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2023-09-29
L’Italia si scontra con Berlino e blocca i giochini Ue sulle Ong
Il ministro degli Esteri tedesco Annalena Baerbock e Antonio Tajani (Getty Images)
Il chiarimento, per esserci, c’è stato, ma di certo non nel senso che il nostro Paese sperava. Al contrario, la missione diplomatica del ministro degli Esteri, Antonio Tajani, in Germania, dopo le polemiche degli ultimi giorni per i finanziamenti di Berlino alle Ong, è servita per constatare definitivamente che non ci sarà nessuna marcia indietro su questo fronte, e che di fatto da quella cancelleria si lavora per lasciarci in difficoltà sul fronte della gestione dei flussi migratori illegali. D’altra parte, le parole dell’omologa tedesca di Tajani, Annalena Baerbock, sono sembrate difficilmente equivocabili, soprattutto quando ha affermato di fronte ai cronisti e al suo interlocutore che «i soccorritori volontari hanno il nostro sostegno», che in termini concreti si traduce nel corollario «in tre casi l’erogazione dei fondi alle Ong è imminente».
Nessun effetto ha dunque sortito la dura protesta del nostro governo, quando alla benevolenza e agli impegni sul condividere il fardello dell’accoglienza mostrata dal presidente della Repubblica tedesco Frank-Walter Steinmeier al fianco di Sergio Mattarella era seguita la doccia fredda della scoperta degli ingenti finanziamenti da parte del governo di Berlino alle Ong operanti nel Mediterraneo, spesso infrangendo la legge italiana. Il nostro capo dello Stato, una settimana fa, aveva derogato dalla sua consueta pacatezza definendo «preistoria» l’accordo di Dublino e ricevendo il plauso di Steinmeier. Una volta emersa la vicenda dei fondi alle Ong, oltre che dal presidente del Consiglio, Giorgia Meloni (che ha chiesto spiegazioni), è arrivata la dura condanna dei partiti di maggioranza, nelle file dei quali si è fatto notare il vicesegretario della Lega, Andrea Crippa, che aveva paragonato il foraggiamento delle Ong alla voglia di conquista del Terzo Reich, generando a sua volta polemiche politiche sul fronte interno. Ciò ha reso necessaria la missione del nostro capo della diplomazia, che però ha dovuto fare i conti con la pervicacia tedesca.
«Abbiamo tutti visto le immagini da Lampedusa», ha detto Baerbock, «la situazione è insostenibile ma ogni vita ha un valore e ogni persona annegata non è solo un numero nelle statistiche ma un padre, un figlio, un amico. Fortunatamente», ha proseguito, «molti vengono e siamo grati alla Guardia costiera italiana, ma anche ai volontari che hanno un ruolo e si impegnano per salvare vite nel Mediterraneo». Dopo la conferma dei finanziamenti alle Ong, Tajani non ha potuto che ribadire i toni fermi usati al culmine della polemica con la Germania: «Nessuno fa la guerra alle Ong», ha detto, «però non possono essere una sorta di calamita per attrarre migranti irregolari che poi, guarda caso, vengono portati sempre e soltanto in Italia perché è il porto più vicino. Le navi delle Ong», ha detto ancora Tajani, «possono fare soccorso in mare, ma non si può trasformare l’Italia nel luogo dove tutte le Ong accompagnano i migranti, anche perché sono migranti che non vogliono venire in Italia, ma vogliono raggiungere altri Paesi europei. Per questo serve una soluzione europea e si devono trovare accordi con i Paesi di origine».
Da questo punto di vista, almeno a livello teorico le distanze tra la Germania e il nostro Paese non sono siderali, visto che il ministro tedesco ha dichiarato di voler lavorare a «soluzioni europee congiunte», assicurando sul fatto che il suo Paese «non lascerà soli i singoli Stati europei». Il problema, però, è che se i soldi vengono indirizzate a organizzazioni private, le iniziative comunitarie in tema di contenimento dei flussi illegali risultano implicitamente indebolite.
Non a caso Tajani, replicando alla Baerbock, ha sottolineato che i fondi dovrebbero essere destinati a «soluzioni strutturali», anziché alle Ong. A questo proposito, una partita importante si stava contemporaneamente giocando a Bruxelles, al Consiglio Ue per gli Affari interni chiamato a esaminare il regolamento delle crisi inserito nel Patto sulla migrazione e l’asilo. Il nostro ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, infatti, ha lasciato la riunione ed è rientrato in Italia chiedendo tempo per un supplemento di valutazione sul nuovo compromesso proposto dalla presidenza di turno spagnola per andare incontro alle richieste della Germania sulle tutele per i migranti e, appunto, delle Ong. Interpellato su questo, Tajani ha spiegato che l’Italia non ha detto no alla proposta tedesca, ma «ha preso del tempo per un esame più approfondito dal punto di vista giuridico. Prendere del tempo», ha aggiunto, «non vuol dire che si pensa che non si debbano salvare le persone in mare. Noi salviamo persone ogni giorno. Noi siamo contro le organizzazioni che gestiscono i traffici di esseri umani, che come ho detto sono le stesse che trafficano in armi e droga. La Germania è un Paese amico ma l’amicizia non impedisce di sottolineare che ci sono dei problemi che comunque non intaccano l’amicizia storica». Prima di partire per Berlino, in mattinata, Tajani aveva ricordato che Berlino «finanzia le Organizzazioni non governative che salvano migranti, ma invece di portarli in Germania li porta in Italia. È veramente qualcosa di strano e ne chiederò conto al ministro degli Esteri».
Roma ferma il patto che piace ai taxi del mare
La fretta è cattiva consigliera, e così l’Italia ieri ha chiesto degli approfondimenti prima di dare l’ok all’ultima parte ancora in discussione del Patto sull’immigrazione e l’asilo dell’Unione europea, quella sulle crisi migratorie.
Ursula von der Leyen aveva rivolto ieri mattina un «appello urgente» ai ministri dell’Interno dei 27 Paesi dell’Unione, riuniti a Bruxelles, affinché trovassero un accordo: la presidente, che vorrebbe tanto restare al suo posto anche dopo le europee, ora ha fretta di risolvere in pochi mesi tutti i problemi che non è stata in grado di affrontare in cinque anni. Stesso discorso per la Germania, che ieri aveva annunciato con toni enfatici l’adesione di Berlino alla proposta di mediazione della presidenza di turno spagnola: toccherà aspettare ancora un po’ per analizzare e risolvere il punto sul quale l’Italia, rappresentata al tavolo dal ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha delle perplessità.
I dubbi italiani sono su due aspetti: di metodo e di merito. Per quel che riguarda il metodo, ci risulta che questo punto non fosse all’ordine del giorno della riunione dei ministri dell’Interno di ieri, ma la presidenza spagnola ha tentato comunque di farlo approvare tirando in ballo il bel clima sereno che si respirava al tavolo. Nel merito: l’Italia chiede che venga chiarito bene il passaggio sulle «strumentalizzazioni» delle migrazioni, contenuto nel testo. A quanto apprendiamo, in sostanza, per l’Italia questo termine non può e non deve essere riferito solo a Paesi extraeuropei che magari aprono e chiudono i rubinetti della migrazione per ottenere finanziamenti, ma pure alle Ong, che costituiscono nei fatti un fattore importante di pressione politica sui governi, grazie anche al grande clamore mediatico che sono in grado di suscitare. Un punto che l’Italia chiede venga formulato con maggiore precisione, prima di dare il via libera a questo punto del Patto sull’immigrazione e l’asilo, che riguarda appunto le regole per fronteggiare situazioni di emergenza o crisi derivanti, per l’appunto, da «strumentalizzazioni» da parte di Paesi non Ue. Il regolamento sulla gestione delle crisi migratorie, l’ultimo atto legislativo del Patto, per la prima volta riconosce e rende concreto l’obbligo di solidarietà cui sono tenuti gli Stati membri nei confronti dei Paesi di primo arrivo dei migranti.
Questo regolamento era stato discusso già a luglio e l’approvazione era stata bloccata da un gruppo di Paesi tra cui la Germania. Il Parlamento europeo nei giorni scorsi aveva deciso di bloccare temporaneamente la discussione su altri due regolamenti del patto migratorio, proprio per fare pressione sulla Germania e sugli altri Paesi membri che stavano bloccando il negoziato. Mercoledì sera, a poche ore dalla riunione dei ministri dell’Interno di ieri, la delegazione italiana apprende che i partiti della coalizione al governo in Germania avevano trovato un accordo per sbloccare il regolamento, ma che ci avrebbero proposto degli emendamenti.
Ieri mattina la presidenza spagnola ha fatto circolare il testo degli emendamenti e poi, su pressione tedesca, con una procedura assolutamente inusuale, ha fatto sapere che i ministri dell’Interno che erano riuniti per il Consiglio giustizia e affari interni avrebbero dovuto dare luce verde sul piano politico al nuovo testo prima della fine della giornata, nonostante il regolamento fosse stato bloccato, non dall’Italia e non certo da qualche giorno, ma da due mesi. La nostra delegazione guidata da Piantedosi ha analizzato gli emendamenti proposti dai tedeschi e ha scoperto così che nell’articolo 1 del regolamento, Berlino vorrebbe vedere inserito un paragrafo nel quale in qualche modo si legittima l’attività degli attori non statali, Ong comprese, senza disciplinare il relativo modus operandi che come è noto va a gravare solo sul nostro Paese. Si tratta di quegli stessi enti a favore dei quali la Germania nei giorni scorsi ha stanziato fondi dal bilancio federale affinché effettuino attività di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo centrale, a ridosso delle acque territoriali libiche o tunisine e trasportino poi sempre e solo in Italia i migranti raccolti.
Per cercare una soluzione l’Italia ha chiesto di avere più tempo per poter analizzare con attenzione le possibili soluzioni. Proprio in quei minuti a Bruxelles è arrivata la notizia che ben sette navi appartamenti a Ong erano nel Mediterraneo centrale e tra queste quattro navi tedesche appartenenti a Ong e società tedesche, perlopiù in direzione di porti italiani. A questo punto l’Italia ha fatto notare a tutti i livelli questa circostanza inaccettabile e ha proposto un altro emendamento che dice che i migranti trasportati su navi Ong devono automaticamente essere accolti dal Paese di bandiera della nave. Cioè se la Germania è solidale con il lavoro delle Ong va benissimo, purché accolga anche i migranti trasportati e la riunione è stata rinviata. «Ho sottolineato al Consiglio giustizia e affari interni», ha detto ieri Piantedosi, «che a livello di Unione europea dobbiamo aumentare i finanziamenti per i progetti di rimpatri volontari assistiti e favorire la reintegrazione economica dei migranti nei loro Paesi di origine».
«L’Italia», ha spiegato il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, «non ha detto no alla proposta presentata questa mattina (ieri, ndr) dalla Germania sul Patto d’asilo: il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha preso del tempo per esaminarla a livello giuridico. Prendere del tempo non vuol dire che si pensa che non si debbano salvare le persone in mare».
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La Germania insiste nei finanziamenti a chi traghetta clandestini in Sicilia, Antonio Tajani protesta. Matteo Piantedosi congela il Patto sui migranti proprio perché vuole che i volontari portino chi soccorrono nei Paesi di bandiera della nave.L’Italia prende tempo riguardo all’intesa europea sulle migrazioni, bocciata da Ungheria e Polonia. Il governo Meloni non accetta «strumentalizzazioni» dalle Organizzazioni non governative.Lo speciale contiene due articoli.Il chiarimento, per esserci, c’è stato, ma di certo non nel senso che il nostro Paese sperava. Al contrario, la missione diplomatica del ministro degli Esteri, Antonio Tajani, in Germania, dopo le polemiche degli ultimi giorni per i finanziamenti di Berlino alle Ong, è servita per constatare definitivamente che non ci sarà nessuna marcia indietro su questo fronte, e che di fatto da quella cancelleria si lavora per lasciarci in difficoltà sul fronte della gestione dei flussi migratori illegali. D’altra parte, le parole dell’omologa tedesca di Tajani, Annalena Baerbock, sono sembrate difficilmente equivocabili, soprattutto quando ha affermato di fronte ai cronisti e al suo interlocutore che «i soccorritori volontari hanno il nostro sostegno», che in termini concreti si traduce nel corollario «in tre casi l’erogazione dei fondi alle Ong è imminente». Nessun effetto ha dunque sortito la dura protesta del nostro governo, quando alla benevolenza e agli impegni sul condividere il fardello dell’accoglienza mostrata dal presidente della Repubblica tedesco Frank-Walter Steinmeier al fianco di Sergio Mattarella era seguita la doccia fredda della scoperta degli ingenti finanziamenti da parte del governo di Berlino alle Ong operanti nel Mediterraneo, spesso infrangendo la legge italiana. Il nostro capo dello Stato, una settimana fa, aveva derogato dalla sua consueta pacatezza definendo «preistoria» l’accordo di Dublino e ricevendo il plauso di Steinmeier. Una volta emersa la vicenda dei fondi alle Ong, oltre che dal presidente del Consiglio, Giorgia Meloni (che ha chiesto spiegazioni), è arrivata la dura condanna dei partiti di maggioranza, nelle file dei quali si è fatto notare il vicesegretario della Lega, Andrea Crippa, che aveva paragonato il foraggiamento delle Ong alla voglia di conquista del Terzo Reich, generando a sua volta polemiche politiche sul fronte interno. Ciò ha reso necessaria la missione del nostro capo della diplomazia, che però ha dovuto fare i conti con la pervicacia tedesca. «Abbiamo tutti visto le immagini da Lampedusa», ha detto Baerbock, «la situazione è insostenibile ma ogni vita ha un valore e ogni persona annegata non è solo un numero nelle statistiche ma un padre, un figlio, un amico. Fortunatamente», ha proseguito, «molti vengono e siamo grati alla Guardia costiera italiana, ma anche ai volontari che hanno un ruolo e si impegnano per salvare vite nel Mediterraneo». Dopo la conferma dei finanziamenti alle Ong, Tajani non ha potuto che ribadire i toni fermi usati al culmine della polemica con la Germania: «Nessuno fa la guerra alle Ong», ha detto, «però non possono essere una sorta di calamita per attrarre migranti irregolari che poi, guarda caso, vengono portati sempre e soltanto in Italia perché è il porto più vicino. Le navi delle Ong», ha detto ancora Tajani, «possono fare soccorso in mare, ma non si può trasformare l’Italia nel luogo dove tutte le Ong accompagnano i migranti, anche perché sono migranti che non vogliono venire in Italia, ma vogliono raggiungere altri Paesi europei. Per questo serve una soluzione europea e si devono trovare accordi con i Paesi di origine». Da questo punto di vista, almeno a livello teorico le distanze tra la Germania e il nostro Paese non sono siderali, visto che il ministro tedesco ha dichiarato di voler lavorare a «soluzioni europee congiunte», assicurando sul fatto che il suo Paese «non lascerà soli i singoli Stati europei». Il problema, però, è che se i soldi vengono indirizzate a organizzazioni private, le iniziative comunitarie in tema di contenimento dei flussi illegali risultano implicitamente indebolite. Non a caso Tajani, replicando alla Baerbock, ha sottolineato che i fondi dovrebbero essere destinati a «soluzioni strutturali», anziché alle Ong. A questo proposito, una partita importante si stava contemporaneamente giocando a Bruxelles, al Consiglio Ue per gli Affari interni chiamato a esaminare il regolamento delle crisi inserito nel Patto sulla migrazione e l’asilo. Il nostro ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, infatti, ha lasciato la riunione ed è rientrato in Italia chiedendo tempo per un supplemento di valutazione sul nuovo compromesso proposto dalla presidenza di turno spagnola per andare incontro alle richieste della Germania sulle tutele per i migranti e, appunto, delle Ong. Interpellato su questo, Tajani ha spiegato che l’Italia non ha detto no alla proposta tedesca, ma «ha preso del tempo per un esame più approfondito dal punto di vista giuridico. Prendere del tempo», ha aggiunto, «non vuol dire che si pensa che non si debbano salvare le persone in mare. Noi salviamo persone ogni giorno. Noi siamo contro le organizzazioni che gestiscono i traffici di esseri umani, che come ho detto sono le stesse che trafficano in armi e droga. La Germania è un Paese amico ma l’amicizia non impedisce di sottolineare che ci sono dei problemi che comunque non intaccano l’amicizia storica». Prima di partire per Berlino, in mattinata, Tajani aveva ricordato che Berlino «finanzia le Organizzazioni non governative che salvano migranti, ma invece di portarli in Germania li porta in Italia. È veramente qualcosa di strano e ne chiederò conto al ministro degli Esteri».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/italia-scontra-berlino-ong-2665757185.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="roma-ferma-il-patto-che-piace-ai-taxi-del-mare" data-post-id="2665757185" data-published-at="1695942717" data-use-pagination="False"> Roma ferma il patto che piace ai taxi del mare La fretta è cattiva consigliera, e così l’Italia ieri ha chiesto degli approfondimenti prima di dare l’ok all’ultima parte ancora in discussione del Patto sull’immigrazione e l’asilo dell’Unione europea, quella sulle crisi migratorie. Ursula von der Leyen aveva rivolto ieri mattina un «appello urgente» ai ministri dell’Interno dei 27 Paesi dell’Unione, riuniti a Bruxelles, affinché trovassero un accordo: la presidente, che vorrebbe tanto restare al suo posto anche dopo le europee, ora ha fretta di risolvere in pochi mesi tutti i problemi che non è stata in grado di affrontare in cinque anni. Stesso discorso per la Germania, che ieri aveva annunciato con toni enfatici l’adesione di Berlino alla proposta di mediazione della presidenza di turno spagnola: toccherà aspettare ancora un po’ per analizzare e risolvere il punto sul quale l’Italia, rappresentata al tavolo dal ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha delle perplessità. I dubbi italiani sono su due aspetti: di metodo e di merito. Per quel che riguarda il metodo, ci risulta che questo punto non fosse all’ordine del giorno della riunione dei ministri dell’Interno di ieri, ma la presidenza spagnola ha tentato comunque di farlo approvare tirando in ballo il bel clima sereno che si respirava al tavolo. Nel merito: l’Italia chiede che venga chiarito bene il passaggio sulle «strumentalizzazioni» delle migrazioni, contenuto nel testo. A quanto apprendiamo, in sostanza, per l’Italia questo termine non può e non deve essere riferito solo a Paesi extraeuropei che magari aprono e chiudono i rubinetti della migrazione per ottenere finanziamenti, ma pure alle Ong, che costituiscono nei fatti un fattore importante di pressione politica sui governi, grazie anche al grande clamore mediatico che sono in grado di suscitare. Un punto che l’Italia chiede venga formulato con maggiore precisione, prima di dare il via libera a questo punto del Patto sull’immigrazione e l’asilo, che riguarda appunto le regole per fronteggiare situazioni di emergenza o crisi derivanti, per l’appunto, da «strumentalizzazioni» da parte di Paesi non Ue. Il regolamento sulla gestione delle crisi migratorie, l’ultimo atto legislativo del Patto, per la prima volta riconosce e rende concreto l’obbligo di solidarietà cui sono tenuti gli Stati membri nei confronti dei Paesi di primo arrivo dei migranti. Questo regolamento era stato discusso già a luglio e l’approvazione era stata bloccata da un gruppo di Paesi tra cui la Germania. Il Parlamento europeo nei giorni scorsi aveva deciso di bloccare temporaneamente la discussione su altri due regolamenti del patto migratorio, proprio per fare pressione sulla Germania e sugli altri Paesi membri che stavano bloccando il negoziato. Mercoledì sera, a poche ore dalla riunione dei ministri dell’Interno di ieri, la delegazione italiana apprende che i partiti della coalizione al governo in Germania avevano trovato un accordo per sbloccare il regolamento, ma che ci avrebbero proposto degli emendamenti. Ieri mattina la presidenza spagnola ha fatto circolare il testo degli emendamenti e poi, su pressione tedesca, con una procedura assolutamente inusuale, ha fatto sapere che i ministri dell’Interno che erano riuniti per il Consiglio giustizia e affari interni avrebbero dovuto dare luce verde sul piano politico al nuovo testo prima della fine della giornata, nonostante il regolamento fosse stato bloccato, non dall’Italia e non certo da qualche giorno, ma da due mesi. La nostra delegazione guidata da Piantedosi ha analizzato gli emendamenti proposti dai tedeschi e ha scoperto così che nell’articolo 1 del regolamento, Berlino vorrebbe vedere inserito un paragrafo nel quale in qualche modo si legittima l’attività degli attori non statali, Ong comprese, senza disciplinare il relativo modus operandi che come è noto va a gravare solo sul nostro Paese. Si tratta di quegli stessi enti a favore dei quali la Germania nei giorni scorsi ha stanziato fondi dal bilancio federale affinché effettuino attività di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo centrale, a ridosso delle acque territoriali libiche o tunisine e trasportino poi sempre e solo in Italia i migranti raccolti. Per cercare una soluzione l’Italia ha chiesto di avere più tempo per poter analizzare con attenzione le possibili soluzioni. Proprio in quei minuti a Bruxelles è arrivata la notizia che ben sette navi appartamenti a Ong erano nel Mediterraneo centrale e tra queste quattro navi tedesche appartenenti a Ong e società tedesche, perlopiù in direzione di porti italiani. A questo punto l’Italia ha fatto notare a tutti i livelli questa circostanza inaccettabile e ha proposto un altro emendamento che dice che i migranti trasportati su navi Ong devono automaticamente essere accolti dal Paese di bandiera della nave. Cioè se la Germania è solidale con il lavoro delle Ong va benissimo, purché accolga anche i migranti trasportati e la riunione è stata rinviata. «Ho sottolineato al Consiglio giustizia e affari interni», ha detto ieri Piantedosi, «che a livello di Unione europea dobbiamo aumentare i finanziamenti per i progetti di rimpatri volontari assistiti e favorire la reintegrazione economica dei migranti nei loro Paesi di origine». «L’Italia», ha spiegato il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, «non ha detto no alla proposta presentata questa mattina (ieri, ndr) dalla Germania sul Patto d’asilo: il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha preso del tempo per esaminarla a livello giuridico. Prendere del tempo non vuol dire che si pensa che non si debbano salvare le persone in mare».
(Apple Tv)
Non è affatto detto che sia così perché, dietro l’obiettivo di rovesciare le formule della fantascienza, si nasconde l’ambizione di una riflessione sul rapporto tra benessere collettivo e libertà individuale, tra felicità globale e identità personale. Il tutto proposto con grande cura formale, ottime musiche e qualche lungaggine autoriale. Possibili, lontani, riferimenti: Lost, per i prologhi spiazzanti e i flashback, Truman Show, per la solitudine e l’apparenza stranianti, Black Mirror, per la cornice distopica. Ma la mano dell’ideatore è inconfondibile.
Ci troviamo ad Albuquerque, la città del New Mexico già teatro dei precedenti plot di Gilligan, ma stavolta la vicenda è tutt’altra. Siamo in un futuro progredito e un certo rigore si è già radicato nella quotidianità. Per esempio, l’avviamento delle auto di ultima generazione è collegato alla prova di sobrietà del palloncino: se si è stati al pub, l’auto non parte. Individuato da un gruppo di astronomi, un virus Rna proveniente dallo spazio, trasmesso in laboratorio da un topo e contagiato tramite baci e alimenti, rende gli esseri umani felici, gentili e samaritani con il prossimo. Le persone agiscono come un’unica mente collettiva, ma non a causa di un’invasione aliena, tipo L’invasione degli ultracorpi, bensì per il fatto che «noi siamo noi», garantisce un politico che parla dalla Casa Bianca, anche se non è il presidente. «Gli scienziati hanno creato in laboratorio una specie di virus, più precisamente una colla mentale capace di tenerci legati tutti insieme». In questo mondo, non esiste il dolore, non si registrano reati, le prigioni sono vuote, le strade non sono mai congestionate, regna la pace. Tutto è perfetto e patinato, perché la contraddizione non esiste. Debellata, dietro una maschera suadente. La colla mentale dispone alla benevolenza e alla correttezza le persone. Che però non possono scegliere, ma agire solo in base a un «imperativo genetico». Soltanto 12 persone in tutto il Pianeta sono immuni al contagio. Ma mentre undici sembrano disposte a recepirlo, l’unica che si ribella è Carol Sturka (Reha Seehorn), una scrittrice di romanzi per casalinghe sentimentali. Cinica, diffidente, omosex e discretamente testarda, malgrado vicini, conoscenti e certi soccorritori ribadiscano le loro buone intenzioni - «vogliamo solo renderti felice» - lei non vuole assimilarsi ed essere rieducata dal virus dei buoni. I quali, ogni volta che lei respinge bruscamente le loro attenzioni, restano paralizzati in strane convulsioni, alimentando i suoi sensi di colpa. Il prezzo della libertà è una solitudine sterminata, addolcita dal fatto che, componendo un numero di telefono, può vedere esaudito ogni desiderio: cibi speciali, cene su terrazze panoramiche, giornate alle terme, Rolls Royce fiammanti. Quando si imbatte in qualche complicazione è immediatamente soccorsa da Zosia (Karolina Wydra), volto seducente della mente collettiva, o da un drone, tempestivo nel recapitarle a domicilio la più bizzarra delle richieste. A Carol è anche consentito di interagire con gli altri umani esenti dal contagio. Che però non condividono il suo progetto di ribellione alla felicità coatta: tocca a noi riparare il mondo. «Perché? La situazione sembra ideale, non ci sono guerre, viviamo tranquilli», ribatte un viveur che sfrutta ogni lusso e privilegio concesso dalla mente collettiva.
L’idea di questa serie risale a circa otto o nove anni fa, ha raccontato Gilligan in un’intervista. «In quel periodo io e Peter Gould (il suo principale collaboratore, ndr.) avevamo iniziato a lavorare a Better Call Saul e ci divertivamo parecchio. Durante le pause pranzo avevo l’abitudine di vagare nei dintorni dell’ufficio immaginando un personaggio maschile con cui tutti erano gentili. Tutti lo amavano e non importa quanto lui potesse essere scortese, tutti continuavano a trattarlo bene». Poi, nella ricerca del perché di questa inspiegabile gentilezza, la storia si è arricchita e al posto di un protagonista maschile si è imposta la figura della scrittrice interpretata da Reha Seehorn, già nel cast di Better Call Saul. Su di lei, a lungo sola in scena, si regge lo sviluppo del racconto. A un certo punto, provata dalla solitudine, ma senza voler smettere d’indagare anche perché incoraggiata dalle prime inquietanti scoperte, Carol cambia strategia, smorzando la sua ostilità…
Il titolo della serie deriva da «E pluribus unum», cioè «da molti, uno», antico motto degli Stati Uniti, proposto il 4 luglio 1776 per simboleggiare l’unione delle prime 13 colonie in una sola nazione. Gilligan ha trasferito la suggestione di quel motto a una dimensione esistenziale e filosofica, inscenando una sorta di apocalisse dolce per riflettere sulla problematica convivenza tra singolo e collettività. Per questo, in origine, Plur1bus era scritto con l’1 al posto della «i».
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Emmanuel Macron (Ansa)
La sola istanza che ha una parvenza di rappresentanza è il Palamento europeo. Così il Mercosur, il mega accordo commerciale con Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay, più annessi, che deve creare un’area di libero scambio da 700 milioni di persone che Ursula von der Leyen vuole a ogni costo per evitare che Javier Milei faccia totalmente rotta su Donald Trump, che il Brasile si leghi con la Cina e che l’Europa dimostri la sua totale ininfluenza, rischia di crollare e di portarsi dietro, novello Sansone, i filistei dell’eurocrazia.
Il Mercosur ieri ha fatto due passi indietro. Il Parlamento europeo con ampia maggioranza (431 voti a favore Pd in prima fila, 161 contrari e 70 astensioni, Ecr-Fratelli d’Italia fra questi, i lepenisti e la Lega hanno votato contro) ha messo la Commissione con le spalle al muro. Il Mercosur è accettabile solo se ci sono controlli stringenti sui requisiti ambientali, di benessere animale, di salubrità, di rispetto etico e di sicurezza alimentare dei prodotti importati (è la clausola di reciprocità), se c’è una clausola di salvaguardia sulle importazioni di prodotti sensibili tra cui pollame o carne bovina. Se l’import aumenta del 5% su una media triennale si torna ai dazi. Le indagini devono essere fatte al massimo in tre mesi e la sospensione delle agevolazioni deve essere immediata. Tutti argomenti che la Von der Leyen mai ha inserito nell’accordo. Ma sono comunque sotto il minimo sindacale richiesto da Polonia, Ungheria e Romania che sono contrarie da sempre e richiesto ora dalla Francia che ha detto: «Così com’è l’accordo non è accattabile».
Sono le stesse perplessità dell’Italia. Oggi la Commissione dovrebbe incontrare il Consiglio europeo per avviare la trattativa e andare, come vuole Von der Leyen, alla firma definitiva prima della fine dell’anno. La baronessa aveva già prenotato il volo per Rio per domani, ma l’hanno bloccata all’imbarco! Perché Parigi chiede la sospensione della trattativa. La ragione è che gli agricoltori francesi stanno bloccando il Paese: ieri le quattro principali autostrade sono state tenute in ostaggio da trattori che sono tornati a scaricare il letame sulle prefetture. Il primo ministro Sébastien Lecornu ha tenuto un vertice sul Mercosur incassando un no deciso da Jean-Luc Mélenchon, da Marine Le Pen ma anche dai repubblicani di Bruno Retailleau che è anche ministro dell’interno.
Domani, peraltro, a Bruxelles sono attesi almeno diecimila agricoltori- la Coldiretti è la prima a sostenere questa manifestazione - che con un migliaio di trattori assedieranno Bruxelles. L’Italia riflette, ma è invitata a fare minoranza di blocco dalla Polonia; la Francia vuole una mano per il rinvio. Certo che il Mercosur divide: la Coldiretti ha rimproverato il presidente di Federalimentare Paolo Mascarino che invece vuole l’accordo (anche l’Unione italiana vini spinge) di tradire la causa italiana. Chi invece vuole il Mercosur a ogni costo sono la Germania che deve vendere le auto che non smercia più (grazie al Green deal), la Danimarca che ha la presidenza di turno e vuole lucrare sull’import, l’Olanda che difende i suoi interessi commerciali e finanziari.
C’è un’evidente frattura tra l’Europa che fa agricoltura e quella che vuole usare l’agricoltura come merce di scambio. Le prossime ore potrebbero essere decisive non solo per l’accordo - comunque deve passare per la ratifica finale dall’Eurocamera - ma per i destini dell’Ue.
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Ursula von der Leyen (Ansa)
Questo allentamento delle norme consente che nuove auto con motore a combustione interna possano ancora essere immatricolate nell’Ue anche dopo il 2035. Non sono previste date successive in cui si arrivi al 100% di riduzione delle emissioni. Il presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha naturalmente magnificato il ripensamento della Commissione, affermando che «mentre la tecnologia trasforma rapidamente la mobilità e la geopolitica rimodella la competizione globale, l’Europa rimane in prima linea nella transizione globale verso un’economia pulita». Ursula 2025 sconfessa Ursula 2022, ma sono dettagli. A questo si aggiunge la dichiarazione del vicepresidente esecutivo Stéphane Séjourné, che ha definito il pacchetto «un’ancora di salvezza per l’industria automobilistica europea». Peccato che, in conferenza stampa, a nessuno sia venuto in mente di chiedere a Séjourné perché si sia arrivati alla necessità di un’ancora di salvezza per l’industria automobilistica europea. Ma sono altri dettagli.
L’autorizzazione a proseguire con i motori a combustione (inclusi ibridi plug-in, mild hybrid e veicoli con autonomia estesa) è subordinata a condizioni stringenti, perché le emissioni di CO2 residue, quel 10%, dovranno essere compensate. I meccanismi di compensazione sono due: 1) utilizzo di e-fuel e biocarburanti fino a un massimo del 3%; 2) acciaio verde fino al 7% delle emissioni. Il commissario Wopke Hoekstra ha spiegato infatti che la flessibilità è concessa a patto che sia «compensata con acciaio a basse emissioni di carbonio e l’uso di combustibili sostenibili per abbattere le emissioni».
Mentre Bruxelles celebra questa minima flessibilità come una vittoria per l’industria, il mondo reale offre un quadro ben più drammatico. Ieri Volkswagen ha ufficialmente chiuso la sua prima fabbrica tedesca, la Gläserne Manufaktur di Dresda, che produceva esclusivamente veicoli elettrici (prima la e-Golf e poi la ID.3). Le ragioni? Il rallentamento delle vendite di auto elettriche. La fabbrica sarà riconvertita in un centro di innovazione, lasciando 230 dipendenti in attesa di ricollocamento. Dall’altra parte dell’Atlantico, la Ford Motor Co. ha annunciato che registrerà una svalutazione di 19,5 miliardi di dollari legata al suo business dei veicoli elettrici. L’azienda ha perso 13 miliardi nel suo settore Ev dal 2023, perdendo circa 50.000 dollari per ogni veicolo elettrico venduto l’anno scorso. Ford sta ora virando verso ibridi e veicoli a benzina, eliminando il pick-up elettrico F-150 Lightning.
La crisi dell’auto europea non si risolve certo con questa trovata dell’ultima ora. Nonostante gli sforzi e i supercrediti di CO2 per le piccole auto elettriche made in Eu, la domanda di veicoli elettrici è debole. Questa nuova apertura, ottenuta a fatica, non sarà sufficiente a salvare il settore automobilistico europeo di fronte alla concorrenza cinese e al disinteresse dei consumatori. Sarebbe stata più opportuna un’eliminazione radicale e definitiva dell’obbligo di zero emissioni per il 2035, abbracciando una vera neutralità tecnologica (che includa ad esempio i motori a combustione ad alta efficienza di cui parlava anche il cancelliere tedesco Friedrich Merz). «La Commissione oggi fa un passo avanti verso la razionalità, verso il mercato, verso i consumatori ma servirà tanto altro per salvare il settore. Soprattutto servirà una Commissione che non chiuda gli occhi davanti all’evidenza», ha affermato l’assessore allo Sviluppo economico di Regione Lombardia Guido Guidesi, anche presidente dell’Automotive Regions Alliance. La principale federazione automobilistica tedesca, la Vda, ha detto invece che la nuova linea di Bruxelles ha il merito di riconoscere «l’apertura tecnologica», ma è «piena di così tanti ostacoli che rischia di essere inefficace nella pratica». Resta il problema della leggerezza con cui a Bruxelles si passa dalla definizione di regole assurde e impraticabili al loro annacquamento, dopo che danni enormi sono stati fatti all’industria e all’economia. Peraltro, la correzione di rotta non è affatto un liberi tutti. La riduzione del 100% delle emissioni andrà comunque perseguita al 90% con le auto elettriche. «Abbiamo valutato che questa riduzione del 10% degli obiettivi di CO2, dal 100% al 90%, consentirà flessibilità al mercato e che circa il 30-35% delle auto al 2035 saranno non elettriche, ma con tecnologie diverse, come motori a combustione interna, ibridi plug-in o con range extender» ha detto il commissario europeo ai Trasporti Apostolos Tzizikostas in conferenza stampa. Può darsi che sarà così, ma il commissario greco si è dimenticato di dire che quasi certamente si tratterà di auto cinesi.
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(Totaleu)
Lo ha dichiarato l'europarlamentare di Fratelli d'Italia durante un'intervista a margine dell’evento «Con coraggio e libertà», dedicato alla figura del giornalista e reporter di guerra Almerigo Grilz.