra che rende superata la maggioranza attuale tra Ppe, Renew e Socialisti.
Il risvolto politico della vicenda è che si è rotto definitivamente il «cordone sanitario» steso a Bruxelles attorno al gruppo che comprende il Rassemblement national francese di Marine Le Pen, il partito ungherese Fidesz e la Lega di Matteo Salvini.
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Giancarlo Giorgetti (Ansa)
La Bce, pur riconoscendo «alcune novità (nel testo riformulato) che vanno incontro alle osservazioni precedenti», in particolare «il rispetto degli articoli del trattato sulla gestione delle riserve auree dei Paesi», continua ad avere «dubbi sulla finalità della norma». Con la lettera, Giorgetti rassicura che l’emendamento non mira a spianare la strada al trasferimento dell’oro o di altre riserve in valuta fuori del bilancio di Bankitalia e non contiene nessun escamotage per aggirare il divieto per le banche centrali di finanziare il settore pubblico.
Il ministro potrebbe inoltre fornire un ulteriore chiarimento direttamente alla presidente Lagarde, oggi, quando i due si incontreranno per i lavori dell’Eurogruppo. Se la Bce si riterrà soddisfatta delle precisazioni, il ministero dell’Economia darà indicazioni per riformulare l’emendamento.
Una nota informativa di Fdi, smonta i pregiudizi ideologici e le perplessità che sono dietro alla nota della Bce. «L’emendamento proposto da Fratelli d’Italia è volto a specificare un concetto che dovrebbe essere condiviso da tutti: ovvero che le riserve auree sono di proprietà dei popoli che le hanno accumulate negli anni, e quindi», si legge, «si tratta di una previsione che tutti danno per scontata. Eppure non è mai stata codificata nell’ordinamento italiano, a differenza di quanto è avvenuto in altri Stati, anche membri dell’Ue. Affermare che la proprietà delle riserve auree appartenga al popolo non confligge, infatti, in alcun modo con i trattati e i regolamenti europei». Quindi ribadire un principio scontato, e cioè che le riserve auree sono di proprietà del popolo italiano, non mette in discussione l’indipendenza della Banca d’Italia, né viola i trattati europei. «Già nel 2019 la Bce, allora guidata da Mario Draghi, aveva chiarito che la questione della proprietà legale e delle competenze del Sistema europeo delle banche centrali (Sebc), con riferimento alle riserve auree degli Stati membri, è definita in ultima istanza dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue)». La nota ricorda che «il parere della Bce del 2019, analogamente a quello redatto lo scorso 2 dicembre, evidenziava che il Trattato non determina le competenze del Sebc e della Bce rispetto alle riserve ufficiali, usando il concetto di proprietà. Piuttosto, il Trattato interviene solo sulla dimensione della detenzione e gestione esclusiva delle riserve. Pertanto, dire che la proprietà delle riserve auree sia del popolo italiano non lede in alcun modo la prerogativa della Banca d’Italia di detenere e gestire le riserve».
Altro punto: Fdi spiega che «nel Tfue (Trattato sul funzionamento dell’Ue) si parla di “riserve ufficiali in valuta estera degli Stati membri”, quindi si prevede implicitamente che la proprietà delle riserve sia in capo agli Stati. L’emendamento di Fdi vuole esplicitare nell’ordinamento italiano questa previsione». C’è chi sostiene che affermare che la proprietà delle riserve auree di Bankitalia è del popolo italiano non serva a nulla. Ma Fdi dice che «l’Italia non può correre il rischio che soggetti privati rivendichino diritti sulle riserve auree degli italiani. Per questo c’è bisogno di una norma che faccia chiarezza sulla proprietà».
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Con Giuseppe Trizzino fondatore e Amministratore Unico di Praesidium International, società italiana di riferimento nella sicurezza marittima e nella gestione dei rischi in aree ad alta criticità e Stefano Rákos Manager del dipartimento di intelligence di Praesidium International e del progetto M.A.R.E.™.