2023-11-17
Israele mostra i video del massacro: «Contro Hamas non ci fermiamo»
L’ambasciata proietta 43 minuti di orrore: la strage del 7 ottobre, i cadaveri profanati e i bambini uccisi come «cani». Poi l’accusa del diplomatico Alon Bar: «L’Onu ha un problema, non condanna i terroristi».Ore 7.39 del 7 ottobre. I terroristi di Hamas hanno già varcato i confini di Gaza bucando, ancora oggi inspiegabilmente, uno dei varchi più protetti al mondo, quello con Israele. Le telecamere appese ai giubbotti dei fanatici cominciano subito a riprendere gli attacchi. Sono tutti a civili che stanno percorrendo la strada diretta a Sderot. Poi c’è l’ingresso al kibbutz Be’eri. In sequenza altri due insediamenti. Buchi di pallottole. Nel petto. Sulle braccia di chi cerca di ripararsi. Cadaveri trascinati sul cemento. Sulle mattonelle. Calci sul naso, sul collo. Inferti al suono di «Allah u Abkar». Sacchi di carne contenenti ossa spezzate. Informi. Volti tumefatti di ebrei. Urla di chi è colpito. Urla di chi uccide. In due provano a staccare la testa di un cadavere, colpendo la gola con una zappa. Due volte con forza. Altre due con minore convinzione. Non è affilata. Non riescono, e passano a infierire sul cadavere successivo. Con lo stesso atteggiamento con cui potremmo distruggere con i piedi un castello di sabbia mal riuscito. Noi. Loro si filmano. «Filma, filma, per la storia», dice uno di Hamas. Poi il silenzio. Cambia l’immagine. Un pigiama con tanti topolino disegnati. Il pigiama è già gonfio. Teso. Forse di gas. Forse delle contusioni subite da quella carcassa di bambino. Nell’esecuzione scientifica del crimine, studiata e preparata a tavolino. In questo caso, ovviamente, l’immagine viene dal telefonino dei soccorritori entrati nel kibbutz ore dopo il massacro. Ieri abbiamo visto la proiezione dei video di quella mattina di pogrom organizzata dall’ambasciata d’Israele. Sono 43 minuti di ricostruzione forense incrociando in sequenza temporale le immagini riprese dalle telecamere dei terroristi uccisi, di quelli che hanno postato sui social, ma anche i video ripresi della telecamere di sicurezza, di controllo del traffico, dai telefonini dei terroristi e degli uccisi. Dal decimo minuto i corpi non fanno effetto: il cervello reagisce e finisce con l’astrarre. A colpire è il rapporto che Hamas ha con gli ebrei vivi. O sopravvissuti. È mattina, la body cam di un terrorista immortala l’ingresso nel recinto di una casa. La telecamera di sicurezza inquadra il proprietario di casa che prende i due figli non ancora adolescenti sotto braccio e scappa in boxer verso un rifugio. Entra in una sorta di sgabuzzino. I paramilitari lo inseguono. Buttano una granata. Il padre difende i figli con il suo corpo. Muore. I bambini escono dal rifugio sulle proprie gambe, mentre i terroristi sparano raffiche. Ad altri. I bimbi entrano in casa. Uno dei terroristi li insegue. Non per ucciderli. Mentre piangono, urlano per la morte del padre, cercano di chiamare la madre, si sostengono a vicenda (il più piccolo è cieco per le ferite agli occhi), il palestinese si rivolge a loro perché vuole una Coca Cola. Non la Fanta, che trova nel frigo: vuole la Coca Cola. Ignora lo strazio. Non sente nulla. Ha solo sete. Perché lui è lì per uccidere «i cani». Che è il termine più pronunciato dopo «Allah è grande». I «cani» sono, per Hamas e per chi li sostiene, gli infedeli da abbattere. Non a caso nei 43 minuti di proiezione sono tanti gli animali a quattro zampe fulminati dagli Ak 47. Le scene delle uccisioni delle bestiole sono un sotto insieme di quella banalità del male che resta la spina dorsale delle stragi contro gli ebrei e contro altri popoli. I cani in Israele hanno un ruolo nella società: sono rispettati e accuditi. Combattono a fianco dei soldati. Sono a loro volta soldati dello Tsahal. Entrano in queste ore nei tunnel di Gaza. Nel mondo palestinese di Hamas, ai cani si spara perché i terroristi interpretano così il Corano. I cani infettano e non valgono nulla. La differenza tra il Corano e il Talmud è anche questa. Chi interpreta il primo sventolando la bandiera dell’Isis si muove per uccidere civili che chiama «cani». Lo Stato di Israele attacca Gaza per uccidere Hamas. Abbiamo visto le immagini che spiegano perché Israele non si ferma nella Striscia. Perché l’Idf andrà avanti finché Hamas non sarà resa incapace di rimettere in atto ciò che ha pianificato il 7 ottobre. A oggi Gerusalemme non è riuscita a identificare tutti i morti. Tanti sono carbonizzati, bruciati dentro le auto. Alcuni hanno il teschio bianco e lucido. Altri sono diventati tutt’uno con altri ebrei e con la tappezzeria dell’auto. Alla fine della proiezione, l’Ambasciatore a Roma, Alon Bar, ha voluto fare un intervento sulla proporzionalità della risposta. Un tema sulla bocca di tanti occidentali che fanno da ombrello a quelli numerosi che negano dentro di sé gli eventi. Negano addirittura la veridicità del racconto. «Non possiamo terminare l’intervento militare», ha detto Bar, «fino a che non saremo sicuri che a una persona che vive in Israele non possa capitare di nuovo una cosa simile. Nessuno verrebbe più a vivere da noi, a investire, a ridere», ha sintetizzato. A chi ha guardato i 43 minuti non servono le parole per capire il pericolo loro e il nostro. Quanto accaduto è un fatto generazionale. Noi non abbiamo più gli anticorpi per azzannare al collo chi tenta di ucciderci. Accade lì. Ma domani può accadere in Europa. Per la debolezza del nostro pensiero relativista e per il fallimento di enti come l’Onu. Bar ha spiegato che «l’Onu è un problema. Ha un problema. Non riesce a pronunciare la parola Hamas. A condannare Hamas. Se servirà, certo noi collaboreremo con l’Onu. Ma il tema è da porre».
Francesca Albanese (Ansa)
La sede della Corta penale internazionale dell’Aia (Ansa)