2022-01-05
Iveco sale sull’ottovolante in Borsa. Mentre Tesla galoppa a +13%
I listini fotografano la rivoluzione in corso. Dopo la scissione da Cnh, il gruppo italiano prima perde il 9%, poi rimbalza. Il marchio americano invece macina record e supera i 1.000 miliardi di capitalizzazione.Cambiano i ruoli da protagonista sul mercato dell’automotive. Il 3 gennaio, nel primo giorno di quotazione a Piazza Affari dopo la scissione da Cnh (in relazione alla quale Iveco group ha sottoscritto un finanziamento sindacato da 1,9 miliardi), il gruppo dei camion Iveco ieri ha perso oltre il 9% e sono stati diffusi i dati sulle immatricolazioni di auto calate di quasi il 24% rispetto al 2019. Nello stesso giorno, Tesla ha guadagnato oltre il 13% dopo aver stupito gli investitori con i numeri delle sue consegne di auto elettriche: oltre 308.000 nell’ultimo trimestre e oltre 936.000 in tutto il 2021. Nel 2021, il titolo del colosso di Elon Musk ha guadagnato circa il 50%, superando i 1.000 miliardi di dollari di capitalizzazione per la prima volta alla fine di ottobre. Per capirsi, Tesla vale più di General motors, Toyota, Ford, Volkswagen, Bmw e Honda messe insieme. Nel frattempo, la giapponese Toyota ha venduto 2,332 milioni di veicoli negli Stati Uniti nel 2021, rispetto ai 2,218 milioni di General motors che perde così dopo 90 anni lo scettro delle vendite negli Usa (era in vetta dal 1931).Ma torniamo alla Borsa. Ieri il titolo Iveco si è rimesso in carreggiata con un rimbalzo del 5,9% grazie anche agli acquisiti trainati dai fondi e dalle speculazioni sull’eventuale scorporo della parte civile dei furgoni che potrebbe essere preceduto da un raggruppamento sotto il marchio Astra di tutte le attività non strettamente stradali, quindi anche quelle militari. I cinesi di Faw, che hanno già tentato invano due volte di comprare l’intero gruppo, potrebbero essere ancora interessati a entrare nella partita sul civile per prendere il controllo della rete capillare di vendita e assistenza post vendita già fatta che a Pechino manca. Ed è proprio l’interesse del Dragone a preoccupare il governo italiano che difficilmente potrà esercitare il golden power per schivare una possibile terza mossa sulla supply chain che dopo l’Ipo è comunque più complicata. Nel perimetro di Iveco ci sono i veicoli commerciali Iveco, i marchi del segmento autobus, la partecipazione in Nikola, i veicoli Iveco Astra per il settore cave e miniere, i mezzi per il settore militare Iveco defence e antincendio Magirus, fino al business del Powertrain di Fpt industrial (in prima linea, dal punto di vista industriale, sul fronte della transizione alle forme di mobilità alternativa, dall’elettrico al metano). Secondo gli analisti di Equita la società ha le risorse per rilanciarsi, ma l’M&A è fondamentale per accelerare. Rispetto ai concorrenti, secondo i broker, Iveco al momento è molto più piccola e meno diversificata geograficamente. Da un lato questo impone multipli inferiori rispetto agli altri costruttori, ma dall’altro spinge Iveco verso operazioni di fusione o acquisizione e rumors passati e recenti, ad esempio Faw e Daimler, vanno in questa direzione. Non solo. Gli analisti interpretano anche la recente riduzione della quota nella joint venture cinese con Saic (dal 50 al 20%) come una mossa per avere mani libere per nuovi deal in Asia. E proprio in Cina si sta muovendo la Tesla di Musk che ha annunciato l’apertura di uno showroom nello Xinjiang, l’area in cui Pechino è accusata di abusi dei diritti umani sugli uiguri. Nelle scorse settimane il presidente americano Joe Biden ha firmato un provvedimento bipartisan che vieta l’import di prodotti dalla regione a meno che le aziende non siano in grado di dimostrare che i materiali usati non sono frutto di lavoro forzato e gli Usa hanno anche annunciato per primi il boicottaggio diplomatico delle Olimpiadi di Pechino 2022. Musk si è così attirato le critiche degli attivisti. E in particolare di Human rights watch. «Elon Musk e i suoi dirigenti a Tesla devono considerare i diritti umani in Xinjiang o rischiano di essere complici», ha dichiarato Sophie McNeill, ricercatrice di Human rights watch in Australia, citata dal Guardian. Critiche sono arrivate anche dal Council on american islamic relations che ha chiesto la chiusura immediata dello showroom, equiparandolo a una sorta di «sostegno economico al genocidio», accusa spesso rivolta al governo cinese per la repressione nella regione Nord Occidentale. Lo Xinjiang è uno dei punti di attrito tra Stati Uniti e Cina: Pechino nega gli abusi dei diritti umani ai danni degli uiguri, giustificando le proprie politiche come necessarie per sradicare il terrorismo e l’estremismo religioso. La Cina è uno dei mercati maggiori per Tesla e la prima fabbrica fuori dagli Usa del marchio è stata aperta a Shanghai nel 2019. Intanto, nel 2021 l’azienda ha venduto nel mondo oltre 936.000 vetture, con un incremento dell’87%, e punta ad aumentare le consegne annue mediamente del 50 %. L’espansione del gruppo arriva in un anno di crescita tiepida per l’industria globale dell’auto, messa a dura prova dalle strozzature della catena di fornitura e dalla carenza di chip. Tesla ha potuto contare su una supply chain più integrata verticalmente rispetto ai concorrenti, e grazie alle sue radici nella Silicon Valley è riuscita a riscrivere velocemente il software necessario per integrare chip alternativi nei suoi veicoli.