2018-09-20
J-Ax fa l’inno hip hop alla provetta. Ma il «diritto al figlio» non esiste
Il rapper prova a commuovere i fan con una canzone in cui racconta la sua storia personale di procreazione assistita. Sognando una società dei desideri realizzati che sembra un incubo. Innanzitutto per i bambini.«E ti porterò lontano/ con la forza di un missile/ Ti prenderò per mano/ ti porterò a giocare su un prato». Anche i rapper hanno un'anima e J-Ax con queste strofe sta parlando a suo figlio. Si chiama Nicolas, ha un anno e mezzo, nel video lui lo stringe forte e per lui ha gettato via il telefonino. Come ripetono in tutte le salse i genitori dai tempi di Noè (e con quintali di ragioni, parola di testimone), quel cucciolo «ha l'abilità di cambiarmi l'umore soltanto facendo un sorriso». La canzone s'intitola Tutto tua madre, è sufficientemente melodica e banale per entrare in classifica. E ha una caratteristica imprescindibile per restarci: titilla i buoni sentimenti progressisti essendo un inno alla procreazione assistita in tutte le sue forme, fino alla genitorialità gay.Alessandro Aleotti è un uomo intelligente e conosce le regole del marketing, forse per questo ha voluto spiegare con chiarezza in un lungo post su Instagram le scelte di principio, le motivazioni forti dietro il brano che racconta la sua storia personale. Il desiderio di maternità e paternità, le delusioni, la paura che la vana attesa fosse una punizione divina e poi il ricorso alla fecondazione assistita per raggiungere la felicità. «In Italia siamo in tantissimi», scrive J-Ax, «ma per qualcuno siamo troppi. Dovremmo essere zero. Leggiamo spesso di iniziative che questo governo vorrebbe prendere contro la fecondazione assistita e tante altre procedure che aiutano decine di migliaia di coppie italiane a creare una famiglia insieme. Trovo assurdo che un governo fatto, almeno per la parte più gialla, di persone che ho sempre rispettato e ammirato per la scelta di portare avanti principi di libertà e giustizia possa rendersi artefice di un'ingiustizia simile. Anche perché di certo non è una scelta di nessuno trovarsi in una situazione così».Il sermone del rapper, che obiettivamente toglie forza anziché aggiungerne al messaggio della canzone, è teso a picconare i cardini della famiglia naturale per affermare un diritto che in natura non esiste, quello di procreare a tutti i costi. Di comprare un'emozione, certamente più totalizzante di un caffè da Starbucks Milano, al supermarket della vita. E su questo equivoco della società dei desideri realizzati come capricci, il coautore (con Fedez) di Comunisti col Rolex costruisce la sua sgangherata filosofia.«Si tratta di qualcosa che colpisce tutti trasversalmente senza favoritismi o pregiudizi: destra, sinistra, leghisti, comunisti, grillini e gente che si nutre solo del proprio respiro. Per questo motivo prima di andare fino in fondo e negare a centinaia di migliaia di italiani il diritto di avere un figlio, vi chiedo un piccolo gesto di empatia: come vi sentireste voi se da un momento all'altro il rumore del respiro e le risate del vostro bambino sparissero? Quel vuoto è quello che vivono tanti italiani come voi. Quel vuoto, tanti non desiderano altro che colmarlo con l'amore. E l'amore voi, o chiunque altro, non avete il diritto di fermarlo».Fecondazione eterologa, utero in affitto, diritti dei genitori, mai della madre naturale e di quel bambino che ci mangia gli occhi, ma proprio per questo non è né un giocattolo, né un bene di consumo. Facile cantare e sentirsi appagati. Ma avere figli non è un diritto; è certamente un desiderio legittimo, nobile, che ci avvia verso un'esperienza di felicità, ma che non sempre la natura ci concede. Il tema è delicato e affrontarlo come se un bambino fosse un oggetto di consumo è superficiale, porta inevitabilmente alle aberrazioni del turismo procreativo in voga di questi tempi: listino prezzi su cataloghi online, foto con i tratti somatici e test attitudinale del donatore allegato, banche del seme a cinque stelle, fiere della riproduzione organizzate per gay come quella di Bruxelles. Perché allora, visto che ci siamo, il figlio lo voglio sano, lo voglio bello, lo voglio con gli occhi azzurri. È soltanto amore o un passo verso lo scientismo procreativo da dottor Josef Mengele?No, dai tempi di re Salomone un figlio è un dono e non un diritto. È comprensibile il rifiuto e lo sconcerto davanti a un simile concetto da parte di un mondo abituato a ottenere tutto, a riprodurre artificialmente nel tinello di casa non solo lo spot tv del Mulino Bianco ma anche la paternità. E non si tratta di un arroccamento cattolico da Sentinella in piedi. Per carità, rimaniamo tutti comodamente seduti a leggere ciò che ci pare perché il tema non ha niente a che vedere con la morale cattolica, con la facile contrapposizione fra «laici moderni e cattolici oscurantisti». Qui è in gioco l'idea che una società ha dell'essere umano. In fondo, di quel bambino. Lo spiegava qualche tempo fa un filosofo di estrazione marxista (quindi non passibile di conservatorismo retrivo) come Giuseppe Vacca: «Come si fa a dire che avere un figlio è un diritto? Come si può pensare a declinare tutto nella chiave della libertà individuale, come se ciò che accade prescindesse dal modo in cui si compongono le volontà e le coscienze dei gruppi umani? Così la sinistra subisce una deriva nichilista». «E ti porterò lontano/ con la forza di un missile». Caro J-Ax, sono sicuro che lei sarà felice ogniqualvolta incontrerà con lo sguardo il suo Nicolas. E noi lo siamo con lei nell'intuire, dentro una clip piena di tenerezza, una famiglia. Ma vorremmo che fra qualche anno, durante una delle vostre passeggiate a telefonino spento, provasse a mettersi di fronte a lui e a dirgli, prendendolo per le spalle: «Tu sei un mio diritto». Poi, se vorrà, ci faccia sapere la sensazione di tutti e due.