2024-04-02
Israele attacca Damasco. Distrutto un palazzo dell’ambasciata iraniana
Raid in Siria contro un edificio del governo di Teheran: uccisi dirigenti dei pasdaran. La replica degli ayatollah: «Risposta sarà dura». Gli Usa seguono con preoccupazione. Stretta del governo, che intende smantellare a breve l’Unrwa e cacciare la tv araba. Lo speciale contiene due articoli.Sale la tensione tra Gerusalemme e Teheran. Israele ha effettuato ieri degli attacchi aerei a Damasco, colpendo un edificio adiacente all’ambasciata iraniana. Secondo l’agenzia di stampa iraniana Tasnim ci sono stati almeno sei morti, mentre l’ambasciatore di Teheran è rimasto illeso. A essere ucciso, stando a quanto riportato da Al Arabiya, sarebbe invece stato l’alto funzionario del corpo delle Guardie della rivoluzione islamica, Mohammad Reza Zahedi. «Si dice che Zahedi sia uno dei massimi comandanti della forza Quds delle Guardie della rivoluzione iraniana», ha riferito il Times of Israel, mentre nel 2010 il Dipartimento del Tesoro americano lo mise nel mirino per i suoi stretti legami con Hezbollah. Secondo Haaretz, a perdere la vita sarebbero stati anche il vice di Zahedi, Mohammad Hadi Rahimi, e il comandante delle Guardie rivoluzionarie in Siria e Libano, Hussein Amir Allah.Dura la reazione del ministro degli Esteri siriano, Faisal Mekdad. «Condanniamo fermamente questo atroce attacco terroristico che ha preso di mira l’edificio del consolato iraniano a Damasco uccidendo un certo numero di persone innocenti», ha tuonato, per poi aggiungere: «L’entità di occupazione israeliana non sarà in grado di incidere sui legami tra Iran e Siria». «La risposta di Teheran sarà dura», ha dichiarato l’ambasciatore iraniano a Damasco, Hossein Akbari. A intervenire è stato anche il ministro degli Esteri di Teheran, Hossein Amirabdollahian, che - in una telefonata con Mekdad - ha detto di considerare Israele responsabile di quanto accaduto e ha promesso una risposta decisiva», definendo infine l’attacco una «una violazione di tutte le convenzioni internazionali».Nel momento in cui La Verità andava in stampa, le forze militari israeliane si erano rifiutate di rilasciare un commento sull’accaduto. «Non commentiamo le notizie dei media stranieri», aveva affermato un loro portavoce. Dal canto suo, la Casa Bianca ha fatto sapere di «essere a conoscenza» dell’attacco e che stava «esaminando la questione». Il Dipartimento di Stato americano ha invece auspicato che la crisi di ieri non abbia impatti negativi sui negoziati per il rilascio degli ostaggi. Se definitivamente confermato, come potrebbe essere letto il bombardamento di Damasco? È stata una ritorsione al recente attacco subito dalla città israeliana di Eilat da parte di un gruppo paramilitare iracheno, spalleggiato da Teheran? Oppure c’è un senso strategico più ampio?Come che sia, il rischio di un’escalation tra Israele e Iran si fa sempre più concreto. Non dimentichiamo del resto che il potente network regionale di Teheran si è mostrato pericolosamente attivo nel corso degli ultimi mesi: da Hamas a Hezbollah, passando per gli Huthi. D’altronde, uno degli aspetti che preoccupa maggiormente lo Stato ebraico è proprio la mano iraniana che si cela dietro le attività di tutti questi gruppi paramilitari. Ieri, la polizia dello Stato ebraico ha arrestato una delle sorelle del leader di Hamas, Ismail Haniyeh, accusandola di essere coinvolta nelle attività terroristiche del gruppo. Dal canto suo, la stessa Hamas ha pubblicato una dichiarazione sui social, in cui «si scusa» con gli abitanti di Gaza per le sofferenze causate dal conflitto in corso. L’organizzazione terroristica ha tuttavia aggiunto di voler proseguire la guerra con l’obiettivo di ottenere «vittoria e libertà» per i palestinesi. Era invece l’altro ieri, quando le forze israeliane avevano annunciato l’eliminazione di un alto comandante di Hezbollah, Ismail Al Zin.Il nodo vero è che finora Joe Biden si è rifiutato di ripristinare la politica trumpiana della «massima pressione» sull’Iran: quella linea, abrogata dall’attuale presidente americano nel 2021, aveva infatti indebolito Teheran e il suo network regionale. Se l’avesse rimessa in piedi, Biden avrebbe assestato un duro colpo agli ayatollah e, coprendo le spalle a Israele, avrebbe avuto maggiore leva negoziale per convincere Benjamin Netanyahu a ridurre la pressione militare su Gaza. L’escalation che si rischia in Medio Oriente è principalmente frutto dell’irresolutezza di Biden, oltre che della sua incapacità nel ripristinare la deterrenza nei confronti di Teheran. E torniamo quindi alla domanda di prima: a che cosa punta Israele con la crisi di Damasco? Vuole «stanare» un Iran che finora si è trincerato dietro il proprio network regionale? O vuole mettere Biden in imbarazzo, spingendolo ad assumere una postura più severa verso il regime khomeinista?<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/israele-attacca-damasco-2667650544.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="netanyahu-vuole-far-fuori-al-jazeera-e-lagenzia-onu-per-i-profughi-di-gaza" data-post-id="2667650544" data-published-at="1712048207" data-use-pagination="False"> Netanyahu vuole far fuori Al Jazeera e l’agenzia Onu per i profughi di Gaza Dalle trattative sugli ostaggi a un’eventuale offensiva contro Rafah: è una quadratura del cerchio assai complicata quella che sta cercando Benjamin Netanyahu, mentre proseguono le proteste di chi ne chiede le dimissioni. Un funzionario israeliano ha riferito ieri al Times of Israel che al Cairo si sarebbero registrati alcuni progressi nelle trattative sugli ostaggi: in particolare, i negoziati potrebbero intensificarci nei prossimi giorni. Secondo il funzionario, «la continuazione dei colloqui probabilmente influenzerà le decisioni prese riguardo a un’operazione dell’Idf a Rafah». Sempre di Rafah aveva parlato Netanyahu domenica in una conferenza stampa, prima di sottoporsi a un intervento chirurgico a causa di un’ernia. «Tornerò molto presto al lavoro», aveva detto il premier, che sarà dimesso oggi, per poi aggiungere: «Non può esserci vittoria su Hamas senza l’operazione a Rafah». Non solo. Axios News aveva riferito che, nella giornata di ieri, si sono tenuti dei colloqui a distanza tra il consigliere per la sicurezza nazionale americano, Jake Sullivan, e l’omologo israeliano, Tzachi Hanegbi. La medesima fonte ha riferito che la videoconferenza era finalizzata a «discutere le proposte alternative dell’amministrazione Biden all’invasione militare israeliana di Rafah».Nel frattempo, il governo israeliano ha inoltrato una proposta per smantellare l’Unrwa. In particolare, lo Stato ebraico ha richiesto il trasferimento di circa 400 dipendenti della stessa Unrwa a un’altra agenzia delle Nazioni Unite o nuova o già esistente (come il Programma mondiale alimentare). Dopo il trasferimento, propone il governo israeliano, l’organizzazione competente si occuperebbe di distribuire gli aiuti alimentari alla popolazione di Gaza. Ricordiamo che, a fine gennaio, vari Paesi occidentali avevano deciso di sospendere i finanziamenti all’Unrwa: alcuni dipendenti dell’agenzia erano infatti stati accusati di essere coinvolti nel brutale attacco di Hamas del 7 ottobre. Lo scontro sull’Unrwa si inserisce nei rapporti sempre più tesi tra Israele e le Nazioni Unite. A ottobre, lo Stato ebraico aveva chiesto le dimissioni del segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, dopo che quest’ultimo aveva detto che gli attacchi di Hamas non erano «venuti dal nulla». Inoltre, appena pochi giorni fa, la relatrice speciale per le Nazioni Unite sui territori palestinesi, Francesca Albanese, ha pubblicato un rapporto in cui si sostiene che Israele avrebbe commesso «atti di genocidio»: si tratta di un rapporto che è stato rilanciato dal portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Nasser Kanaani.Ma l’Onu non rappresenta l’unico avversario di Netanyahu. Ieri, la Knesset ha approvato il disegno di legge che potrebbe portare alla chiusura di Al Jazeera in territorio israeliano. «Non ci sarà libertà di parola per i portavoce di Hamas in Israele. Al Jazeera sarà chiusa nei prossimi giorni», ha detto il ministro delle Comunicazioni Shlomo Karhi. Una mossa che è stata definita «profondamente preoccupante» dalla portavoce della Casa Bianca Karine Jean-Pierre. In tutto questo, è terminata l’esenzione degli ebrei ultraortodossi dal servizio militare a seguito di un’apposita sentenza della Corte supreme israeliana. Dall’altra parte, anche il governo di Gerusalemme è attraversato da alcune significative tensioni. Il ministro per la Sicurezza nazionale, Itamar Ben Gvir, ha inviato una lettera a Netanyahu, accusando il ministro della Difesa, Yoav Gallant, di aver messo inutilmente a rischio la vita dei soldati israeliani. In particolare, secondo l’accusa, ai militari dello Stato ebraico sarebbe stato ordinato di condurre operazioni nella Striscia, evitando di arrecare danno alle infrastrutture realizzate dal Qatar. «I nostri migliori figli non sono stati mandati a morire in battaglia perché i sostenitori di Hamas in Qatar non dovessero preoccuparsi dei loro asset, o perché Israele potesse ricevere un atteggiamento leggermente meno negativo da parte dei media internazionali, ma per sconfiggere Hamas e far ritornare gli ostaggi», ha tuonato Ben Givr, chiedendo la convocazione del «ministro della Difesa per un’indagine».
Nicolas Sarkozy e Carla Bruni (Getty Images)